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Autorità e Rispetto

Ultimo Aggiornamento: 09/05/2005 17:36
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La base di tutto parte dal rispetto , appare una parola limitante , confusa come " essere assoggettati ad un' autorità "
- poi tra autorità ed autoritario - passa un'altra differenza .
Si crede ad esempio di dover essere capaci di porgere di tutto per colmare ed " essere vicini " , che ci si debba adeguare ai tempi e spesso
non è una vera presenza la nostra ma un imporre e proporre cose, un voler mostrare solo il nostro punto di vista senza sforzarci a comprendere cosa l'altro abbia vissuto , cosa colga la sua sensibilità e quali pietre miliari segnino il suo cammino interiore .
Allora si educano i figli ad avere tutto , persino quello che non è mai stato chiesto , che non era nel loro interesse e si gareggia a dimostare la grande conoscenza che possano avere , con amici e conoscenti - lontana da cultura e da assimilazione - si diviene assuefatti , incapaci di mettere in moto la curiosità , la vigilanza e la voglia di seguire una via precisa - tutto è talmente superficiale e troppo vasto da non cogliere essenzialità oppure , come per le specializzazioni , diviene talmente - parte del tutto - da non avere più la conoscenza generale .
Di sicuro era meglio la cultura di un tempo.
Non credo sia possibile una " libertà" di comportamento senza tenere conto degli altri ( il mancato rispetto ), di quello che l'agire
in forma " anarchica" possa comportare nel calpestare altrui sensibilità , in fondo abbiamo tutti delle linee guida , penso che relativamente al tenere conto del " giudizio" , che lego a confronto o paragone con gli altri al voler credere che alcune reazioni siano giustificabili ,denoto che spesso giudicare è pre-meditare qualcosa non sempre inerente ad una comprensione degli atteggiamenti degli altri ma ergersi come " migliori ". Esiste un migliore , quando in fondo abbiamo tutti un diverso cammino ? Non è la competizione , il saper lasciare indietro gli altri a renderci " al di sopra" , la saggezza è in colui che se lo desidera sa anche aspettare e non decidere si andare oltre i gradini della competizione , sa cogliere opportunità e conoscenza da quello che vive attimo per attimo . Anche questo è modo per setacciare " verità" e tra i dubbi trovare il senso delle cose .
Rispetto è scandire il proprio valore e quello altrui attraverso la consapevolezza e la fuga dall'ovvietà delle cose , è cogliere piccole sfumature che nobilitino se stessi e gli altri per farne compagni di viaggio se li troviamo a noi affini .
E' dialogo e capacità di trovare negli altri gli elementi che li caratterizzino , semplicemente accogliendone la loro unicità .



07.05.2005 Poetyca


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09/05/2005 10:27
 
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Poetyca "Anarchia" non vuol dire tenere un comportamento che non tiene conto degli altri.
Rousseau delineava i veri intenti dell'anarchismo come salvaguardia della libertà
umana.
L'anarchico è contro il potere, inteso come oppressione della
possibilità di intendere una propria sensibilità senza essere discriminati.
L'unicità dell'individuo si può cogliere solo nel momento in cui l'individuo non deve rispondere di regole dettate da un idea generalizzata del bene.

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09/05/2005 10:38
 
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"Non credo sia possibile una " libertà" di comportamento senza tenere conto degli altri ( il mancato rispetto ), di quello che l'agire in forma " anarchica" possa comportare nel calpestare altrui sensibilità , in fondo abbiamo tutti delle linee guida , penso che relativamente al tenere conto del " giudizio" , che lego a confronto o paragone con gli altri al voler credere che alcune reazioni siano giustificabili ,denoto che spesso giudicare è pre-meditare qualcosa non sempre inerente ad una comprensione degli atteggiamenti degli altri ma ergersi come " migliori "."

Grazie Drainyou80 ho posto tra " " per sottolineare come si usino determinati termini e forme di giudizio a priori considerandoli contro l'autoritarismo , mentre non sono comportamenti in forma assoluta o attacchi alle persone , spesso sono reazioni per cercare di esprimersi .Ho posto volutamente termini in uso da chi vede mancanza di rispetto ed ha una posizione autoritaria piuttosto che autorevole.

