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24/03/2010 11:57 | |
Ho sentito uno psicologo dire alla radio che al mattino appena alzati, per stare meglio con noi stessi e, perché no, raggiungere la felicità, dobbiamo interrogarci ponendoci le seguenti domande:
“Io chi sono?, come sto?, dove vado?”
Se questo è il consiglio dello specialista, significa che è importante per la nostra salute psichica e, siccome la mia non è delle migliori, ho pensato di seguire questa “quesito-terapia”.
Detto fatto, appena scesa già dal letto mi sono chiesta:
- Chi sono? –
Beh, sono Lorena Turri, nata a …………, il ……………, residente in ……………….
Ho ricordato a memoria persino il mio codice fiscale (non si sa mai, a volte fosse precipuo per riconoscermi meglio e soprattutto per individuare il mio sesso caratterizzato da quel “40” in aggiunta al giorno di nascita, che ho sempre pensato essere il numero di neuroni in più che le donne hanno rispetto agli uomini) e ho aggiunto qualche informazione circa la mia attività di casalinga e le mie abitudini; il mio essere madre, i miei cibi preferiti, gli interessi, le malattie infantili, i vaccini eseguiti, il mio gruppo sanguigno e, elemento che ho ritenuto importante, la regolarità o meno del mio intestino. Ho glissato sulla mia attività sessuale, perché l’ammissione dell’assenza della medesima avrebbe sicuramente scaturito un'animosa ed animata discussione tra me e me, dando luogo a stati di depressione confusionali che, appena alzata, mi avrebbero sconvolto l’intera giornata.
Mi sono proposta di affrontare l’argomento in tarda serata nella speranza di rimanere avvinta dal sonno.
- Come sto? –
Beh, questa mattina, nello specifico, non sto molto bene. Ma di solito sto peggio.
Sono afflitta da forti dolori mestruali che dovrò eroicamente sopportare non essendo avvezza ad assumere farmaci antidolorifici. So di essere un soggetto allergico, ma non ho cognizione alcuna riguardo alle cause della mia allergia farmacologica, non essendomi mai sottoposta ad un accertamento clinico in merito. Evito ogni farmaco avendo appurato, con mere esperienze empiriche, che anche una semplice aspirina mi procura un'orticaria persistente. Perciò, qualsiasi malanno mi capiti, me lo tengo zitta e cheta senza lamentarmi e senza proferirne parola con chicchessia. Tanto, per appurata esperienza, come sempre, non sarei creduta. Nella sopportazione della sofferenza fisica, mi sento come un’Eva condannata al dolore e ciò m'infonde una sorta di esaltazione spirituale che mi eleva rispetto al lamentoso e insofferente maschio di casa e non solo.
- Dove vado? -
Che domanda! Non vado mai da nessuna parte, perché sono al limite dell’agorafobia, ho timore di parlare con la gente, rifuggo più che posso le uscite da casa e mi concedo quasi esclusivamente di recarmi al supermercato una volta a settimana essendo la spesa, la più importante delle mie attività domestiche! Come potrei cucinare per i miei familiari, altrimenti? Domanda inutile alla quale, in qualche modo, voglio rispondermi. Vado in giro per la casa, da una stanza all’altra, parlottando da sola, raccontandomi storie immaginarie, piangendo, ma anche ridendo dell’assurdità della mia condizione socio-economica-psico-familiare che ritengo più unica che rara.
Inesorabilmente, questo passeggio giornaliero, mi conduce sempre nello stesso luogo alla fine della giornata, vale a dire a letto dove, solitamente, faccio dei sonni profondi, stremata dalla routine del mio andirivieni casalingo e cerebrale.
Ecco fatto! Terapia eseguita.
Non avverto alcun cambiamento.
Anche i dolori mestruali insistono.
Posso fare una domanda allo psicologo?
“Dottore, domattina posso rispondermi mentendo?
Può essere che, con un’altra identità, con una salute ineccepibile e con la possibilità di prendere antidolorifici in caso di dolori mestruali e con una vita ricca di voglia di fare, di cose da fare, di amici da frequentare, di luoghi da raggiungere e soprattutto, di certezze affettive ed economiche, la terapia funzioni?
Si prenda tutto il tempo che vuole prima di rispondermi, io sono abituata ad attendere.
La mia vita, dottore, è un’attesa.
L’attesa della morte.
Sa che significa, dottore, passare i giorni attendendo la morte?
La morte della vita.
Sono già morta, dottore!!!
I morti non hanno più domande da porsi e da porre.
I morti sono - finalmente - felici!
Le auguro una felice giornata, dottore."
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