00 18/03/2009 12:37
E’ una mattina noiosa di lavoro. Mi trovo sul treno per Milano, leggermente in ritardo sull’orario. Alle undici ho una riunione, spero che il treno recuperi.
Piove e il paesaggio grigio dai finestrini, non contribuisce a migliorare il mio umore da lunedì mattina. Le gocce d’acqua, scorrono sbieche dai finestrini. S’asciugano prima di finire la loro corsa, con ricami incomprensibili, diventano sporche lì, dove la goccia si ferma.
Tento di leggere una notizia sul giornale, più grigia del tempo di oggi. Vengo continuamente distratta da squilli, trilli, suonerie più svariate, discussioni telefoniche interminabili, cinguettii di fidanzati e fatti privati, snocciolati candidamente davanti ad un vagone d’estranei.
Chiudo il giornale insieme agli occhi, mi appisolo senza accorgermene. In quel preciso momento, sento una giovane voce femminile, che mi sta chiedendo se il posto davanti a me è occupato. Le rispondo di no, mentre l’osservo incuriosita. Avrà circa venti, venticinque anni. Capelli corti neri, sorriso ancora un po’ infantile, dalla bocca leggermente imbronciata. Anche lei, probabilmente, contrariata dalla giornata cupa. Indossa una maglietta bianca con una rana ed una margherita, c’è scritto: Monella vagabonda e la cosa mi fa leggermente sorridere per la singolare similitudine.
Si siede, indossa le cuffiette dell’Ipod, apre un’agenda, dalla copertina rosa e nera e inizia a scrivere, è mancina, scrive con la sinistra e mi viene un leggero capogiro, nell’osservare quella scrittura contro verso. Scrive con una grafia fitta e minuta, come se la carta fosse troppo poca, per contenere tutte le cose che lei vorrebbe imprimerci.
Mi appisolo di nuovo e vengo svegliata dal controllore. Lei è ancora lì a scrivere. In treno rallenta e viene annunciata l’imminente fermata. La ragazza, rapidamente si prepara per scendere. Chiude l’agenda e l’appoggia sul tavolo davanti. Prende la borsa, indossa il giaccone, si prepara l’ombrello e scende. Abbasso gli occhi e m’accorgo che si è dimenticata l’agenda. Cerco di raggiungere l’uscita, ma il treno riprende la sua corsa.
L’agenda m’è rimasta in mano. L’appoggio di nuovo sul tavolo, dalla mia parte e l’osservo. A dire il vero non è un’agenda, sembra un diario. La copertina è anonima, non c’è scritto nulla sopra. Tutti i suoi pensieri, sono racchiusi dentro. Tento di lottare contro la curiosità. Non è bello che io mi metta a leggere i fatti altrui. Penso però che dentro, magari ci sarà qualche indizio per poterla restituire. Sto barando con me stessa; è una scusa per tacitare la mia coscienza.
L’apro con riluttanza, combattuta ancora dal senso di colpa. Sulla prima pagina c’è scritto: diario di Tiziana…. segue il cognome, che ometterò. Nella riga successiva lei usa uno pseudonimo, un nickname, come si usa su internet: Titti Bloom. Sorrido pensando che forse è una fan di Orlando Bloom.

22 novembre

Il 20 m’è scaduto il contratto di collaborazione con la biblioteca. Dopo tre mesi di noiosissimo lavoro, ho accumulato un po’ di soldi, tutti miei. Ci ho pensato tanto, sarebbe stato saggio metterli da parte, in attesa di nuovo lavoro. Non ho potuto resistere, mi sono fatta un regalo fa-vo-lo-so!
Dopo averla vista e rimirata in una vetrina in centro, tante di quelle volte da aver quasi consumato il marciapiede davanti, stamattina sono entrata, senza rimorsi, decisione presa: l’ho acquistata. La mitica borsa di Prada, m’è costata due mesi di stipendio. La nonna, quando gliel’ho mostrata, scuoteva la testa, ha detto che non sono saggia. Lo so ma che dovrei fare? La formichina che accumula pochi spicci alla volta, in attesa della prossima fonte di guadagno? Per ora mi sono fatta un regalo. Domani devo incontrare le mie amiche per un tè, chissà che faccia faranno…

21 novembre

Ho aperto l’armadio. Volevo trovare qualcosa di carino da mettere, che non stonasse con la borsa. Ho tirato fuori tutto. Provato e riprovato ad indossare i miei abiti. Non c’era nulla che potesse andare. Ero davanti allo specchio quando s’è aperta la porta. Mamma stava lì a bocca aperta, inorridita davanti al disordine, ha chiuso sbattendo la porta, senza dire una parola. Sistemerò tutto più tardi. Uffa ma che le importa a lei, se è tutto sottosopra, è la mia stanza in fondo.
Esco per cercare qualcosa di adatto e chiamo Giada, la mia migliore amica. Non posso più tenermi, le dico della borsa.
Prada! Esclama lei e poi per un secondo non ha più parole. Devi farmela assolutamente vedere, soggiunge poi. Ci diamo appuntamento in centro, così mi aiuterà a scegliere qualcosa di adatto. Faccio un rapido conto di quanto m’è rimasto dei miei guadagni. Pazienza, se poi non avrò più soldi. La nonna non me li nega mai, quando glieli chiedo.