Un abbraccio
Poe
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Una delle tante linee guida potrebbe essere
"La mia libertà finisce dove comincia la tua" ?
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09/05/2005 11:12
 
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dovrebbe

Una delle tante linee guida potrebbe essere
"La mia libertà finisce dove comincia la tua" ?



dovrebbe esserlo, purtroppo non lo è sempre, anzi accade sempre meno. personalmente vivo con una ragazza che se ne frega della mia presenza, delle mie esigenze, che mi considera meno di niente solo perché sono diversa da lei, caratterialmente o come stile di vita. mi chiedo, quante ce ne sono come lei là fuori?
love, mel
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09/05/2005 11:21
 
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Considerare che la libertà abbia - limite - perchè si debba tenere conto della libertà degli altri , cosa che il motto kantiano da te citato indica , fa quasi supporre una sorta di restrizione , ma direi che il rispetto sia cogliere opportunità per arricchirsi dell'altro .

Un libro :Marcella D'Abbiero: Eros e democrazia. Guerini & Associati editore descrive nel modo di porci nei confronti degli altri un qualcosa di mortificante, di avvilente del nostro modo di essere: "io devo essere democratico, io devo essere ospitale, smettiamola di vedere questo modo di porci nei confronti degli altri come di un qualcosa che ci priva di qualcosa, come se la mia libertà finisce dove comincia la tua, come una mortificazione del mio modo di essere, della mia libertà. invece proviamo a vederla come un ponte lanciato verso l’altro."

Credo che questo sia un atteggiamento maturo e capace di far crescere il desiderio di ascoltare gli altri e di crescere insieme , non dimentichiamo infatti che tutti sono portatori di doni preziosi , a noi scoprirli.

Un abbraccio
Poe


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09/05/2005 11:29
 
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Si Mel , troppe persone sono incapaci di considerare il valore degli altri, tentano di avere attenzione , di essere dominanti calpestando spesso la sensibilità degli altri : rispetto è tenere conto dell'altrui sensibilità , sicuramente fiorisce nel terreno fertile di chi è dotato di tale sensibilità.

Credo che la cultura, il possesso di beni e l'apparire non possano essere equiparati a valore della sensibilità .
Magari fa soffrire , fa sentire isolamento ma è pur vero che sa far cogliere cose che non tutti conoscono.
Tra l'altro è anche questione di educazione all'ascolto di se stessi per essere capaci di ascoltare gli altri.

Un abbraccio
Poe
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09/05/2005 15:28
 
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Se la memoria non mi tradisce, mi sa che è stato
Confucio a dire più o meno che...nelle relazioni
umane non va ricercata l'uniformità, ma che deve
essere soprattutto ricercata l'armonia.
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09/05/2005 17:22
 
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IO credo che di tutto quello che ho letto la cosa che mi ha colpito di piu' e' stata

" nelle relazioni
umane non va ricercata
l'uniformità, ma che deve
essere soprattutto
ricercata l'armonia."

Vitale dice che dovrebbe averla scritta Confucio e cosi' pare anche a me, anche se non ne sono sicura. Io credo che in queste poche parole sia veramente racchiusa l'essenza del saper vivere. Tra l'altro e' interessante il fatto che "live with armony within the different cultures" e' la filosofia legata alla politica del Multiculturalismo che ha reso il Canada uno dei paesi piu' sensibili alle diverse culture ed etnie e piu' all'avanguardia nel settore dei rapporti umani.
Ed il rispetto e' proprio questo: disponibilita' verso gli altri, desiderio di capire ed integrarsi nelle diverse culture, pur mantenendo la propria stretta a noi.
Direi, quindi, che per me liberta' questo vuol dire.. poter vivere la propria vita in mezzo agli altri senza essere emarginati e ne' giudicati per la propria diversita'
[SM=x142922]

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09/05/2005 17:36
 
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Confucio con la sua filosofia meditativa e la ricerca del " costante mezzo" ha sicuramente influito relativamente alla ricerca di un atteggiamento che inducesse all'attesa , alla capacità di non eccedere in sentimenti che conoscessero rabbia e sopraffazione - ottime basi - per trovare armonia .

