Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!
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Annette

Ultimo Aggiornamento: 31/12/2009 17:26
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30/12/2009 23:49
 
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Lui era stato capace di farle male, di lasciarle una lacerazione insanabile nell’anima, una di quelle che non si riesce a debellare neanche con i migliori farmaci. Il tempo? Non era servito, anzi aveva aggravato le ferite e riaperto cicatrici nel momento esatto in cui Annette aveva pensato di avercela fatta e di essersi rialzata. Niente… il passato emergeva prepotente sul suo cammino e la intralciava, talora la faceva inciampare e cadere sul grigio e duro asfalto del presente dove il suo dolore si posava, ormai prostrato e fatto a pezzi . Ciò che era accaduto innanzi tornava, crudele e caparbio, nella deformazione del presente, in un gioco di specchi deformanti, in una rielaborazione mentale che non poteva tener conto dell’ attimo trascorso, dell’ “hic et nunc” di una volta, del momento in cui si verificò un determinato accadimento , dell’ istante in cui Annette percepì che stava nascendo un sentimento. Ed era un sentirsi morire piano piano, ad ogni passo di quelle logore ciabatte di pezza azzurre.

Aveva amato Enrico, sinceramente, gli aveva creduto e si era donata completamente a lui. Era accaduto quando lei era giovane, ai tempi dell’ Università. Allora Annette aveva un corpo snello, una vita sottile e forme aggraziate, appena accennate: era bella e deliziosamente formosa. Nulla in lei era fuori posto. Anche i suoi modi erano gentili e ben educati. Aveva i capelli neri che le incorniciavano un viso dalla carnagione chiara e dai lineamenti delicati. I suoi occhi azzurri ispiravano purezza e bontà in chiunque l’avesse avvicinata; le sue labbra ben disegnate e di un color rosa concludevano un quadretto angelico.

Si era innamorata di Enrico dopo poche lezioni: era affascinante, guardava negli occhi i suoi studenti, apparentemente aveva quella serietà e quell’affidabilità che Annette inconsciamente andava cercando in un uomo. Lei, orfana di padre. Ci fu qualche incontro nello studio del Professore e credette che si fosse stabilito un buon rapporto culturale ed umano.

Ma il tempo passa… ed è inclemente.
“Dio mio quant’ è pesante questo mio fardello e quando potrò fermarmi un attimo appoggiando la mia croce per terra?” Annette non sapeva darsi delle risposte nei pochi momenti di lucidità che i fumi dell’ alcool le lasciavano. Il paese in cui viveva era meschino e per nulla generoso. La chiamavano “la bugiarda”: nei momenti di massimo abuso dell’alcool Annette scherzava, rideva e negava di aver bevuto. Diventava,allora, per gli altri bugiarda in tutto e disprezzabile in quanto “diversa”. Presto si ritrovò completamente sola, con i suoi polpacci e le sue caviglie gonfie, le sue vene bluastre che sembravano voler schizzare fuori da quel carnato bianco per punire chi le era ostile. Sola, era sola. La solitudine di chi viene schivato perché temuto, perché maleodorante, perché non ritenuto “normale”. Già … normale: ma cos’ è poi la normalità? Qualcuno ci ha mai spiegato razionalmente in che cosa consiste la normalità? E qualcuno, per caso, è venuto mai ad illustrare al genere umano quanto sia bella la “diversità” nella sua ricchezza? No, mai e poi mai. E così neanche ad Annette; nessuno glielo aveva spiegato e lei vagava per il paese con quei suoi liquidi occhi azzurri che avevano abitualmente un’ espressione interrogativa dolcissima, quasi avesse voluto avere delle risposte dagli altri.

Della sua storia d’amore con Enrico non ricordava molto: solo l’ inizio e la fine, i due poli, gli antipodi, gli opposti. I sogni, le speranze, le illusioni e il naufragio di tutto, la catastrofe, la rovina. Erano frammenti, pietruzze, tasselli di un mosaico che le amnesie sempre più frequenti di Annette non riuscivano a mettere insieme. Sensazioni… In lei permanevano immagini sfuocate , ritagli di felicità e di giovinezza ma tutto era così confuso da non riuscire a trovare la logica geometrica del pensiero.

