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Un dono insperato

Ultimo Aggiornamento: 05/10/2006 20:08
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09/08/2006 18:12
 
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Mentre pedalava verso casa, Luca pensava quanto grigia fosse quella giornata: la maestra gli aveva affibbiato l'ennesima nota nel diario, mentre sarebbe stato accolto di lì a poco dalle solite scenate con i suoi genitori perennemente ubriachi. A dieci anni nella sua vita era calata una fitta nebbia, da quando il padre aveva perso l'ultimo posto di lavoro.
Intravvide, nella foschia, ferma sotto il grande fico, una figura familiare: fece finta di puntare l'uomo, per poi frenare bruscamente a pochi centimetri da lui. “Sei il solito birbone! Come stai?” gli disse strofinandogli scherzosamente le nocche sulla testa.
“Bene e tu, ma che ci fai qui?” nessuno veniva mai a trovarlo, pochi si avventuravano in quella stradina sterrata e isolata dal centro abitato: solo qualche creditore che, puntualmente, il padre rincorreva col fucile a pallettoni del nonno.
“Ho un regalo per te” Aveva conosciuto Silvio al bar del paese, nonostante i trent'anni e passa di differenza, a tutti e due piaceva giocare a carte e Luca era stato l'unico in grado di batterlo a scopone.
“Che bello! Fammi un po' vedere” stracciò le pagine di giornale avvolte, senza preoccuparsi troppo delle buone maniere, tanto il suo amico non era tipo da convenevoli. Rimase, per un istante, imbambolato: nessuno, nemmeno suo padre, gli aveva mai regalato tanto. Era un paio di scarpe da calcio, il cuoio intatto, i tacchetti ancora lucidi, sembravano nuove tanto erano belle.
“Veramente sono per me?”
“Certo” l'uomo lo guardò con tenerezza, quando aveva costituito la squadra di calcio assieme ad alcuni amici, aveva subito pensato alla triste storia di quel bambino così simpatico, non avendo mai avuto figli un po' l'aveva fatto suo. Quelle scarpe erano un modo come un altro per dirgli che faceva parte della squadra “Domani pomeriggio iniziamo gli allenamenti, il pulmino verrà a prenderti alle quattro, mi raccomando, non ammetto ritardi.”
Il bambino iniziò a saltare di gioia e a lanciare in aria le scarpe per festeggiare. Un po' in disparte, attirati dalla confusione, i genitori osservavano la scena; si guardarono un po' sorpresi, poi, facendo spallucce, tornarono a compiere le inutili incombenze quotidiane.
Luca attese il giorno successivo con trepidazione: finalmente avrebbe potuto giocare veramente. Di nascosto, nei lunghi pomeriggi d'estate, si era allenato da solo a tirare verso una porta immaginaria e aveva sempre fatto goal, accompagnato da una altrettanto immaginaria tifoseria esultante.
Nonostante ciò tutto era faticoso: lo facevano correre lungo il campo, mentre le gambe diventavano ad ogni passo sempre più pesanti ed il fiato non gli bastava mai. Temeva, però, di essere considerato una pappa molla. Strinse i denti e, senza farsi vedere affaticato, terminò gli esercizi come gli altri. Nei giorni successivi si sforzò fino all'estremo: sarebbero stati tutti fieri di lui.
Un mattina fu più difficile del solito alzarsi, trascinò stancamente le gambe in bagno e si lavò con energia la faccia nell'acqua gelida. Non poteva mollare, non in quel momento, nel pomeriggio ci sarebbe stata la prima partita della squadra e lui non doveva mancare: il mister gli aveva pure promesso che avrebbe giocato.
Arrivò a scuola per miracolo, si sedette sul banco con il cuore in affanno: tutto aveva iniziato a girare vorticosamente attorno a lui, i suoi compagni si muovevano a zig zag, mentre le parole arrivavano alle sue orecchie inframmezzate, come su un disco rovinato. Poi, più niente, tutto nero.
Si svegliò in infermeria, piano, piano aprì gli occhi. C'era un medico con lui e con tatto e gentilezza gli spiegò che per compiere gli allenamenti aveva bisogno di più “benzina”, quello che mangiava non era sufficiente.