22 novembre

Ho aperto l’armadio. Mi sono messa quel completo stupendo che ho acquistato ieri con Giada. Ho indossato gli stivali, nuovi anche quelli, e la mitica borsa!
Alle cinque e mezza, incontrerò Sandra, Laura e Licia, sono mesi che non le vedo. Lo so non sono proprio le mie amiche del cuore, anzi a dire il vero sono anche un po’ invidiose. Sempre lì a lanciare frecciate. Oggi sono sicura che le farò diventare verdi e la mitica borsa, sarà la mia fedele alleata.
Ho avuto ragione. Verdi, sono diventate verdi! Per un po’ sono state lì senza parlare, un po’ troppo imbarazzate dall’invidia. Hanno cercato d’ignorare la borsa, mi hanno squadrata da capo a piedi, ma neanche una parola. Poi Laura, con il tono più ingenuo del mondo, ha chiesto: Hai cambiato pettinatura? Questo è stato tutto. Nella sala da tè, non hanno fatto altro che nominare tutti i ragazzi che le stanno dietro. Una collezione, peggio delle figurine dei calciatori che facevano i maschi alle elementari, un ce l’ho, mi manca. Mi sono sentita tanto a disagio. Io che il ragazzo non ce l’ho e che non avevo nulla da collezionare.
Sono rientrata a casa con la bocca amara. Mi sono forse illusa che quelle siano amiche? La borsa non m’è servita. O forse sì? Però resta l’amaro.

1 dicembre

Ieri mi ha telefonato Giorgio, un vecchio amico di liceo. Sono tre anni che non lo vedo. Una vita! Chissà perché ci siamo persi di vista. Stasera andiamo a mangiare una pizza insieme. Mi ha raccontato un po’ di lui, mi ha detto che l’altro ieri, mentre sistemava l’agenda del cellulare, ha visto il mio numero e gli è venuta voglia di chiamare.
Ho aperto l’armadio. Cosa mi metto? Vestito elegante? No, non mi pare il caso, è solo una cena tra amici.
Prendo i jeans, quelli con i ricami sulle tasche. Apro il cassetto. In fondo c’è quella vecchia maglietta che indossavo a sedici anni. Non la metto più da tanto tempo. E’ quella che mi regalò Giada per il compleanno. Ha un gattino grazioso stampato sopra. Si è fatta un po’ stretta, pazienza. Ho deciso metterò questa! Rivangheremo i vecchi tempi e mi sembra il capo più adatto. Prendo le scarpe da ginnastica argentate, lo zainetto ed esco.

0re 01
Sono qui, nel letto che piango di rabbia! Sono una stupida! Me lo sto ripetendo da un’ora.
Giorgio mi aspettava davanti alla pizzeria. Abbiamo cominciato a parlare dei vecchi compagni. Ti ricordi Paolo, quello che non passava mai i compiti di matematica? Il secchione della classe? E Antonella, ho aggiunto io, che litigava sempre, perché diceva che le mettevo in disordine il banco? Giù a ridere come due matti. Abbiamo ripercorso un po’ i nostri anni di liceo, mi sentivo ancora un po’ ragazzina. Mentre stavamo lì a sorseggiare una birra, l’ho visto improvvisamente farsi serio. Mi stava fissando. Cercavo di capire, cosa avesse da fissare tanto. Mi stava guardando le tette! Quel porco! Maiale! Si è accorto che avevo capito, ha distolto lo sguardo ma non ha smesso quell’aria bavosa. Siamo usciti e ha provato a mettermi le mani addosso. Ho ricordato perché non l’avevo più sentito. Era quello che ci provava con tutte, finiva sempre per metterti le mani addosso. Imbecille! Cretina! Sì sono una cretina. Come ho fatto a non pensarci. Volevo passare solo una serata divertente, ricordare il passato. Invece è finita con il ceffone che gli ho mollato.
Ho preso la maglietta, l’ho tagliata a strisce, mentre furibonda, continuavo a singhiozzare.

