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IL PROPRIO DOVERE

Ultimo Aggiornamento: 20/07/2008 23:46
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Pasquale faceva sempre coppia con Nicola con lo stesso turno. L’auto di servizio era sempre la stessa, con la maniglia destra della portiera che si apriva solo dall’esterno. La zona di controllo era sempre uguale ed il tipo di servizio era sempre lo stesso: il pattugliamento per le auto in sosta (quasi sempre a ridosso della Stazione Centrale).
Ma una differenza c’era. Il primo era sposato con una bellissima donna, aveva due figli, l’altro non aveva nessuno, neanche i genitori. Le uniche sue amicizie erano i colleghi, anzi il collega.
Nicola aveva già deciso di cosa fare della sua vita: da tempo lo aveva deciso. Ma rimandava sempre perché ogni volta sentiva che voleva e doveva fare il proprio dovere.

* * *

Quello che si occupava degli aventi diritto della Legge 104/92, un certo De Matis, veniva chiamato “il segretario” ma non era altro che un Play Boy che aveva come hobby il “sistemare” le pratiche d’invalidità.
Il suo compenso extra era meno più o meno di quello di qualsiasi altro membro della commissione, lui considerava questo come un’ingiustizia, infatti era lui che selezionava le pratiche. Comunque 4.000 euro erano sempre meglio di niente.
Le pratiche venivano vagliate a secondo del grado di necessità: quelle più realmente urgenti venivano boicottate in tutti i modi (in maniera tale che “i clienti” - così venivano chiamati gli aventi diritto) venivano agganciati per un “compromesso”. O pagavano 50.000 euro o non avrebbero visto nemmeno l’ombra della 104. La legge era ferrea. Chi invece non aveva molto da perdere (perché in realtà ci “aveva solo provato”) sapendo di non avere molte speranze, non tentava più e lasciava il

* * *

Pasquale aveva un solo tormento: Gerardo, il figlio più piccolo. Basso rispetto alla media, bianco come un albino, occhi chiarissimi. Era ammalato di una malattia del sangue che richiedeva molti controlli e continui interventi: era passato per ospedali del Nord, del Centro Nord e di Roma: provenire dal Sud non era uno scherzo. I migliori primari ospedalieri avevano accertato la gravità della sua malattia. Il bambino ne risentiva molto, si emarginava da sé e a scuola e non aveva amici nemmeno nella vita di tutti i giorni.
Il povero papà non aveva altre fonti di guadagno se non quei pochi spiccioli che il Comune gli passava come vigile urbano. Aveva fatto richiesta di avere la legge 104. Con questa legge avrebbe potuto accudire il figliolo più spesso e avere facilitazioni sull’acquisto di un’auto che serviva per i continui e disagiati viaggi.
La commissione gliela rifiutò. Eppure lui aveva portato un fascicolo spesso dieci centimetri di certificazioni dei migliori primari pubblici, che altro avrebbe potuto fare?
Fu agganciato dal “segretario”. Per questi la cosa più importante erano le donne. Parlò senza dilungarsi troppo, aveva un’ “appuntamento” galante di lì a poco. Il vigile Pasquale però non accettò compromessi.
Ma il tempo giocava a sfavore del bambino e la moglie decise di andare di persona da questo segretario: sicuramente davanti a una donna sarebbe stato più pietoso.
Ironia della sorte, proprio lui che aveva cercato di agganciarli era ora irreperibile: aveva orari molto ristretti e pochi giorni per ricevere, ed erano ben pochi, e quei pochi non li rispettava nemmeno perché andava spesso con le sue “fidanzate” in albergo (le occasioni possono capitare in qualsiasi momento).
Finalmente la moglie di Pasquale trovò questo famoso “segretario”.
«Buongiorno, siete voi il signor De Matis?»
«Sì, dite.»
«Volevo parlarvi di mio figlio.»
«Prego.»
L’accorato appello della mamma non intenerì per niente il segretario che però fece la parte di quello che prendeva a cuore la questione.
«Vede signora, la 104 è una legge molto severa perciò non posso aiutarla, ci sono dei criteri oggettivi e la commissione è l’ultima a decidere.»
«Ma non si può fare proprio niente per mio figlio?»
Lei quasi piangeva.
«No signora, a meno che…»
«Cosa, ditemi vi prego, qualsiasi cosa.»
«Vedete, per certe pratiche ci vuole più tempo e metterle davanti alle altre non sarebbe possibile ma… come vi ho detto, non vengono sempre accettate, tranne…»
«Ho capito, vi prego ditemi cosa devo fare.»
«Cinquanta.»
«Oh… ve le do subito, anzi, per la vostra benevolenza ve ne do 500, ve lo meritate: comprerete un bel regalo alla vostra signora.»
«Non sono sposato. »
«Va bene, li spenderete voi.»
«Non avete capito, cinquantamila.»
Anna ammutolì, stava per saltargli addosso, poi le venne una crisi di pianto che trattenne subito. Pensò al futuro del figlio.
«Non li abbiamo tutti quei soldi.»
«Sentite, voglio agevolarvi. Facciamo diecimila più… siete una bella signora, ve l’ha mai detto nessuno?»
«Che cosa vuol dire?»
«Nulla, pensavo solo al bene di vostro figlio…»

