| | | OFFLINE | | Post: 192 Post: 192 | Registrato il: 27/02/2008
| Sesso: Maschile | |
|
09/07/2008 18:07 | |
Il camion delle pagnotte
Il racconto tratta un episodio marginale del tempo del tesseramento alimentare facente parte delle mie e nostre esperienze di balilla.
Durante il conflitto venne istituito il razionamento di tanti generi alimentari, pane, pasta, olio, burro, zucchero, latte, uova, formaggi, carne, patate, sapone, cioè praticamente tutti i principali di consumo.
Come non bastasse e come ho detto ci fu il razionamento del vestiario, biancheria, stoffe, scarpe. Non si razionarono caffè e benzina dato che il caffè non esisteva proprio e, quanto a benzina, non ce n’era per l’esercito, figuriamoci per gli altri, e le auto private che circolavano si contavano sulle dita. Parliamo però del nostro pane quotidiano.
La carestia iniziò con l’assegnazione di duecento grammi al giorno a persona (un sfilatino o due rosette odierne), e doveva bastare per la colazione, il pranzo, la cena, nonché per la merendina scolastica del mattino e quella improbabile del pomeriggio. Anzi, quest’ultima la eliminerei del tutto. Erano pochi e la fame si faceva sentire, anche perché pane e pasta costituivano la base dell’alimentazione (di pasta ne ricevevamo 30-40 grammi giornalieri).
Ciò non bastasse si giunse in seguito a ridurre la razione di pane a centoventicinque grammi, poi a cento, e negli ultimi giorni di guerra addirittura a 70 grammi di pane abbrustolito. Questo l’ho già detto, e mi pesa ripeterlo, che gli ebrei nel ghetto di Varsavia di pane e patate fornite dai tedeschi ne disponessero addirittura più di noi.
Sorse allora il mercato chiamato “nero”, cioè proibito, nascosto, gestito da gente di pochi scrupoli, che poteva disporre di farina, olio, carne, uova. Questi prodotti costavano un occhio e ben pochi se li potevano permettere, salvo quando era proprio impossibile farne a meno. Quanto poi alla qualità di ciò che era venduto di sotterfugio è meglio non parlarne, sarebbe deprimente.
Pure mio padre, alcune volte, poche in verità, dovette rivolgersi a questi sciacalli per avere un po’ di farina di frumento e di granturco.
C’era inoltre chi offriva sottobanco grosse pagnotte di pane paesano, da vendere intere o a tranci (mezza, un quarto, tre quarti), e proprio sulla borsa nera del pane casereccio si impernia il racconto che vengo ad esporre per un fatto effettivamente verificatosi il quale, in un certo senso, coinvolse indirettamente anche me e altri balilla.
Avvenne che le autorità annonarie, nonché le fasciste di zona, si posero in allarme, su sollecitazione superiore, in quanto il commercio occulto del pane stava assumendo una dimensione ragguardevole.
C’erano stati contadini che avevano sottratto grano all’ammasso obbligatorio, molini che occultavano sfarinati, fornai e pastifici che facevano un bel po’ il comodo loro.
Ci fu poi un furto di grano e farina in un ammasso locale e le autorità di campagna allertarono le cittadine su possibili persone e depositi interessati. Venne messa in allarme anche la GIL, tramite i reparti di giovani fascisti, cioè dei grandi. Così controlla oggi, una voce domani, ne deriverà che venne intercettato un camion proveniente dai Castelli Romani, il quale trasportava un’enorme quantità di pagnotte occultate sotto poche cassette di verdure, diretto a qualche magazzino del quartiere. Il conducente venne arrestato, con i suoi strazianti pianti in quanto affermava che lo rovinavano, che aveva famiglia, che non sapeva a chi dovesse consegnare il carico, in quanto era atteso da un incaricato che, vista l’operazione andata a male, si era eclissato.
Sapremo poi che finirà al fresco anche il destinatario, nonché verrà sequestrato un negozio nel cui retro si trovava ogni ben di Dio (sorvolo sui metodi usati dalle guardie fasciste per far parlare il camionista).
Noi balilla fummo convocati e incaricati di fare la guardia al carico di pagnotte, che la milizia fece scaricare in un locale annesso alla parrocchia, in attesa di destinarlo a istituti di poveri, indigenti, anziani o, magari, ad altri non tanto bisognosi. Per la nostra opera di guardiania, che durerà un paio di giorni, promisero ad ognuno una pagnotta da un chilo, non per retribuire alcunché, quanto per incentivarci a controllare meglio la montagna di pane in ceste o alla rinfusa, accostata al muro, che si avvicinava al soffitto come altezza. Mai vista tanta abbondanza.
Il mio stomaco borbottava per i succhi gastrici emessi in conseguenza della vista e dell’olfatto di quella provvidenza.
Poi avvenne che un graduato della milizia ci invitò a gruppetti in uno stanzino di disbrigo, ove aveva tagliate alcune pagnotte, e ce ne fece ingollare un paio di belle fettone, ripetendo l’iniziativa il pomeriggio e il giorno successivo. Poco dopo, autorizzati o meno, comunque tollerati dal milite presente, arriverà il parroco che ne preleverà una delle maggiori e la porterà via, altre le prenderanno i viceparroci, il sacrestano, qualche donnetta e uomo di servizio nella chiesa; giungerà una signora con un ragazzo, che erano moglie e figlio del milite, i quali se ne porteranno via una borsa, uscendo da una porta secondaria.
Si faranno vive alla spicciolata parecchie signore, mogli o parenti del Federale, del Fiduciario, di funzionari della Delegazione, e altri, che avevano avuto il passa-parola (gli uomini delegavano le donne per l’incombenza), e il monte del pane scemava.
Di sera, tornando a casa, una pagnotta in anticipo ce la prendemmo pure noi balilla, oltre quella che avremmo ricevuta il giorno dopo. Di notte rimarrà il milite con qualcuno di noi più grande, e il mattino dopo, al nostro arrivo, il mucchio del pane era divenuto meno mastodontico.
Poi stessa tiritera del giorno prima, parroco, preti, sconosciute, sconosciuti, infine, prima di sera, un camioncino del partito porterà via il rimanente del sequestrato, ben poco in verità.
Io ebbi la pagnotta promessa, più una che, come ogni altro, avevo occultata. Di sicuro ci sarà che per un po’ di giorni le nostre pance avranno a disposizione più carburante, e non ci parve vero.
Le recriminazioni di noi tutti verso gli affamatori del popolo erano imbastite da un bel po’ di faccia tosta, perché il carico sparì quasi completamente, oltretutto con concreti dubbi sulla destinazione finale anche delle ultime ceste ritirate dalle autorità del partito. L’episodio è sempre presente in me. Ricordo che nessuno si pose il problema che esso fosse l’indice di una dura indigenza in atto, non dico povertà, pur se la mancanza di un genere primario come il pane era il segnale di troppe cose che andavano male e di un popolo ridotto, all’indigenza.
No! questo dubbio non lo avemmo, per noi l’Italia era grande, forte, non ricca, decisa a colpire gli sfruttatori che operavano contro il popolo.
Duce, allora non ebbi a ridire. Oggi di domande ne avrei.
[Modificato da florentia89 09/07/2008 18:08] |