Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!
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Mangianza

Ultimo Aggiornamento: 18/02/2006 02:55
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Stamattina Fabio era già uscito quando mi sono alzato. Ho visto la luce filtrare dalle assi della finestra, e sapevo che era già uscito. Mia moglie sta seduta sotto la finestra dell’altra stanza, dove dorme nostro figlio, dove cuciniamo e mangiamo, e lavora a maglia.
“Buongiorno” mi dice, senza alzare lo sguardo dal vorticare degli aghi.
“È già uscito?”
“Si, stamattina, di buon ora. L’ho sentito alzarsi che non era ancora l’alba”.
“Quel ragazzo non vuole mettersi in testa di rassegnarsi, finirà con peggiorare le cose, potremmo ritrovarci anche senza questa casa. È la migliore della zona, un camino così non lo trovi in tutta la regione.”
“Lasciagli il suo sogno, tanto prima o poi si stancherà”.
“Se mi aiutasse a fare qualcosa di produttivo sarebbe più utile. C’è la vacca da mungere, il pollaio da sistemare, e il grano è pieno di erbacce. Meglio che vada a vedere che cosa sta combinando, chissà che non riesca a convincerlo a tornare a casa per darmi una mano”.
Devono essere le dieci di mattina. Il sole scalda forte, e risalgo la collina lento, guardandomi intorno. Da quassù il nostro capanno si nota a malapena: con il basso steccato, la tettoia per gli animali ed il piccolo orto. Circondato da arida terra nuda, e macchie di vegetazione spontanea disseminate in giro. Gli eucalipti sono l’unico riparo dal sole, le loro fronde sono uno schermo debole, e lasciano filtrare i raggi fino al terreno. Le altre capanne della valle non si arrivano a vedere, nemmeno da sopra la collina. Non ce ne sono molte, è rimasta una dozzina di famiglie che continua a vivere vicino alla costa. Sin da quando conservo memoria, non siamo mai stati di più da queste parti.
Dall’altra parte della sommità, posso vedere il mare che si stende di sotto, e dove inizia il tratto pianeggiante, un puntino più scuro mi indica dove se ne sta Fabio.
Mi avvicino lentamente, senza fare rumore, e gli arrivo quasi alle spalle quando si accorge della mia presenza. Lo guardo lavorare per un po’, mentre sta scavando una buca quadrata sul terreno. Lavora con foga e costanza, si è tolto la maglia, e ha i capelli appiccicati al viso dal sudore. Io mi guardo in giro, fingendo di essere finito qui per caso.
“È un bel posto qui, veramente. Hai scelto davvero un gran bel posto”.
Lui continua a lavorare indifferente, senza nemmeno alzare la testa.
“Non ha retto neanche stavolta vero?” gli chiedo, facendo finta per una attimo che sia una cosa strana pure per me. Lui continua a non rispondere, e si ostina a tirare fuori terra, spostando la vanga con l’aiuto di tutto il corpo.
“Ma dimmi un po’” gli faccio poi “Non ho ben chiara una cosa: di preciso, che cos’è che vorresti costruire?”.
Lui si ferma un attimo con la vanga in mano, e mi guarda sorpreso, poi assume un’aria cupa e riprende il lavoro, ma molto a rilento.
“Non lo so” dice, poi “non lo so, niente di preciso: qualsiasi cosa. Si, una cosa qualsiasi andrebbe bene. Vorrei solo veder terminato quello che inizio tutte le mattine”. Poi aggiunge in tono affranto “Sarebbe già qualcosa…”
“Beh ecco, a casa ci sarebbero parecchi lavoretti che potresti fare, e portare a termine senza problemi”.
“Non è questo, tu non capisci!” Risponde lui seccato, “Sono sempre le solite cose che dobbiamo fare, sempre i soliti lavori: dobbiamo curare l’orto, gli animali, e badare al capanno quel tanto che basta perché non cada a pezzi. Non lo vedi? Facciamo solo il minimo indispensabile per sopravvivere, e mantenerci nella nostra condizione di miseria. Niente di più, mai un solo passo in avanti! Mentre il resto del mondo progredisce, noi qui viviamo ancora all’età della pietra si può dire”.
“Il resto del mondo dici? E tu che ne sai del resto del mondo, l’hai visto per caso? Ci sei stato?”
“Me l’hanno raccontato, me ne hanno parlato… le altre famiglie, e anche la mamma, si me l’ha detto anche lei se proprio lo vuoi sapere”.
“Tua madre parla sempre a sproposito, e mai quando sarebbe il caso” mi lascio sfuggire tra un sospiro.
“Pensala come ti pare, non mi importa. Io resterò qui e porterò avanti ciò che ho iniziato”.
Mi rendo conto che è inutile insistere, mi volto lentamente, e lo lascio che sta ricominciando a scavare con energia disperata. “Non tornare troppo tardi per la cena”. Non aspetto una risposta, e continuo a ripercorrere i miei passi con calma.
Una volta a casa, sbrigo tutte le mie faccende tranquillamente. Mi è sempre piaciuto lavorare sotto ad un bel sole primaverile, e mi piace farlo senza fretta, pensando bene a quello che devo fare, lasciando che sia la mente a guidare le mie mani, come le mie mani guidano l’asino quando gli attacco dietro il carro. Finisco comunque presto, ben prima che il sole tramonti dietro le montagne. Saranno anche sempre i soliti lavori, come dice Fabio, sarà il minimo indispensabile per vivere: ma io provo comunque piacere, quando prima di sera porto a termine queste poche faccende. E la stanchezza non è mai troppa da togliermi il gusto di indugiare un momento a guardarmi intorno, e godere di tutta la tranquillità del mio pur piccolo mondo. Credo che domani mattina dormirò un po’ più a lungo e poi me ne andrò a pesca con la barca. Così intanto, prima che faccia sera, adesso mi preparo tutto il necessario. Tiro fuori le canne, controllo la lenza e le esche, prendo la rete, e sistemo tutto nella mia borsa. Domani mattina mi farò preparare qualcosa da mangiare da Maria, così tornerò nel pomeriggio; e chissà che non potremmo cenare con delle spigole alla griglia.
Fabio è ritornato a casa dopo il tramonto, la cena era già servita sul tavolo. È completamente disfatto: sporco di terra fin sopra i capelli, con i pantaloni induriti dal sudore, e le mani sanguinanti per le vesciche. Lo vedo dalla finestra, mentre pesca un secchio d’acqua dal pozzo e si dà una sciacquata prima d’entrare.
“Dovresti prepararmi dei panini per domani Maria, pensò che andrò a pesca, tornerò nel pomeriggio, se tutto va bene e riesco a prendere qualcosa”. Fabio si siede a tavola, ha il volto scuro, e al bagliore tremolante delle candele s’intuisce che sta ad un passo dallo scoppiare a piangere o dall’urlare.
“Con che cosa li vuoi i panini?”
“Credo che formaggio e salame andrà benissimo. E poi mi porterò delle arance. Siamo proprio fortunati a stare qui, ci sono aranci dappertutto, basta alzare le braccia per cogliere le più buone arance che la terra possa offrire”.
Fabio si alza, senza aver toccato cibo, e si corica sulla sua branda, nell’angolo della stanza.
“Dovresti mangiare qualcosa” gli dico “hai sgobbato tutto il santo giorno, non ti fa bene digiunare, devi riprendere le forze”.
“Non mi va” dice soltanto lui.
Maria mi guarda per un momento negli occhi, sembra voler dire qualcosa, poi torna ad abbassare lo sguardo sul tavolo. Io continuo a cenare e mi verso un po’ di vino nel bicchiere.