* * *

«Ma come, da dove li prendiamo tutti questi soldi?» esclamò Pasquale
«Li prenderemo dai risparmi che abbiamo conservato per nostro figlio.»
«Ma non ci rimarrà più niente per il suo futuro!»
«Pasquale, se tu avrai la 104 potrai curare di più il piccolo, potrai partecipare alla sua vita, provvedere meglio ai suoi bisogni…»

* * *

De Matis glieli fece guadagnare tutti e 30.000 quegli euro. Si "divertì" (se così si può dire) al massimo con la signora.
A fare quelle cose lei non era abituata anzi, con suo marito non le aveva mai fatte: si sentì umiliata come non mai in vita sua e provò uno schifo indescrivibile. Quando finì (dopo due ore) vomitò nel bagno: si sentiva “sporca”.

* * *

«Sai Nicola, alla fine del mese ci sarà un’altra visita collegiale per mio figlio» disse Pasquale tutto contento.
«Sono felice per lui e anche per te, per tutta la tua famiglia. Penso che questa cosa sia importante. In bocca al lupo.»
«Che crepi.»

* * *

Fu la quarta volta che Pasquale uscì sconfitto da quella sala. Sembrava che tutto il mondo gli fosse crollato addosso.
«Ma come è possibile, non hai detto che avevi un fascicolo alto dieci centimetri?»
«Sì, sì, non so perché abbiano bocciato mio figlio, poverino. Avevo pure pagato 10.000 euro!»
«Oh Dio mio, perché hai accettato? E poi perché così tanto?»
«Già, perché così tanto, dici tu» disse mesto Pasquale. «Nicola, amico mio, è stata la disperazione. Tu non hai un figlio malato.»
A questa considerazione il collega tacque.
«Non potrò dedicargli il tempo che avrei voluto» continuò Pasquale, «non posso rifiutare gli straordinari, capisci? E mia moglie da sola non ce la fa più.»
«Certo che capisco, anche se non ho una famiglia da mantenere facciamo lo stesso mestiere.».»
«Senti, siamo vicino casa, vieniti a prendere un caffè, oggi non mi sento proprio di fare servizio.»
«D’accordo» acconsentì Nicola.

A casa di Pasquale si stava bene, l’unica nota stonata era quel bambino malato senza colpa. Aveva uno sguardo particolare, come di uno che conosce qualcosa che gli altri non sanno.
«E così ho accompagnato Gerardo» raccontò alla moglie «e sono entrato con lui. Tutte le argomentazioni sono state inutili, non capisco perché.»
La moglie svenne.
«Anna, Anna, che hai? Svegliati, ti prego!»
La donna si riprese lentamente. La sorella di Gerardo, Roberta, andò a preparare un bicchiere d’acqua e zucchero. Quando Anna si sedette guardò Nicola ma non c’era gratitudine in quello sguardo. Lo guardava fisso come se volesse dire qualcosa.
Una volta messa sotto controllo la situazione presero tutti il caffè. Anna continuava a guardare Nicola.


(24 ore dopo)
«Senti Pasquale, ti puoi fermare un attimo vicino alla Stazione?»
«Certo amico.»
«Devo comprare delle medicine alla farmacia.»
«Non ti preoccupare, mettici tutto il tempo che vuoi.»
Nicola cercò un telefono pubblico. Inserì la scheda e compose il numero.
«Anna?»
«Sì? Chi è?»
«Sono Nicola.»
«Oh, meno male, stavo pensando proprio a te. Volevo parlarti, tu sei il migliore amico di Pasquale, non ho nessuno a cui confidarmi.»
La donna raccontò tutto.