Che bello quel giorno quando Enrico la invitò in quella latteria di fronte alla città universitaria, posto molto frequentato dagli studenti nelle fredde giornate d’ inverno per gustare un bel cappuccino o una fumante tazza di cioccolata con panna! E poi il primo incontro informale: ad esso ne seguirono altri … Annette non ricordava più… Ricordava solo l’ epilogo, quando scoprì di essere incinta e lo comunicò al suo amore. Ma quale amore! Il suo amore rise di lei che voleva tenere il bambino ed anzi le rivelò di avere già una famiglia. Enrico si prese gioco di lei e, di fronte alle sue lacrime, le disse che era una debole, senza cervello e senza personalità. Le disse che al suo fianco avrebbe voluto una donna decisa e non una come lei, pronta a subire e a commuoversi per un nonnulla. Lei era stata solo un giocattolino nelle sue mani, un divertimento ed ora veniva incolpata di essere eccessivamente attaccata al suo uomo, ansiosa per lui e per le sorti del suo bimbo. Già il suo bimbo che non vide mai la luce.

Annette da allora impazzì. Troppo grande era stato quell’ amore per il suo giovane cuore, incommensurabile il suo slancio di generosità tradito da un uomo indifferente e ostile. Il dolore le squarciò il cuore e le fracassò il cervello. Niente fu più nitido ai suoi occhi; la realtà venne avvolta da un velo umido e appiccicoso dal quale non riuscì più a liberarsi. I suoi respiri divennero singhiozzi ed il pianto la sua quotidianità. Aveva avuto ragione Enrico, dunque: era una donna debole ma capace d’ amare infinitamente il proprio uomo.

Arrivò un inverno più gelido degli altri. Annette sempre in giro con le sue pantofole di pezza, la gonnellina scozzese e la camicia di cotone a maniche corte. Girava da un bar all’altro in cerca di qualcosa di caldo e di alcolici. Chi le desse i soldi per pagare rimane un mistero. La sua pelle era sempre bianca ma flaccida e rugosa, i suoi capelli ormai grigi ed ispidi. Dimostrava più della sua età. Una sera la temperatura scese sotto lo zero: nessuno l’ ospitò dandole un ricovero provvisorio. Dei giovani, vedendola rincantucciata contro il casottino di un bar, un po’ per motteggiarla, un po’ per pietà, le donarono una bottiglia di whisky.

La favola della giovane Annette si ripeté ad ogni sorsata ed il mosaico si ricompose, piano piano, fino a formare, ancora una volta, il volto di lui. Poi, terminata la bottiglia, Annette chiuse gli occhi e trovò la sua pace.



[SM=x142887]


Laura.
[Modificato da Raggio di Sole21. 30/12/2009 23:53]


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Laura______Raggio di Sole21.
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31/12/2009 09:38
 
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Sia per questo che per l' altro racconto ti faccio i miei complimenti.

La lettura scorre leggera e nello stesso tempo apre la mente a riflessioni profonde.


Brava.



Claudio


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"ogni cosa che ha un inizio ha una fine"
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31/12/2009 15:01
 
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Commovente!
E fa pensare a quanti Annette ci sono, a quante oltretutto riescono a cavarsela e a quanti cialtroni che ne approfittano e non pagheranno mai.

E' una storia che scorre veloce, ma lascia dentro un amaro incolmabile.

Brava. [SM=x142874]

[SM=x142892] Giancarlo



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- Quando le parole hanno la musica dentro e la strofa è canto, allora il pensiero è diventato poesia.- (Cobite)
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31/12/2009 17:26
 
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Sempre piu' sorprendente nella narrativa, come lo sei con le tue poesie. Mi e' piaciuta molto questa storia cosi' triste, ma molto reale: molte delle persone che si trovano nella condizione di Annette hanno vissuto simili tragedie. [SM=x142922]


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Giovanna
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