Mi sveglio di nuovo a giorno fatto: il pulviscolo della stanza và a intrecciarsi coi raggi di luce tagliati dalle imposte. Andrò a pescare, e sono di buon umore. La pesca non è esattamente come tutti gli altri lavori, anche se serve comunque a procurarci da mangiare. Ho una piccola barca di legno rovesciata sulla spiaggia, ed un paio di buoni remi, lunghi abbastanza per andare veloce, ma senza troppa fatica. Dopo mezz’ora che remo, con il mare calmo, e se non c’è troppo vento, sono abbastanza lontano da sentirmi in mare aperto. Una volta lì preparo le canne, lancio le esche, e pasturo un poco per attirare i pesci. Il resto dipende dalla fortuna, ma di rado torno a casa a mani vuote. Il nostro non è un mare battuto dai pescherecci, e spesso porto a Maria un po’ di pesce da mettere sotto sale. E finché il pesce non abbocca posso spogliarmi, sentire il sole che scalda la pelle, ascoltare lo sciabordio delle onde sulle sponde della barca, ammirare le spiagge della costa e le forme familiari degli scogli; e sapere che il mio dovere di quel momento è aspettare, soltanto aspettare. Fino a quando la lampuga si stanca d’inseguire i banchi di acciughe che si aprono a ombrello, e decide che la mia sardina è abbastanza lenta per la sua fatica, e poi s’accorge che la mia lenza è abbastanza resistente per le sue forze, finché non vedrò la sua espressione sorpresa spuntare dall’acqua e venirmi incontro strascicata dall’amo, perché forse ha capito che non c’è solo il pescecane a cui dover sfuggire. Ed io la lascerò tranquilla dentro la rete, non la schernirò per aver creduto alla mia esca, e sarò felice perché potrò mangiare, e non per la sua morte. E se le cose andranno davvero bene: vedrò uno stormo di gabbiani tuffarsi tra le onde, e gli andrò incontro, nell’acqua che frigge tra migliaia di balzi di acciughe accerchiate: basterà buttare l’esca nella frenesia della caccia, e me li tirerò sulla barca: ricciole, tombarelli e piccoli spada, uno dopo l’altro, traditi dalle loro certezze di predatori.
Nell’altra stanza c’è mia moglie, mi ha sentito alzarmi, e mi prepara il pranzo; e Fabio buttato sulla sua branda con la faccia rivolta alla parete. È dall’inizio della primavera che non lo trovavo a dormire al mio risveglio.
“Che gli succede?”
“È uscito stamattina presto” dice Maria “io ero ancora a letto, poi deve essere tornato, non l’ho sentito entrare. Ma quando mi sono alzata l’ho trovato lì come lo vedi”.
Mi avvicino alla sagoma del ragazzo disegnata dalla coperta, lo vedo che non dorme.
“Sto uscendo a pesca, con la barca. Ti va di venire?”
“Non ho voglia” dice.
Mi volto a guardare Maria che finisce di incartarmi i panini, e mi chiedo ancora una volta perché quella donna non dice niente. La bacio sulla fronte, mi prendo gli involti del pranzo, la borsa con le canne e tutto il resto, e m’incammino verso il pendio della collina. Spira vento da sud e porta l’aria del mare, muove le fronde degli eucalipti, e io dovrò remare un po’ di più per arrivare al largo. Man mano che scendo il declivio, e mi avvicino alla radura, riesco a vedere il punto dove ha lavorato Fabio negli ultimi tempi. Si vede il suolo smosso dove è stata affastellata la terra scavata, e qualche residuo di cemento sgretolato alla base di quella che doveva essere una piccola costruzione. Ci sono anche i sacchi di cemento buttati a terra, alcuni vuoti, altri mezzi consumati. Proseguo verso la spiaggia, e verso la barca. La giro su sé stessa, come una grossa tartaruga, e vi butto dentro i remi, la borsa, e l’involto con il pranzo. Spingo la barca nell’acqua fin sopra le ginocchia, poi vi salgo sopra, e con calma comincio a remare controvento, portandomi verso il largo.
Una volta sistemate le canne, mi spoglio della maglia, e chiudo gli occhi con il viso rivolto al sole. Avverto solamente il vento che mi sfiora le orecchie, e l’acqua che accarezza la barca. Mi sento in pace, e posso iniziare ad aspettare di vedere la punta della canna beccheggiare. A volte mi sembra di non smettere mai di aspettare, nemmeno sulla terra ferma. Anche quando il giovane tonno continua a inseguire le sue acciughe, lontano dal rischio del mio amo; ho l’impressione che questa attesa non sia mai finita, soltanto lasciata in sospeso per qualcosa di meno importante: come dormire, mangiare o fare l’amore. Mi chiedo se l’attesa sia veramente ciò che basta, la canna che oscilla, il grano che matura o il gallo che s’ingrassa, è davvero tutto qui quello che dobbiamo fare: guardare e aspettare, guardare e seguire l’ombrello luccicante delle acciughe, e lasciare perdere tutto il resto.