* * *

L’Asl non era lontano da casa sua. Stava in licenza. La commissione si riuniva quel giorno. Nel frattempo non era stato con le mani in mano, aveva svolto un’indagine efficace e discreta: era finalmente risalito al “segretario”. Gli parlò ma inutilmente, negò ogni singolo addebito. Allora Nicola tentò il tutto per tutto.
«Signori» disse entrando nell’aula tra una visita e l’altra. «Ho bisogno di parlarvi del piccolo Gerardo…»
«Ma lei chi è, lo sa che non può entrare?»
«Lo so, lo so, se non fosse stato più che necessario non mi sarei mai permesso. Ecco» disse mostrando il suo tesserino, «sono un agente di Polizia Municipale, ho anche funzioni di Polizia Giudiziaria. Vi prego ascoltatemi.»
Gli undici membri, alla vista del tesserino, si guardarono in faccia e smisero di parlare.
«Il piccolo Gerardo ha estremo bisogno di essere assistito, la madre è casalinga ma non ce la fa più. Il padre ha bisogno come il pane di quei tre giorni di licenza al mese: spreca tutte le sue ferie solo per il figlio, non va nemmeno in vacanza, e nemmeno la famiglia.»
«Sì, ricordo. L’abbiamo bocciato perché la sua patologia non è definitiva: potrebbe diminuire e…»
«Ma nel frattempo i sacrifici che il padre e la madre stanno facendo non vengono ripagati. E se il figlio non guarisse mai?»
«È la legge.»
«Ma quale legge è mai questa? Io servo la legge e do tutta la mia collaborazione ai cittadini, voi invece mi pare che facciate l’esatto opposto.»
«Adesso chiamo le guardie!» disse il presidente della commissione.
«Non c’è bisogno, sono io “le guardie”.»
Nicola pensò mentalmente “uno più uno fa due”.
Puntò la pistola d’ordinanza puntandola contro il presidente.
«Ma cosa fate, siete impazzito?»
Fu il primo a beccarsi il colpo in fronte. I membri erano undici e la pistola, una Beretta BB semiautomatica 7,65 portava dodici pallottole nel caricatore.
Tutti ebbero il loro colpo di grazia, anche quelli che cercarono di fuggire.
Era rimasto l’ultimo colpo, l’aveva riservato per sé.
Al’improvviso si aprì la porta.
«Ma cosa succede qui?» Era il segretario. Quando vide la scena rimase atterrito.
La pistola cambiò lentamente direzione: il colpo arrivò senza pietà nei genitali del “Play Boy”.

* * *

(alcuni anni dopo)

«Ma perché durante le visite mi dicevi sempre “uno più uno fa due?» chiese l’avvocato.
«Okay, adesso ve lo posso dire. Io mi volevo uccidere, questa è la verità, mentre Pasquale aveva una vita distrutta. Uno più uno fa due, la mia situazione contro la sua. Uno: io non avevo nulla da perdere; due, lui aveva un problema.»
All’uscita dal carcere l’avvocato gli ripeté la tiritera per giustificare il suo onorario.
«…per buona condotta, per riconosciuta infermità mentale…» Nicola non l’ascoltò nemmeno. Si sentiva libero ma soprattutto soddisfatto.
Soddisfatto di aver fatto il proprio dovere.
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19/07/2008 14:57
 
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Conosco anchio la legge 104/92. Nel posto dove lavoro c'è un padre di famiglia che ne usufruisce di due, sei giorni al mese, avendo due figli gravemente handicappati...
La tua storia è drammatica e mi ha colpito, perfettamente plausibile in questa nostra povera Italia di oggi.
Mi domando : perchè siamo arrivati a questo punto? Come è stato possibile? Perchè esigenze e bisogni primari della gente sono nelle mani di fior di mascalzoni laureati indegnamente (hanno acquisito un titolo di studio solo per acquisire potere) e bene "ammanicati" per rivestire quegli incarichi?
Il cui unico scopo è fare soldi per godersi la vita, irridendosene dei poveracci che stentanto a campare?
Bisonerebbe parlarne più spesso e smetterla di presentare la vita come un "divertimentificio" dove vincono sempre i più furbi, i più belli, i più ricchi, quelli che partecipano ai reality, ai grandi fratelli e grandi amici del cavolo, che questa insulsa e immonda televisione ci propina da anni.
Ma cosa è successo all'Italia? Di chi è la colpa? Chi ha cominciato a rovinarci? Ma veramente possiamo considerarci all'avanguardia?
Valiamo più noi con la nostra insulsa concezione della vita o quei popoli, che definiamo arretrati, che coprono le loro donne per evitare le tentazioni? Valiamo più noi, che premiamo i ladri e puniamo i derubati che si difendono o valgono di meno quei popoli che ai ladri tagliano la mano?
Io ho molti dubbi.

Grazie per la lettura, sintomo di questi nostri tempi.

Alberto












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19/07/2008 16:08
 
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E' una cosa molto triste e purtroppo è la realtà.
Ha ragione Alberto, è necessario continuare a parlarne per sperare che un poco le cose cambino.
Chissà forse i nostri figli vedranno situazioni migliori, anche se ora è proprio difficile pensarlo.
Grazie a voi due per la riflessione
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20/07/2008 23:46
 
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Ringrazio per completamento pensiero
In effetti è vero. Come siamo arrivati a questo punto.
Le varie dominazioni, soprattutto a Napoli, cedo siano l'inzio di un discorso forse più antico (medioevo, antica Roma): i Borboni.
Nel recente abbiamo il fascismo che s'impadroniva del potere, con tutti gli annessi e connessi.
Poi la democrazia dopo il periodo De Nicola e De Gasperi.
Poi fino a "Mani pulite".
C'è stato Berlusconi con le sue promesse di un milione di posti di lavoro e tagli alle tasse a danno dello stato.
La sinistra non ha fatto un buon lavoro quando è stata al governo (e prima ancora con lo scandalo delle "Coop rosse".
Io credo che sia nella cultura italiana dell'illegalità, delle "amicizie" influenti per ottenere favori o cose che spetterebbero di diritto che altrimenti non sarebbero possibile raggiungere...
Ognuno di noi dovrebbe dare il proprio contributo.
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