Un bagno caldo, tanta schiuma, nessuna candela o sali, nessuna papera a galleggiare…solo tanta schiuma e il mio corpo a cercare l’acqua. Mi immergo, e ascolto, non lo facevo da tempo, il rumore del silenzio. L’odore di un bagnoschiuma di fortuna mi ricorda l’estraneità delle docce negli hotel.
Mi immergo ancora. Parlo plasmando bolle di pensieri non sentiti, voglio addosso la sensazione di ascoltarmi, io, da sola. Un bambino nato per caso o all’improvviso nella cucina di casa sua che non ha mai potuto urlare il suo grido ancestrale con una pacca sul culetto ma battendo la testa. E lo trascina con sé per tutta la vita se non riesce a spegnere i rumori e ascoltarsi.
E’ per questo che le mamme di una volta sfornavano torte e saporiti biscotti, solo quelli a remissione di quella fallita pacca sul culetto.
Mi immergo di nuovo. Con le mani accarezzo il mio ventre pallido, voglio addosso la sensazione di sentirmi, io, da sola. Una nuvola di sguardi da tempo dimenticati. Una carezza sul cuore quando non la si desidera. Corsa affaticata verso un protettivo limbo. E pagine bianche, bianche, bianche, sempre, sempre laconicamente bianche.
Non mi immergo più. Voglio guardare i miei piedi. Non voglio stare più da sola, non voglio sentirmi, non voglio ascoltarmi, voglio dire. Dire che conosco la sofferenza ma indosso il coraggio. Che lambisco il sorriso e amo offrirlo. Che in un giorno imprecisato ti sono stata amica. Che non ho più ore da ammazzare ma da vivere. Che credo fermamente alla nostra amicizia. Credo a quella pacca che ti ha ridato e mi ha ridato la vita. Che credo nel dialogo ma detesto i monologhi. Che bisogna cercare la semplicità. – Perché è nella rugiada delle piccole cose che il cuore trova il suo mattino e si ristora -.