Luca fece segno di sì con la testa. Aveva capito, aveva capito benissimo cosa intendeva dirgli, nonostante ciò gli prese un magone, gli veniva da piangere, erano mesi che non mangiava decentemente a casa sua. Qualcuno informò il suo amico dell'accaduto, infatti, pochi giorni dopo fu invitato a pranzo a casa di Silvio e della moglie Paola. Era molto bello stare con loro: mentre mangiava lo guardavano sorridendo, gli chiedevano della scuola, degli allenamenti. Per la prima volta a qualcuno importava di lui. Aveva una vera e propria ammirazione per loro: da grande avrebbe fatto il carpentiere come Silvio, avrebbe sposato una donna bella come lei e soprattuto avrebbe avuto e amato tanti bambini.
Una volta glielo aveva anche detto, tutto d'un fiato per cacciare la vergogna e loro si erano girati dall'altra parte, a nascondere una lacrima di commozione. L'incanto venne a spezzarsi un giorno, quando arrivò sua madre, ubriaca come non mai, si mise a vomitare contro di loro ingiurie di ogni genere e poi sentenziò “A mio figlio ci penso io. Luca, a casa.” e lui, a malincuore aveva dovuto lasciare quel piccolo angolo di paradiso.
Nonostante ciò i due coniugi non si erano arresi. A turno, avevano preso ad aspettarlo fuori dalla scuola, sempre con un sacchetto in mano. Ogni giorno trovava qualcosa di diverso, anche se il menù era necessariamente del tipo pane e prosciutto, panino con la cotoletta o pane e salame. Ma a Luca non importava: era bello trovare qualcuno ad aspettarlo sul portone della scuola, inoltre così poteva continuare gli allenamenti senza paura di stare ancora male.
Il giorno più bello fu quello del suo compleanno: si sentiva elettrizzato perché giocava nientemeno con la fascia di capitano. Non era da tutti e lui ci era riuscito. In quella partita segnò pure il suo primo goal: si voltò verso gli spalti però non c'era né Silvio né la moglie e non avrebbero potuto gioire con lui.
Si mise la sacca sulle spalle e si incamminò pensando a cosa mai avesse potuto trattenerli lontano dal campo di calcio. Li ritrovò all'imbocco della via, i volti tirati e commossi, sicuramente era successo qualcosa di serio.
Col cuore in gola accelerò il passo, fece per porre la sua domanda ma gli morì tra le labbra, quando lui iniziò a parlare “Non puoi andare a casa, Luca.”
“E perché mai?” se volevano dirgli che mamma e papà stavano litigando, non si sarebbe impressionato, era abituato a quelle scene.
“I tuoi genitori non ci sono... vedi Luca, non ti spaventare, se ne sono andati, hanno deciso di curarsi, l'hanno deciso per te... aspetta non mi interrompere... dato che non puoi stare a casa da solo, per un po' verrai a vivere da noi, non ti preoccupare stavolta loro hanno acconsentito, non si arrabbieranno...”
Gli sembrava proprio di vivere in un sogno: quello era il più bel regalo per un compleanno davvero speciale. Non resistette: abbandonò la borsa in mezzo alla stradina e con un salto salì in braccio a Silvio. Lo abbracciò forte e si unì a loro anche lei, mentre tutti e tre piangevano senza vergogna.
Restarono così per alcuni minuti, poi, in silenzio, si diressero verso la nuova casa, e, nello stesso tempo, verso la nuova vita che avrebbero cominciato tutti e tre assieme, come una famiglia vera.

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10/08/2006 11:00
 
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Notevole la capacità espressiva e la sensibilità che mi ha letteralmente immerso nel racconto senza neppure accorgermi di leggere. [SM=x142874] [SM=x142873]

Hai davvero un grande dono, [SM=x142911] grazie di condividerlo con noi.

[SM=x142892] Giancarlo.

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10/08/2006 12:32
 
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Grazie per le parole bellissime...
01/09/2006 19:53
 
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Nessuna sbavatura, nessuna frase inutile, un racconto che si legge piacevolmente con l'ansia di conoscere il finale. [SM=x142864]

MOLTO BRAVA E CON UNA GRANDE SENSIBILITA'. [SM=x142874] [SM=x142861] [SM=x142887] [SM=x142930]
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15/09/2006 11:31
 
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Ancora grazie, troppo buona [SM=x142890]
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05/10/2006 20:08
 
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il dono
[SM=x142882] il tuo dono e' quello che tutti uomini hanno,la tua dote e che sai leggere dentro te e lo trasformi in una lirica dolce semplice da capire.Se solo ascoltassimo di piu' il nostro io....
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