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Mexico (seconda parte)

Ultimo Aggiornamento: 27/10/2004 23:38
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27/10/2004 20:55
 
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L’inferno di Washington D. C.; ma non sarebbe uscito dall’aereoporto, non lì. Già dalle scalette dell’aereo l’aveva assalito la nausea per quel luogo; non abbastanza protetto dalle enormi vetrate antiproiettili, sentiva la vita attraversargli e dilaniargli il cuore; si dava qualche ora di sopravvivenza.
Per fortuna il collegamento per Città del Messico gli dava giusto il tempo delle solite faccende agli sportelli; il Grande Fratello americano già s’era occupato di lui e aveva dovuto dare tutte le assicurazioni possibili che non trattavasi di terrorista, mafioso, pedofilo, nazista. Per prudenza, aveva taciuto le sue simpatie anarchiche; nessuno se ne sarebbe dispiaciuto, in fondo non aveva mai praticato. Da ciò aveva ottenuto un visto turistico di un paio di mesi, che comunque, in pieno deserto messicano, nessuno gli avrebbe chiesto.
- Città del Messico – disse alla, più che longilinea, lunga impiegata.
La signorina sorrise. Antonio sbuffò.
- Mexico City! – riprovò.
- Comprendo e mi esprimo correttamente in italiano – comunicò distrattamente la signorina, affaccendandosi sul proprio terminale.
Antonio sorrise imbarazzato, ma la signorina lunga ebbe pietà di lui: - Che va a fare lì? Per un po’ di vacanza le consiglierei Los Angeles, ma sono gusti personali… - chiacchierava per abitudine.
- La immagino troppo caotica Los Angeles, ci metterei tre giorni solo per trovare un hotel – spiegò il giovane dalla barba incolta.
- Ah… perché?, crede che Città del Messico sia una tranquilla città di provincia? – chiese ironicamente la signorina, il cui cartellino dichiarava si chiamasse Filomena. Filomena? Grottesco, rifletté Antonio, grottesco, anzi che no! Strinse le spalle, a rispondere all’appunto e a quel nome così poco americano. Pensò che se avesse preso un taxi, avrebbe certamente conosciuto un Rosario da Messina qualunque!
- Buon viaggio – augurò Filomena, tendendogli il biglietto.
- Buon lavoro, paisà – si lasciò sfuggire Antonio, e andò via, senza aspettare il sorriso della conterranea che si apriva malizioso.
Si diresse al suo imbarco, in netto anticipo; ma non aveva nessuna intenzione di girare per l’aeroporto, non si sentiva affatto un turista. Più un fuggitivo.
Aprì il libro che aveva rubato a Maria.
Il Fu Mattia Pascal. Ironico. L’aveva letto ai tempi del liceo, ma non ricordava una virgola, poteva ricominciare.
Sulla facciata precedente la prima pagina Maria aveva lasciato la sua solita presentazione: “Inutile fuggire, se ciò da cui fuggi te lo porti dentro” aveva scritto. Ironico. Cominciava a credere di trovarsi in una candid-camera.
Pensò a Maria, alle sue lacrime vive.
Avrebbe voluto portarla con sé, ma doveva darle tempo; se glielo avesse chiesto, così, su due piedi, la sua impulsività l’avrebbe spinta a seguirlo in capo al mondo; ma quello che si apprestava a fare non era il solito colpo di testa, era una scelta. Perciò anche lei avrebbe dovuto scegliere, ma con calma, senza la provocazione dell’avventura.
Una voce femminile chiamò il suo volo. “E questa come si chiamerà?” pensò, stanco d’ironia, “Teresa?”.

