Il re ferito sedeva sulla sponda del fiume.
Alle sue spalle, in piedi, stava il giullare.
Non c’era altro che quiete e silenzio.
Alla fine, fu il giullare a parlare di nuovo.
“Non esiste solo il campo di battaglia, mio signore.”
Il re, assorto in assenza di pensieri nella pace di quel luogo, si volse a guardarlo.
Il suo viso era disteso, privo di espressione, come se ancora non avesse compreso quelle parole.
“Alzatevi. Tornate al castello. Potete vivere in pace, nel mezzo della gente che vi conosce e vi ama. Insieme ai vostri cari e i vostri sudditi.”
“Nessuno vi chiederà di tornare in battaglia. Nessuno ve l’ha mai chiesto. Siete stato voi a voler combattere, credendo che fosse per voi l’unico modo di vivere.”
“Siete nato con la convinzione che la guerra e la vita fossero la stessa cosa. O meglio, che la vostra vita e la Vostra guerra fossero la stessa cosa. Ma non è così.”
“Quella ferita non è una maledizione. Doveva essere la vostra salvezza, e in un certo senso lo è stata.
Guerra dopo guerra, a cercare nemici sempre più potenti, cosa avreste ottenuto ?
Solo sangue, morte e distruzione.
Ma voi non avete compreso la via di salvezza che vi è stata offerta… e avete cercato fino allo stremo una cura per poter combattere ancora.
Il graal esiste… fu il destino benevolo a impedirvi di trovarlo, affinchè non distruggeste la vostra esistenza.”
Taque, e rimase solo il mormorio del fiume.
Il re sapeva che non stava parlando più con il giullare.
Si alzò in piedi e guardò di fronte a lui il signore della luce.
“Io non sono degno del vostro perdono…” e cadde in ginocchio davanti a Aatangaard.
Le lacrime gli scorrevano sul viso, ma erano lacrime di gioia.
Poteva sentire, dopo lunghi anni di oscurità e sofferenza, tutto il calore della luce.
“Il mio perdono ? Il mio cuore è colmo di gioia, perché oggi tu hai perdonato te stesso…”
Gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi.
“Torna al castello”.