Probabilmente aveva cominciato ad amarlo per quella sua voce modulata, misurata come il respiro di un'onda, che talvolta poteva tramutarsi in un impeto, irrompere fragorosamente e divenire
quasi marmorea, solenne. Forse era stato invece per la lunghezza delle ciglia, la curva
del labbro superiore,o magari per la particolare forma del suo sorriso: le diverse geometrie per cui cambiava a seconda di ciò che guardava non le erano note, ma tutto ciò che risultava sconosciuto l'affascinava. Perfino le dita sembravano un prodigio, leggere, compivano carezze con piccoli passi di danza, sulla pelle umida.
C'era una precisione nei suoi movimenti, nell'incedere, tutto avveniva come se un pittore mai affaticato e sfiorato dal sonno lo seguisse e ne ritraesse ogni espressione, ogni mossa.
Il suo era un fascino miracoloso e spaventoso, poiché risulta difficile contemplare tanta bellezza in un solo corpo, fra tanta carne e ossa da sgretolare, quasi impossibile pensare all'apollineo, ai volti degli dei. In lui conviveva un compromesso fra l'umano e l'irreale, e lei così legata a quel suo mondo fatto d'oggetti, di cose, di magre persone con sottili ideali, a stento comprendeva, assimilava, e si beava di qualsiasi attimo, anche il più silenzioso, il più povero.
Tanta era l'abitudine all'errore, l'adeguarsi al difetto, l'accontentarsi di sorde gioie che tutta quella felicità senza graffi, priva di ruggine, la incuriosiva e la rendeva incredula, incerta. Poteva esistere tale entità, la prova di una serenità limpida e offuscata da alcun dolore ? Poteva lei, proprio lei, toccarla con le dita senza sciuparla ?
L'avrebbe solo osservata da lontano, se necessario. Sarebbe stato come ammirare una rosa incapace di sfiorire ma solo in grado di attingere a nuove colorazioni, progettare differenti fragranze. Tuttavia era bramosa di quei petali, li voleva sulle labbra, e nelle narici assaporare quegli aromi afrodisiaci. In questo modo si cibava di ambrosia nell'olimpo accanto alle divinità, si nutriva del nettare delle sue parole, degli oli profumati dei suoi gesti.
[Ma un mortale nel paradiso è d'impiccio, una prigionia ingombrante, uno storpio disegno mal riuscito che non merita d'essere rappresentato fra tanto candore.
L'eretico, l'infedele ancora non sa nella sua illogica ignoranza, che tali sorrisi valgono oro e future pene. L'ingenuo non lo può sapere, non vuole essere a conoscenza del dazio, dell'amara tassazione che gli verrà inflitta.
Il folle è innamorato e in quel caos non esiste il dolore, le lacrime e la frustrazione.
Il folle non sente ragioni se non le sue e ciò che riguarda il suo amore.
Il folle è folle perché se anche soccomberà, ancora grato sarà di tutti quei baci dati
e con la vita pagati.]
Lei si cibava d'ambrosia nell'olimpo accanto alle divinità e nulla temeva, nulla la impauriva.
[Modificato da Cobite 17/09/2011 09:36]