2 dicembre

Ho spento il cellulare. Oggi non voglio sentire nessuno. Non ho dormito molto stanotte. Girandomi e rigirandomi nel letto, riflettevo sul disastro della serata. Cosa ho io che non va bene? Quelle tre arpie collezionano “figurine” e io, che al massimo raccatto la sottospecie di bava colante di Giorgio. Mi sono alzata a fatica.
Ho aperto l’armadio. Ho preso nel primo cassetto quel pigiama di pile, tutto intero, con la lampo davanti, quello che mi ha regalato nonna a Natale. Non mi piace, perché è scomodo, però oggi mi fa sentire protetta, sarà la mia armatura contro il malumore e le “bave colanti”. Indosso le pantofole a coniglietto rosa. Troppo carine! Me le sono comprate l’anno scorso a Barcellona con Giada. Mi fanno tanto sentire coccolata. Sono il mio Teddy Bear consolatore, le indosso sempre, quando sono giù di corda.
Vado in cucina. Oggi faccio tutti dolci. Dolci coccolosi, così magari mi passa la depressione.
Mamma è in ufficio, nonna è in giro con le sue amiche. Oggi la cucina è tutta mia!
Mentre mescolo, farina e uova, zucchero e cacao, lentamente la mia rabbia si placa. Inforno e mentre aspetto, faccio cioccolatini. Chi se ne importa della dieta, tanto a che mi serve essere magra?
Nulla, non c’è nulla che possa fermare la mano, è già partita. Stacco un piccolo pezzo di cioccolata, lo metto in bocca. Le sensazioni gustative, passano dallo sciogliersi del cioccolato, al dolce dello zucchero ed infine all’amaro del fondente che resta persistentemente in bocca. Una calma, una pace scende finalmente su di me, tutti i problemi, i disagi sono scomparsi, resta soltanto la gratificazione per quel gesto. Ma dura poco…

4 gennaio

E’ un po’ che non scrivo qui sopra. I soldi sono finiti da un pezzo, quelli regalati a Natale, anche. E’ qualche tempo che sto cercando di nuovo un lavoro. Ieri mi hanno dato appuntamento per un colloquio, ci devo andare nel pomeriggio. Rimango con le dita incrociate, in senso metaforico è ovvio, un gesto scaramantico, non si sa mai.
Ho aperto l’armadio. Non ci ho messo molto a decidermi. Il mio solito, classico tailleur blu. Metto le scarpe a tacco medio, non mi va che pensino che sto provando a sedurre qualcuno, per avere il posto. Chiudo tutti i bottoni della camicetta bianca, tranne gli ultimi due e metto quel ciondolo d’oro a quadrifoglio: il mio portafortuna. Abbigliamento semplice, classico ed essenziale.
Alle quattro meno un quarto, sono già davanti all’agenzia. Il tizio che deve farmi il colloquio, siede dietro la scrivania, apparentemente continua a scrivere, m’ignora per un po’. Pensa di mettermi a mio agio? Sono nervosa. Non è la prima volta. Ogni volta però, uno stress! Fai il colloquio, speri di andare bene, aspetti e spesso non hai neanche una risposta. E’ una festa quando ottieni un contratto per sei mesi. A Giada, l’hanno rinnovato di nuovo, riuscirà a lavorare per un anno intero. Sembra una favola.
Mentre stavo lì, immersa in questi pensieri, il tizio mi dice di sedermi. Mi siedo incrociando le gambe, non le accavallo, non voglio pensi male.
Ha letto il curriculum, mi fa un sacco di domande. Ho le mani sudate e non m’accorgo che le stringo ogni tanto tra loro. Apro e chiudo la penna a scatto. Lui mi osserva le mani, mentre sta lì ad ascoltare. Esco e ci rifletto dopo, ho dato un’impressione d’insicurezza. Mi sono fatta tradire dalle mani, accidenti! Non credo che richiamerà. Apro la borsa Prada e mi metto in bocca una caramella per addolcire la frustrazione.



20 gennaio

La settimana scorsa, al compleanno di Giada, ho conosciuto un ragazzo favoloso. E’ carinissimo, gentile, dolce, intelligente…
E’ il fratello di una nuova collega di Giada. Sono rimasta affascinata come una scema a guardarlo, mentre mi parlava. E’ da allora, che non faccio che pensare a lui.
Il cuore m’è balzato in gola, quando oggi mi ha chiamata al cellulare. Gli avevo dato il numero ma non ci credevo per niente che m’avrebbe chiamata. Lui è così bello e io così imbranata.
Vuole uscire stasera. Oddio, sto diventando matta! Vado dal parrucchiere e mi faccio fare un taglio “figo”!
Ho aperto l’armadio. La circostanza esige che io rimetta tutto all’aria. Al diavolo mia madre!
Cosa mi metto? Uffa, non ho mai nulla da mettermi.
Alla fine, esce l’ultimo capo, in fondo all’armadio. L’avevo dimenticato. Un vestito attillato, quello scollato, che avevo comperato per una serata importante e non ho mai messo. Ha ancora il cartellino attaccato.
Lo indosso, niente male, sembro anche, un po’ più “vecchia”. Le scarpe coi tacchi alti, quelle stavolta le metto e pazienza se ci cammino male sopra. Cercherò di stare attenta. Il girocollo di nonna, fa tanto vintage, se glielo chiedo, sono sicura che me lo presterà.
E’ ora, esco inciampando nei tacchi. Lui m’aspetta sotto casa in macchina…


A questo punto smetto. Ho già letto troppo. Non voglio sapere come finirà la storia.
Rifletto e penso alla grigia notizia del giornale, letta poco fa. Discussioni di politici sul futuro dei giovani.
Penso a Titti Bloom, alla sua insicurezza, alle sue aspettative, alle sue sofferenze; celate in un armadio.
[Modificato da kamo58 18/03/2009 12:39]