§

Maria dormì dalle sei alle otto.
Un rivolo di lacrime secche la ferì, quando si passò una mano sugli occhi; aveva ancora sonno, ma il freddo era stato più forte; per cui, ignorando lo squillo del telefono che annunciava una telefonata della sorella, si infilò sotto il getto caldo della doccia. Non ci è dato sapere se pianse anche sotto la doccia, comunque non se ne sarebbe accorto nessuno.
Tornò in camera, si mise il pigiama e sotto le coperte; ma la doccia aveva lavato via anche il sonno; si stupì non poco notando la serenità con la quale affrontava l’impossibilità di dormire.
“E’ uno stronzo” stava pensando “l’ho sempre saputo, perché dovrei soffrirne?”. E si sentì stupida per le lacrime che aveva versato.
Così, una nuova, strana serenità s’impadronì di lei; decisamente in fretta, rispetto alle aspettative. Un uomo se n’era andato. Dunque? Niente.
Al terzo tentativo rispose alla sorella.
- Ah… ci sei! – disse Adele, spazientita.
- Si, ero in bagno… che c’è? – rispose Maria, altrettanto fredda.
- Il libro! …me l’hai spedito? E’ una settimana che aspetto! – chiariva così la sorella, il suo fastidio.
Cazzo!
- …ehm… si… ieri pomeriggio… - mentì.
Il microfono amplificò un sospiro di rassegnazione.
- …vabbè… - tagliò corto Adele – ti salutano tutti, ci sentiamo.
Come no, ti salutano tutti. Ci credo. Senza dubbi. Ma vaffanculo!
- Ciao.
Maria si rivestì, di malumore. Anche di abiti.
In cucina c’era del caffè freddo; si accontentò ed uscì.
La neve della sera prima aveva lasciato per strada una fanghiglia odiosa, nera dei fumi di scarico. Le vie erano monopolizzate da signore di mezza età, indispettite dalla velocità degli automobilisti, dal caro euro, e da quella troia di Brooke! Benedì Antonio. Fuggi da questa merda, amico mio, pensò con gli occhi di nuovo gonfi.
- Prioritaria – ordinò allo svogliato impiegato.
- Due euro.
Appena fuori dall’ufficio postale cominciò a piovere, una pioggia da film, quel tipo di pioggia che non ti fa sentire il bisogno dell’ombrello. Comunque si rifugiò sotto i portici.
Si avvicinò ad una bionda che contemplava la vetrina di un negozio di scarpe e commentò: - Ti prepari al carnevale?
La biondina si girò, quasi spaventata: - Ah! …sei tu!?
- Andiamo a prenderci un the. – disse Maria, avviandosi, senza aspettare l’assenso dell’amica.
Nikla abbozzò una breve corsetta per raggiungerla.
- Brrr… hai visto che freddo? – ricominciava.
Maria assentì con un cenno del capo.
- Ti va di stare un po’ da me? – fu la strana richiesta di Maria.
Nickla sgranò gli occhi e con malcelato entusiasmo esclamò: - Ma certo! Da me sono ripartite tutte e poi…
Un pensiero improvviso la fermò, poi con finta preoccupazione: - Ma… Antonio?
- Non c’è. – non ammetteva repliche. E comunque l’amica, felice di quella novità, non aveva bisogno di altre spiegazioni.
Il the caldo riconciliò lo stomaco di Maria col mondo.

§

Il capolinea degli autobus era nelle vicinanze, lo aveva assicurato un poliziotto. Tutto stava a capire qual era la concezione di vicinanza a Città del Messico. Per fortuna si rese conto che, dopo tutto, era simile alla concezione “europea”.
Fermo al semaforo, s’accostò una grassa signora sorridente. L’enorme metropoli era invisibile agli occhi di Antonio; vedeva solo un ammasso di autobus di svariati colori, in fondo alla strada di fronte; si sforzava di non far caso al mondo che lo stava travolgendo, appena uscito dall’aeroporto. Lo stomaco reclamava per due giorni di digiuno, ma lui non aveva fame; non aveva intenzione di mandar giù niente, prima di arrivare a destinazione. Già, la destinazione. Con l’aria del cliente intento a studiare il menù della casa, si avvicino al cartello delle partenze; subito lo colpì il nome, romantico e cinematografico, di El Paso; ma per quanto ne sapeva, poteva essere una città, magari grande quanto Milano; con un brivido scartò l’ipotesi. Scorse tutti i nomi del cartellone, ma nessuno gli diceva niente di particolare, non sapeva, dal nome, risalire alla concentrazione demografica, suo vero interesse.
Una cartina, elementare Watson!
In un miscuglio di lingue, tipo anglo-italo-spagnolo, ma più che altro a gesti, si fece capire da un grassoccio e baffuto autista. Un po’ scocciato e un po’ divertito da quel siparietto semi-serio, l’autista aprì il portaoggetti e tese una cartina unta e bisunta a quell’uomo pallido. Facendosi guidare dai cerchietti che indicavano le città, stava per scegliere quella “meno evidenziata”; Oaxaca, Merida, Cancum, Morelia, Cuernevaca, Taxo, Guadalajara. Guadalajara, quanti film ci avevano girato? Come per El Paso, pensò con noia che, dal vecchio west, le cose fossero cambiate. Finalmente si accorse che sul tabellone c’era una località non presente sulla carta. Ironica. Una vaga sensazione di eccitazione, prettamente infantile, s’impossessò di lui; l’aveva trovata. Che avrebbe fatto Maria in un posto senza neanche un negozio di scarpe? Questa domanda lo convinse che, comunque si affanni la gente a dimostrare il contrario, l’uomo è solo con la sua natura. Unico, perciò solo.
Si avvicinò all’autista che gli aveva dato la cartina e gli chiese informazioni su Santa Maria.