IL PENSIERO CINESE: IL TAOISMO

Il Taoismo sorse sullo stesso terreno culturale in cui nacque il Confucianesimo e si servì degli stessi elementi utilizzati da questo, che formavano il patrimonio intellettuale della Cina della seconda metà del 1° millennio a.C. Ma mentre il Confucianesimo ne dedusse dei modelli da imitare per ritornare alle virtù morali degli antichi re "santi", il Taoismo li sottopose ad aspra critica, additando nei portatori di quelle virtù i corruttori della primigenia virtù del Tao, fatta di naturalezza e spontaneità. D'altro canto, essendo Lao Tzu e Confucio contemporanei, la medesima situazione storica di decadenza della dinastia Chou (che regnava ormai da sei secoli ed aveva perduto lo slancio riformatore dei primi sovrani), spingeva i due capiscuola ad evocare i tempi aurei in cui vigeva la semplicità del Tao, per Lao Tzu, o la carità e la giustizia dei santi imperatori, per Confucio. Bisogna ammettere però che i concetti che troviamo alla base del Taoismo e del Confucianesimo preesistevano ai fondatori delle due scuole, i quali non fecero che elaborarli e fissarli in un corpo di dottrine: Lao Tzu con lo scritto, Confucio con l'insegnamento.


Confucio

In Cina la filosofia non è staccata dalla vita, e la sua pratica è considerata inseparabile dalla teoria. In Cina vi sono stati pochissimi filosofi di professione. Quasi tutti i grandi filosofi cinesi hanno ricoperto delle cariche amministrative nel governo, oppure sono stati artisti. In Cina, insomma, i filosofi vengono ritenuti tali soprattutto per le loro caratteristiche morali. Non è concepibile che un uomo cattivo possa essere un buon filosofo, o che un buon filosofo possa essere un uomo malvagio. La prova reale di una filosofia è la sua capacità di trasformare i suoi sostenitori in uomini più grandi.

L'insegnamento del maestro cinese è stato esclusivamente orale. Egli era convinto che la verità si possa cogliere concretamente e in singole situazioni, mentre ogni tentativo di elaborare un quadro completo non fa che impoverirne o travisarne l'infinita ricchezza. Non c'è alcun tentativo di definire concetti o di elaborare principi e teorie come fanno invece i filosofi occidentali. Spesso Confucio si limita a ricorrere al modello analogico, associando un esempio antico ad un episodio presente, o limitandosi a brevi osservazioni concrete.
Tutto quello che ci è pervenuto del suo pensiero è raccolto nei cosiddetti Quattro Libri (Ssu Shu), che sono opera di discepoli. Essi sono I Dialoghi, Il Grande Studio, L'Invariabile Mezzo e il Libro di Mencio.

