00 04/02/2005 16:21
Potrei incominciare dalla morte di Nino Manfredi, anche se non so dire se sia giusto o sbagliato, e in fondo non ha importanza, usare questo dolore mio personale, privato e collettivo come valido pretesto introduttivo per un discorso diverso, ma se mi è venuta questa "ispirazione" significa che senza dubbio esiste un'attinenza e dunque inizio da qui: anche Nino Manfredi se ne è andato, e viene da chiedersi se, come qualcuno ha detto, fosse lui proprio l'ultimo, l'ultimo testimone di un'epoca comunque già finita, chiusa da troppi cambiamenti spesso repentini, qualche volta anche troppo.

Non identifico un decennio o una generazione, ma un "periodo" che può comprendersi tra il dopo-guerra e i primi anni ottanta, diciamo come parlassi di un albero lungo un quarantennio, allungato da qualche propaggine in forma di radice all'indietro (dagli anni di guerra) e di qualche ramo in avanti (fino alla fine del comunismo sovietico e della prima repubblica) che porta infine a coprire un cinquantennio e ad abbracciare all'incirca tre pseudo-generazioni di adulti, restando al parallelo con il mondo del cinema italiano: i padri (Totò, De Sica, Eduardo e Peppino De Filippo, Fabrizi, Cervi, Macario, Taranto), i figli (Sordi, Manfredi, Mastroianni, Gassmann, Tognazzi, Volontè, Rascel, Bramieri) e i nipoti (nella cui categoria, lasciando da parte le immagini esemplifictive degli attori, inserisco tutti quelli che sono nati fra il 1946 ed all'incirca il 1965 o poco oltre, cioè i quarantenni di oggi, mentre i trentenni e ventenni d'oggi sono già nipoti e pronipoti ed appartengono già al "periodo" successivo, cioè a questo che stiamo vivendo).

Ecco: spariti ormai da qualche tempo i "nonni", ho come l'impressione che con l'addio di Manfredi siamo orami rimasti fisicamente senza "padri". Peraltro si tratta di padri, non parlo solo di attori e volti comunque noti, già messi culturalmente e spiritualmente da parte, sebbene con tutti gli onori e il rispetto formali che si esibiscono specialmente quando viene a turno per ognuno di questi protagonisti del passato il momento di incasellarne la figurina in un album dei ricordi, subito riposto fra la polvere dove giace fra un'uguale occasione e l'altra, finché l'album è pieno e allora si svolge l'ultima cerimonia, si rende onore insieme all'ultimo illustre trapassato e ad un intero album che si chiude per sempre e viene riposto nella polvere sotto ad un album nuovo.
Ho l'impressione che questi padri già da qualche tempo fossero rimasti in circolazione come sopravvissuti di un'epoca già archiviata, ma vado oltre: la mia impressione arriva a suggerirmi che questo stesso destino abbia abbracciato i figli, quelli che non si sono adeguati ai nuovi tempi, quelli rimasti fedeli ad una linea tracciata dai nonni, perseguita dai padri e ormai uscita dal percorso attivo della cultura, della società e dell'esistenza, come un binario morto che ancora si allunga come per inerzia verso il suo definitivo capolinea.

A questi figli, ed io sono fra questi, rimangono solo il ricordo e il rimpianto di un tempo vissuto, passato ed irripetibile; non rimane invece più nemmeno il dovere della testimonianza, perché certi valori e certe idee oggi non possono essere accettate e a volte neppure recepite.
I figli che lasciamo non sono nostri figli, perché non sono nipoti dei nostri padri, ma sono già figli dei tempi nuovi e padri dei figli che li seguiranno sulle nuove strade segnate da quel qualcosa di oscuro che ha preso il predominio su tutto e, alleato con l'ineluttabile trascorrere del tempo, ci ha resi o vigliacchi sconfitti, inseriti e pienamente omologati o inutili ed ignoti eroi pieni di orgoglio quanto incapaci di difendere, di coltivare e di trasmettere l'eredità ricevuta.
Non c'è nulla di peggio che andarsene con l'orgoglio di non avere tradito un discorso che nessuno più vuole ascoltare, accompagnato con il senso di colpa che permane per non aver portato a termine una rivoluzione già incominciata, senza essersi resi conto in tempo che una nuova rivoluzione era in atto e si è compiuta infine nel segno della totale discontinuità con le idee e i valori di fondo a cui si è rimasti aggrappati, a cui si è voluto giustamente rimanere aggrappati, senza avere la forza e la scaltrezza necessarie per mantenerli vivi ed imporli.

Così, tutto quello che oggi vedo, ascolto e mi attraversa non mi convince, non mi piace, mi fa rabbia, mi dà angoscia, mentre mi rendo conto ogni giorno di più che la mia opinione non conta, per quanto condivisa da qualche superstite solitario; mi rendo conto che ogni mio intervento impegnativo ed ogni mia parola seria nascono e si esprimono assolutamente nella solitudine, in un secolo e in un mondo che non hanno più nessun rispetto per l'individuo e non lo tengono in alcun conto, al di là del suo ruolo di "consumatore", che comunque si può individuare unicamente attraverso indagini di massa, perché il pensiero ed il gusto singoli ed individuali non interessano a più a nessuno.
Dunque mi trovo ancora a parlare e scrivere "in pubblico" con la consapevolezza che le mie parole verranno ignorate o nella migliore delle ipotesi giudicate in base a schemi e preconcetti, ma proprio trattandosi di un pensiero e di parole che sfuggono a qualsiasi base concettuale pregressa, che rappresentano solo l'urlo pessimista, isolato e solitario di qualcuno che dimostra di non rispettare regole minime di correttezza, di pacifiche convivenza e convenienza, di autocensura e di diplomatico equilibrio, tutto quello che penso e che dico non sarà mai in grado di smuovere una sola coscienza, di far sorgere un dubbio, di sfuggire al più noncurante, indifferente e perciò letale di ogni possibile oblio.

Ma allora, ha un senso continuare a pensare e a parlare in pubblico? Far sopravvivere un dovere di testimonianza che, come ho già detto, non ha più motivo d'essere? Evidentemente no, non ha più alcun senso, e sinceramente non ne ho più nemmeno voglia; questo certamente non è da oggi, ma di oggi è questa conclusione e da oggi hanno vigore le sue conseguenze pratiche, prima fra tutte la scelta del silenzio, che se non altro mi consentirà di dedicare ad altro una discreta porzione di tempo libero, fino ad oggi sottratta per esempio allo studio, alla ricerca e all'approfondimento intorno a materie e temi che mi sono particolarmente cari, ma soprattutto, dopo questo ultimo sforzo, mi libererà dal peso di testimoniare e proporre, a chi nemmeno interessa, insieme alle rovine di un'epoca la mia opinione, la mia profonda delusione, il mio dolore e, infine, la mia stessa presenza.

Questo è il mio ultimo intervento su di un Forum pubblico.

Saluto tutti gli amici.
Chi volesse leggere le mie cose artistiche, le uniche attraverso le quali continuerò ad esprimermi, sa dove trovarle, sempre abbastanza aggiornate.
Chi volesse continuare il dialogo potrà farlo in privato mediante il mio idirizzo email: silbar59@libero.it .

Ciao a tutti.


Walko
05/06/2004 15.01

freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=2517319




[Modificato da Cobite 27/01/2009 18:15]