Risalgo la spiaggia, con la sabbia calda che si attacca ai piedi bagnati. Nella rete due spigole, una grossa lampuga e un piccolo tonno si dibattono esausti. Sulla radura non è rimasta quasi più traccia dell’opera di ieri di Fabio. Oggi non c’è tornato, si sarà rassegnato, finalmente l’avrà capita.
Il sole sta andando incontro alle montagne, affondando tra le città lontane che non si distruggono mai. I miei pesci stanno morendo; ma la mia famiglia avrà una settimana di cene con morbida carne di pesce, condita con il prezzemolo, l’aglio e il limone spremuto. Il gatto potrà riposarsi dal dare la caccia ai topi, mangiandosi le teste, le code e leccando tutte le lische. E così sarà felice pure lui, anche se lui i pesci non li sa cacciare, ma sa benissimo come mangiarli.
Maria mi aspettava, con il fuoco del camino già acceso. E nella capanna il bagliore delle fiamme va a coprire le ombre lasciate dal crepuscolo.
Fabio se ne sta seduto con uno sguardo severo, senza niente da fare. Non ha nemmeno dato un’occhiata ai pesci, che ogni tanto danno una scodata sul pavimento di assi. Io non dico nulla, ed esco fuori al pozzo, a sciacquarmi le gambe ed i piedi dal sale. Do un’occhiata agli animali prima di rientrare, ed aggiungo un paio di secchi d’acqua nell’abbeveratoio della vacca. Domani la mungerò io, Maria non è mai stata brava in questi lavori, e mi accorgo a colpo d’occhio che oggi non l’ha munta a dovere. Lei è un’ottima cuoca, sa badare alla casa e all’orto, e sa cucire dei magnifici vestiti, ma non ci ha mai saputo fare con gli animali.
Tornando in casa trovo Fabio in piedi sulla soglia, col viso rigato dalle lacrime, che mi sbarra la strada. Non gli dico niente, lo guardo soltanto e lascio che sia lui a parlare.
“Ho deciso che me ne vado” dice.
“E dove vorresti andare?” gli faccio.
Non risponde subito, e continua a guardare per terra, da qualche parte.
“Vado nella città più vicina, oltre il confine. Ho capito che non posso più restare in questo posto, voglio vedere come funzionano le cose nel mondo normale”.
“Il mondo normale, come dici tu, è come l’aveva trovato l’uomo prima di distruggerlo; non ci troverai niente di normale nelle città, te lo posso assicurare”.
“Lo so già come la pensi tu, ma ormai ho deciso, devo andare, partirò domani mattina, appena ci sarà abbastanza luce”.
“Prenditi la mia borsa per la pesca: mettici dei vestiti, dell’acqua e roba da mangiare. Dovrai camminare diversi giorni per arrivare al confine, basta che vai sempre dritto verso ovest. Una volta lì non ho idea di quello che dovrai fare, ma immagino che ti saprai arrangiare, se davvero desideri questa cosa”.

