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Io, nemico

Ultimo Aggiornamento: 31/05/2008 17:46
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24/05/2008 17:53
 
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Il vecchio Peppone, quando eravamo bambini, ci raccontava della sua vita in montagna, a fare il pastore e a valle, a fare il contadino. Sempre solo, perché era rimasto vedovo e gli unici due figli che aveva erano partiti per la guerra e mai più tornati.
Si commuoveva parlando della sua famiglia, mentre ci costruiva giocattoli di legno davanti al camino, intagliandoli con il suo coltello.
Poi ci raccontava la storia di Angelo, un suo figlio venuto dal cielo. E guardava il cielo con gli occhi umidi.
Allora c’era la guerra. Un giorno, sulla montagna, trovò un ragazzo appeso a un albero, impigliato in un paracadute. Sanguinava. Il freddo della notte gli aveva coagulato il sangue, era ancora vivo però.
Riuscì a liberarlo. Guardando la sua uniforme, vide i distintivi a forma di doppio fulmine e testa di morto.
Un nemico.
“Mama…mama…” chiamava, con il sangue alla bocca.
Stava morendo. Se lo caricò in spalla e lo portò a valle, assieme alle sue capre. La gente, vedendo quella divisa, si spaventò.
“E’ un nemico! Di quelli peggiori! Uccidono tutti! Dovevi lasciarlo morire!”
Ma lui lo portò a casa sua. Lo curò. Gli preparò una stuoia vicino al camino, gli fasciò le ferite, gli dette da mangiare.
Piano piano il soldato si riprese. Parlava un’altra lingua, incomprensibile, gutturale. Peppone gli insegnò il suo dialetto e un po’ di italiano.
Quando riuscirono a intendersi, il soldato disse di non ricordare nulla del suo passato, nemmeno il nome. Un vuoto. Fù chiamato Angelo, perché era sceso dal cielo. Guarì dalle sue ferite. Aiutava Peppone nei lavori di campagna, sempre al suo fianco. Dapprima con diffidenza, poi con naturalezza, venne accettato anche dai vicini: una buona mano a spaccare la legna, mungere le capre, fare il formaggio, il prosciutto, il sidro.
E più passava il tempo, più imparava il dialetto del posto, sembrava nato lì. Sempre sorridente, gentile, l’aria un po’ svanita a volte. Certo. Considerando quello che gli doveva essere capitato.
Era l’unico ragazzo della valle, gli altri o erano sotto le armi o in montagna a fare i partigiani. Peppone era l’uomo più felice del mondo, Angelo era come un figlio per lui. La guerra stava per finire. Ne avevano avuto sentore anche in quel posto sperduto dove vivevano. Un giorno, un gruppo di soldati nemici arrivò in paese. Si stavano ritirando. Portavano in una lettiga uno di loro che era morto, ucciso da partigiani più a valle.
I soldati radunarono la gente nella piazzetta del paesino.
Uomini anziani, fra i quali Peppone, donne, bambini.
Il loro comandante disse che sarebbero stati fucilati per rappresaglia. A meno che non si fosse presentato colui che aveva ucciso il suo soldato.
Il tempo stava per scadere. A un certo punto tutti si voltarono vedendo un uomo avvicinarsi. Era Angelo.
Con il cappello da montanaro, i calli alle mani, i vestiti sporchi del lavoro che stava facendo. Andò davanti all’ufficiale. Guardò i doppi fulmini sul bavero della sua giacca, lo stemma della testa di morto sul suo berretto. Portò le mani ai fianchi, irrigidendosi nel saluto militare.
“Sono io quello che cercate.” Disse in italiano.
“Tu?”
“Sissignore. Sono io.” Batteva la mano sul petto perché non ci fossero dubbi.
“Benissimo. Perfetto.” Disse l’ ufficiale.
Angelo sorrideva, quasi timido, incrociando gli sguardi allibiti dei paesani che venivano fatti allontanare.
Il sorriso più luminoso lo fece a Peppone, annuendo lentamente.
L’ufficiale urlò ai suoi uomini l’ordine di puntare le armi.
Allora Angelo divenne serio, si mise sull’attenti, testa alta, petto in fuori, dentro la sua giacca logora di contadino.
La scarica fù secca e breve.
Chissà chi eri veramente, Angelo.



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24/05/2008 22:10
 
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Ancora una volta mi hai commosso!
I tuoi racconti toccano il cuore.
Grazie.
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25/05/2008 01:01
 
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E' una storia vera?
Un modo unico per dire grazie o per pagare tanto male fatto...
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31/05/2008 17:46
 
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Elipiovex, ti ringrazio per l'apprezzamento, mi fa davvero piacere.

Misterx78, non so se sia accaduto veramente... ma gli uomini sono capaci di tutto e forse, ne sono convinto, è accaduto.
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