I Dialoghi sono il libro più antico. Esso consta di 11.705 caratteri ed è diviso in venti libri, ognuno dei quali è chiamato col nome dei due caratteri che lo iniziano. Gli insegnamenti sono fatti sotto forma di massime, aforismi o brevi dialoghi senza legame tra loro. Confucio era convinto di aver ricevuto dal Cielo (T'ien) una missione da compiere. I suoi discepoli credevano fermamente in lui e nel suo mandato. Confucio era legittimista: non vedeva altra possibilità per sanare i mali della società se non con la restaurazione degli antichi valori morali, degli usi rituali e delle istituzioni del passato; ristabilire insomma l'ordinamento feudale come era agli inizi della dinastia Chou. Per salvare la società egli insisteva che per prima cosa bisognava salvare l'uomo. Per riuscire in ciò, egli si rivolgeva in primo luogo a quelli che considerava i responsabili del disordine sociale: i principi. Essi dovevano essere consci delle loro responsabilità e dei loro doveri e dovevano prendere esempio dalle sagge istituzioni dei re santi dell'antichità che si erano preoccupati prima di tutto della felicità del loro popolo. "Vi è governo quando il principe (si comporta) da principe, il ministro da ministro, il padre da padre, il figlio da figlio" (Dialoghi, 12,11). Ognuno doveva quindi mantenere la posizione che gli competeva ed attenersi ai doveri che gli imponeva la propria qualifica e rango. Secondo Confucio, "governare è correggere. Se induci il popolo a correggersi, chi oserà non correggersi?" (Dialoghi, ibid.).
Per aiutare i principi ad attuare quanto era necessario al buon governo, egli intendeva preparare per essi dei consiglieri abili, onesti, saggi e fidati. Secondo l'ideale confuciano, essi avrebbero dovuto possedere le virtù morali del chun-tzu, ovvero l'uomo saggio, perfetto. Quest'uomo non era necessariamente un nobile per nascita bensì un uomo virtuoso. Se il consigliere tendeva alla perfezione, ne derivava anche un miglioramento dell'uomo comune, del suddito, che seguendo l'esempio di colui che lo governava, diventava un suddito docile e fedele.
Nel Grande Studio è detto: "Dal Figlio del Cielo all'ultimo del popolo, per tutti la cosa principale è perfezionare la propria persona" (par. 6). Nel commento si fa rilevare che il perfezionamento si ottiene quando si riescono a dominare le passioni, non ci si crea delle illusioni e si riesce ad essere sinceri con se stessi; ciò permette al saggio di vedere com'è veramente il mondo e gli dà la possibilità di poterlo giudicare obiettivamente. Ciò che conferisce all'uomo i sentimenti di umanità, giustizia, altruismo ecc. viene chiamato da Confucio col termine jen: si tratta di una virtù unica e completa in se stessa, che riassume tutta la legge morale oggettiva. In più vi è il li (ordine, etichetta), che si riferiva ai riti e alle cerimonie, ma esprimeva anche le norme che dovevano regolare i rapporti umani ed era quindi un codice di comportamento morale e sociale in una società organizzata gerarchicamente. Questi due concetti costituiscono la base del confucianesimo.
Quando chiedevano a Confucio di spiegare che cosa fosse jen, egli dava parecchie definizioni. Jen è "amare gli uomini"; è "conoscere gli uomini" (Dialoghi, 12,22). Altrove dirà che per attuare lo jen è necessario "rispetto, magnanimità, sincerità, sollecitudine, benevolenza. Chi rispetta non offende, chi è magnanimo si guadagna le folle, chi è sincero ottiene la fiducia degli altri, chi è sollecito porta a compimento, chi è benevolo è adatto a comandare gli uomini" (Dialoghi, 17,6). Anche il modo di comportarsi è jen: "fuori di casa comportati come quando ricevi un ospite importante; nel comandare al popolo comportati come se offrissi il grande sacrificio; ciò che non vuoi sia fatto a te, non fare agli altri; non suscitare ostilità nello stato, non suscitare rancori nella famiglia" (Dialoghi, 12,2). Gli fu chiesto una volta che cosa ne pensasse del principio per cui bisogna rendere il bene per il male. Confucio disse: "Con che ripagheresti la clemenza(bene)? Un torto si ripaga con la giustizia e la clemenza con la clemenza" (Dialoghi, 14,36).

Per Confucio il li pervade tutte le cose, in quanto è la vera base del governare. Il li rappresenta una completa dottrina sociale e morale, che si fonda sul principio dell'armonia nei rapporti umani fondamentali. Essi sono cinque (wu lun): tra principe e suddito, tra padre e figlio, tra marito e moglie, tra fratello maggiore e fratello minore, tra amico e amico. Il governo vero e proprio non è opera degli impiegati statali, ma di ciascun cittadino che osserva i giusti rapporti con gli altri individui. Quando in una società esistono dei buoni rapporti tra tutti i cittadini, allora vuol dire che lo scopo del governo è stato raggiunto. In altre parole, quando tutti gli individui agiscono moralmente in tutti i loro rapporti con le altre persone, non vi sono più problemi sociali. Ecco perché Confucio può dire che per raggiungere la pace nel mondo è necessario e sufficiente rettificare i propri cuori o curare la propria vita personale e porre ordine nella propria vita familiare. Il li comprende anche un altro concetto molto importante, quello di hsiao, che comunemente è tradotto con pietà filiale. Essa è la virtù della venerazione. I genitori sono anzitutto venerati in quanto la vita stessa è generata da loro. Nel mostrare venerazione per i genitori, è importante proteggere il corpo dall'offesa, poiché il corpo viene da essi. Quindi proteggere il corpo è onorare i genitori. Ma non basta: hsiao non è solo prestare cure fisiche ai genitori, ma dare loro una ricchezza emotiva e spirituale. Ugualmente importante, dopo che i genitori sono morti, gli scopi e i propositi del figlio dovrebbero essere i propositi e gli scopi che essi non sono riusciti a raggiungere. Ma hsiao non è solo una virtù familiare: essa diviene una virtù sociale. Quando i figli apprendono il rispetto e la venerazione per i loro genitori, arrivano ad avere rispetto e amore per i loro fratelli e sorelle. E quando hanno fatto ciò, possono rispettare ed amare tutta l'umanità. Quando dunque tutte le loro azioni sono dirette dall'amore per l'umanità, essi agiscono in accordo con lo jen.