L’uomo si svegliò di buonora, quando fuori faceva ancora buio, se ne restò a letto finché non senti l’uscio chiudersi. Andò nell’altra stanza, e aprì piano l’imposta di legno per affacciarsi. Vide l’ombra del ragazzo che si allontanava di spalle, stagliata nel riverbero del crepuscolo. Se si fosse voltato gli avrebbe fatto cenno con la mano. Continuò a pensare: ecco, adesso si volta, adesso se ne accorge. Lo vide camminare con passo sicuro, con la sua borsa per la pesca in spalla, e si accorse per la prima volta da quel particolare di quanto gli somigliava, tanto che gli sembrò di vedere se stesso che partiva, e per un momento si sentì attraversato da un brivido. La figura rimpiccioliva, sempre di più, fino a diventare una cosa lontana, fino a sparire dietro alle ombre fitte degli eucalipti.
L’uomo tornò a letto silenzioso, quando il sole era già spuntato. Maria lo sentì, e si avvicinò al suo fianco, appoggiò la testa sulla sua spalla, e la mano sul suo petto, e lo accarezzò piano, scendendo con la mano, sempre più giù. Fin quando il respiro dell’uomo non si fece più affannoso, e la figura di se stesso di spalle che partiva, nella sua mente si dissolse completamente. Lottò per districarla dalla vestaglia, e poi gli fu sopra col suo caldo alito, e vi fu un momento di meravigliata confusione per entrambi, che ritornò così come era arrivato, ad assieparsi dietro il velo sottile delle loro coscienze.
L’uomo avvertiva il suo corpo scivolare via, tra lo sciabordio di tenebre schiumose, mentre vedeva la lampuga avvicinarsi come una maschera sorpresa, dibattendosi tra gli schizzi delle acciughe luccicanti che saltavano, mentre lui la tirava a sé con uno sforzo che non sentiva; intanto che i gabbiani si spostavano agitati seguendo la mangianza, in mezzo a quella bonaccia di vento; mentre scivolava sempre più a largo sulla sua barca, sentì sussurrare le parole:“vedrai, tornerà”.