§

Maria stava cambiando le lenzuola al suo letto, per l’amica; lei avrebbe dormito nel letto di Antonio; cioè… sul suo letto, che usava Antonio.
Nickla entrò in camera, accennando passi di balli latino-americani.
- …resta il fatto che Tarantelli è uno stronzo… - diceva, per giustificare l’ennesimo esame fallimentare - …è che se non ti si porta a letto non ti promuove! – sentenziò.
Maria non ritenne di dover chiarire che, lei, l’esame l’aveva passato, senza dover concedere alcun favore sessuale.
Nikla alzò il volume dello stereo e ricominciò la sua danza; Maria s’era già pentita d’averla invitata.
Davanti alle rispettive tazze di the, in cucina, la biondina non riuscì a trattenersi: - Ma Antonio?
- Non c’è – ribadì con semplicità Maria.
Ma l’amica aveva intuito l’aria, pesante di rimpianti, che, per quanto tenesse le finestre aperte al freddo, non riusciva a cambiare: - In che senso? – azzardò.
In che senso?, pensò Maria, in che senso? Che significa… in che senso?
Comunque decise che, per quanto non meritata, per quell’obbrobrio stilistico, le avrebbe concesso una risposta.
- Se n’è andato.
Nikla trattenne a stento un finalmente!, mascherandosi in un silenzio rispettoso di commiserazione; ma non riuscì a trattenersi a lungo.
- Comunque io lo sapevo… - aveva già ricominciato.
Le concesse l’attenuante; non aveva detto te l’avevo detto, ma lo sapevo! Questo bastò a Maria per non prenderla a morsi.
- …è uno stronzo approfittatore! Finché gli è convenuto… che stronzo! – continuava la bionda, pensando di dar man forte all’amica.
- …e poi… - fece una pausa per attirare l’attenzione dell’amica su un particolare che riteneva di indubbia rilevanza - …e poi… era brutto!
Maria scoppiò in una sonora risata; cavolo se era brutto!
Nikla pensò di essere un’ottima consolatrice.
- Comunque… non tornerà – disse a se stessa, ma alta voce, dando all’amica l’illusione che stavano parlando.
Si alzò dal tavolo e prese le due tazze; guardò le sue mani insaponate muoversi con calma, dentro la tazza; strizzò con forza, troppa, la spugna; si asciugò le mani. Seduta al tavolo, Nikla non aveva ancora terminato la sua opera: - Dai, chiamo Massimo che sta a casa con un amico, così usciamo un po’! – disse con lo sguardo di chi non ha bisogno di ringraziamenti, perché sa. Maria sorrise e acconsentì: - Si – disse semplicemente, ma era più una stretta di spalle che un’affermazione.
Sentì, dall’altra stanza, l’amica al telefono.
- Si, sto a casa di Maria, raggiungeteci… ma sì, da Maria t’ho detto… - poi, cercando di non farsi sentire: - No… non c’è!
Maria, pur sentendo, non s’innervosì. Meno gente la capiva, più si sentiva speciale.

§

- Mangiare! – quasi urlava al quasi impaurito vecchietto, accompagnando la voce a gesti inequivocabili.
Il vecchietto finalmente cominciò ad annuire sorridendo a denti marci: - Ah! Ok… ok! Da Gino! Gino!
Antonio non credeva alle proprie orecchie! Gino? Dopo Filomena, questo era troppo; si guardò in giro, come a cercare telecamere nascoste… Ma Gino cosa? Il vecchietto continuava la sua litania: - Gino! …Gino! – indicando con il mento e con la mano verso una ripida salita.
- Ok… ok… claro! Claro! – stava cercando di accettare Antonio.
Lasciando il vecchio alla sua sedia di legno, Antonio stava cercando di capire come fosse possibile che su quattro persone che aveva o avrebbe incontrato in America, due fossero chiaramente italiani. Ne era leggermente infastidito.
L’insegna del locale lo convinse che non era stato preso in giro; “da Gino” recitava incredibilmente.
Il locale era una specie di pub-trattoria-tabaccheria; arredato senza pretese, aveva l’aria di una di quelle locande toscane cadute in disgrazia con l’avvento dei famigerati agri-turismo. Salutò con un cenno del capo il grassone che lo squadrava sereno. Da far-west, pensò relativamente divertito.
- Gino? – chiese senza troppi preamboli.
Il grassone, tradendo la sua effettiva identità, si guardò in giro, come in cerca d’aiuto. Poi, contando sulla sua “prestanza” fisica, tornò sul giovane: - Che vuoi? – chiese duro, a nascondere la preoccupazione.
- Parlare italiano e mangiare qualcosa – lo rassicurò Antonio.
Senza sollievo il dichiaratamente Gino gli indicò un tavolo giusto di fronte il bancone. Niente privacy, eh?
- Ti do da mangiare, ma non accogliamo mafiosi o fuggiaschi di qualunque tipo – aveva subito chiarito il probabilmente Gino. Antonio pensò che le sue teorie sul deserto erano completamente sbagliate, e fu costretto a tirar fuori il visto turistico.
Il grassone finalmente tirò un sospiro.
- Mi scusi, è che… sa com’è? – si stava giustificando. No, non lo so. Com’è?
- Comunque le conviene tornare a Taxo – continuava gentilmente e dando del lei – Qui gli autobus arrivano, ma non proseguono, se vuole continuare deve tornare dietro, e non sbagliare autobus.
Ci siamo, pensò Antonio.
- Diamoci del tu. Volevo proprio venire qui, e magari trovare lavoro… hai visto mai… mi tolgono il visto turistico e me ne danno uno più lungo, per lavorare.
Il mi sa proprio che è lui Gino lo guardò perplesso: - Dobbiamo aspettarci guai da te, figliolo?
- No.

27/10/2004 23:38
 
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Sempre più intrigante.

Ora credo che Antonio sia anche un serial killer.
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