Se Confucio sognava un'umanità perfetta, frutto dell'amore, dell'educazione e dello studio, era però convinto che questa perfezione non si poteva ottenere se non con l'aiuto del Cielo (T'ien). Sul concetto di T'ien, le interpretazioni sono discordanti. Possiamo comunque dire che egli non si discostava da quelle che erano le idee fondamentali della tradizione antica, e credeva dunque in un Cielo personalizzato, in cui vedeva l'ordinatore divino della coscienza morale dell'uomo. Nonostante i decreti celesti siano infallibili e immutabili (ming), l'uomo rimane responsabile delle sue azioni, e queste non riescono comunque a contrastare il corso degli eventi quale è disposto dal Cielo, ma dipendono dalla malizia dei loro cuori, che cercano i guadagni piuttosto che la rettitudine. La teoria dell'interazione tra cielo e terra era anche alla base della teoria del "mandato celeste", già preesistente a Confucio (a cui poi Mencio diede una sistemazione organica) come fondamento di legittimazione del potere del sovrano. D'altronde il confucianesimo stesso, pur essendo sorto come filosofia e morale secolare, assunse progressivamente una serie di elementi religiosi, come quelli delle religioni diffuse, elaborando tutto un sistema di riti di riti ufficiali ed inglobando la cosmologia delle teorie dello yin e yang e dei cinque elementi (legno, fuoco, terra, metallo, acqua).
Egli parla pure del Tao, della legge morale cosmica, per seguire la quale l'uomo doveva praticare il li (cerimonie, riti). Egli quindi rendeva omaggio agli spiriti degli antenati e compiva i sacrifici come se essi fossero presenti, ma nello stesso tempo criticava l'abuso delle cerimonie e dei riti e il comportamento di coloro che compivano le cerimonie tradizionali, senza la debita reverenza o che, compiendole, peccavano contro il Cielo: "se si offende il Cielo, non serve pregare" (Dialoghi, 3,13).

Confucio non si atteggiò mai a superuomo o a profeta. Il suo era soprattutto un insegnamento pratico, guidato dalla consapevolezza delle difficoltà del compito che si era prefisso, del dovere e della responsabilità che si assumeva. Il suo insegnamento era quindi più esortazione che teoria. Egli credeva nella bontà dell'uomo e nell'azione benefica dello studio: "E' difficile che un uomo che abbia studiato per tre anni non sia diventato buono" (Dialoghi, 8,12). Ma ammoniva: "Studiare senza meditare è inutile, meditare senza studiare è pericoloso" (Dialoghi, 2,15). Confucio non si poneva mai al di sopra degli altri e non si sopravvalutava mai. Inoltre, modestamente, concludeva: "Io tramando, non creo" (Dialoghi, 7,1).





Interessante notare come questo pensiero - "fuori di casa comportati come quando ricevi un ospite importante; nel comandare al popolo comportati come se offrissi il grande sacrificio; ciò che non vuoi sia fatto a te, non fare agli altri; non suscitare ostilità nello stato, non suscitare rancori nella famiglia" (Dialoghi, 12,2)
sia del tutto simile a :

«Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te» Mt 7,12).

Dunque un rispetto che prenda le basi dall'amare il prossimo :
“Ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 19,19)

si deve considerare allora rispetto - amore per gli altri ma anche per se stessi.
La crescita , la consapevolezza e la necessità di ascolto interiore devono partire da noi - in ricerca di equilibrio - per poi essere capaci di cogliere e donare ( in interscambio e non sono per prendere ) amore e rispetto agli altri.

Un abbraccio
Poe

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