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05/02/2006 11:16
 
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Benvenuto in questo giardino di emozioni [SM=x142848] e grazie per averlo arrichito con questo splendido fiore.

Il racconto è riuscito a catturare la mia attenzione e tenerla tranquillamente tesa fino alla fine pur lasciando dei punti interrogativi, o forse proprio per questo.

Le sensazioni sono immediate e le descrizioni sono scivolate dentro trasformandosi senza fatica in immagini, il che dimostra la tua grande capacità descrittiva.

Spero che questo sia un brano di una tua opera più vasta perchè secondo me veramente ci sai fare. [SM=x142874]

A presto

[SM=x142848] Giancarlo cobite


18/02/2006 02:55
 
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Una sorpresa davvero sorprendente leggere questo racconto. [SM=x142891]

Mi ha preso e non riuscivo a staccari dalle immagini che hai descritto superbamente. [SM=x142876]

Due personaggi (la madre ha un ruolo secondario) delineati come se fossero foto; il padre, felice di ciò che possiede, inebriato dalla natura, è felice e tranquillo nel suo piccolo mondo, come in un'oasi protetta dal dolore.
Fabio, irrequieto, smanioso di seguire un sogno che esiste nella sua mente; deve partire, deve seguire il suo sogno, anche se gli porterà delusioni e dolore: mi piace questo ragazzo che non si perde d'animo e mi garba pure il padre.
Ambedue da amare, ognuno col proprio idelae di vita.

BRAVISSIMO, UN VERO SCRITTORE. [SM=x142930] [SM=x142874] [SM=x142896]
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