Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!
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Mexico (prima parte)

Ultimo Aggiornamento: 27/10/2004 23:29
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27/10/2004 20:53
 
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Il tempo passa.
Gli occhi di Antonio seguivano le lancette dei secondi con stupore infantile. Erano circa due ore che stava lì, ipnotizzato a guardarle; più di una volta ebbe voglia di prendere la maledetta sveglietta e scaraventarla contro il muro, ma aveva deciso di non dar sfogo a quella piccola vanità estetica. Anche perché il tempo non si sarebbe certamente fermato.
- Ancora a letto?! – si stupì Maria, rientrando in camera.
Lui si girò verso di lei, attraversandola con lo sguardo, guardando qualcosa alle sue spalle. Maria s’irrigidì.
- Comunque, esco a comprare qualcosa … - disse, uscendo di nuovo.
Antonio attese il rumore della porta che si chiudeva e si alzò con calma; accese la radio, la spense. Si trascinò lentamente verso il bagno; all’altezza della cucina, il dolce sapore del caffè caldo gli sorrise e lui contraccambiò. In bagno si prese secondi eccessivi a ricordarsi dov’era finito l’interruttore; secondi preziosi, avrebbe pensato, se ne avesse avuto voglia. Lo specchio gli rimandò la solita faccia, non che si aspettasse altro. Finalmente, dopo essersi fatto una linguaccia da solo, tramite lo specchio, si chinò a vomitare.
Ma era tarda mattina e c’era poco da vomitare, si limitò a tirar fuori i pochi acidi che aveva nello stomaco.
L’acqua che cadeva dalla doccia faceva un rumore infernale, ogni goccia si spiaccicava sul fondo della vasca con enfasi cinematografica; per farle smettere, Antonio mise il proprio corpo tra le gocce e lo smalto della vasca.
L’acqua, scivolandogli dalle spalle, prendeva dritto per le braccia, finendo a scolare dalle dita, allungandogliele per un breve tratto, prima di staccarsi; dopo diversi minuti, si chiese che diavolo ci fosse da guardare su quelle dita, e si chiese anche per quale motivo stesse facendo la doccia con acqua completamente fredda; non trovando risposta per nessuna delle due domande, indossò l’accappatoio azzurro.
Maria lo trovò di nuovo in camera, vestito a metà, solo con un paio di jeans, che scriveva, seduto sul letto. Non tentò neppure di sbirciare, tanto sapeva che si sarebbe ritrovata quel foglietto nel posto più assurdo, quando meno se l’aspettava; così sorrise, immaginando posti, tempi e contenuti.
Aspettò che finì i suoi brevi scritti e gli si avvicinò; tese una mano e gli accarezzò una guancia: - Il caffè s’è raffreddato.

§

- Faccio un giro in facoltà… - stava dicendo Antonio - …vedo se ci sono novità. – poi, con un minimo di malcelato imbarazzo, - …ci si arriva con il 13 nero, sì?
Maria tentò uno sguardo di rimprovero.
- Ma sì! – riuscì appena a dire, prima di essere assalita da una fragorosa risata.
Antonio si finse offeso; volendo, era semplice trovare la felicità. Si baciarono sulla porta.
Maria tornò in cucina, c’erano solo le tazze e la macchinetta del caffè. Fuori dalla finestra il cielo era bianco di freddo. La tv mandava rumori di fondo che si perdevano, indifferenti, nell’aria profumata di caffè e detersivo al limone della piccola cucina; volendo, era semplice trovare la felicità.
Un lampo di malizia attraversò lo sguardo divertito di Maria; stavolta non si sarebbe lasciata sorprendere.
Entrò nella stanza che divideva con Antonio e si mise a frugare, alla ricerca del bigliettino incriminato. Nonostante pensasse che fosse perfettamente inutile, cominciò la ricerca nei posti più “comuni”, gettando per aria tutti i cassetti; passò quindi a sfogliare tutti i libri all’interno della stanza. Senza delusione, cominciò, con meticolosità da poliziotto, al “lavoro serio”.
Scompose tutt’e due i letti, rovesciò le fodere dei cuscini, alzò i due materassi, aprì la sveglia; un minimo di comprensibile nervosismo si affacciò a disturbare quell’allegra caccia al biglietto. Dopo un po’ subentrò la noia, e quella è difficile da vincere, quindi rimise alla meno peggio in ordine la stanza e aprì il mattone di Diritto Penale.
Avrebbe dovuto aspettare i capricci di Antonio pure stavolta.
Ma le parole le scorrevano sotto gli occhi, incomprensibilmente; pensava al suo compagno, al suo sguardo che vagava lontano, anche quando era costretto da quattro mura; ne aveva paura, sapeva per certo che, prima o poi, sarebbe andato via. Così, semplicemente. E lei cosa aveva per trattenerlo? Il sesso? La stima? Forse perfino l’amore. Comunque troppo poco, per riportare quegli occhi su di lei. L’inchiostro della parola “arresto” dilagò, travolto dalla prima lacrima staccatasi dalla guancia di Maria. Così si accorse che stava piangendo. Sorpresa e un po’ imbarazzata, si strofinò gli occhi con troppa forza, lasciandoli rossi. Chiuse il libro.
Accese il pc per controllare la posta; l’hard-disk produceva il solito, divertente rumore, tipo criceto sulla ruota, e, per quanto ne sapeva lei, poteva anche esser quello il marchingegno che faceva girare tutto. Affianco al monitor, appeso su un porta-foto, c’era uno dei tanti bigliettini di cui Antonio disseminava la casa. “E’ stato il dio del vino ad inventare la poesia cantata, non tanto per amore dei poeti, quanto per amore dei baristi”.
Questo bigilettino era spuntato l’indomani di quella strana serata, passata con quei suoi amici, venuti da Genova; il bigliettino ne indicava anche l’autore, presente a quell’incontro. Quella sera avevano bevuto un po’ troppo, ma, a differenza del solito casino, il Centerbe aveva lasciato le discussioni pacate, i toni bassi e gli sguardi pacifici. Era gente che aveva uno strano rapporto con l’alcol, anzi che no! Si distolse da quei ricordi, vedendo che aveva un nuovo messaggio nella sua casella.
Riconobbe subito l’indirizzo del mittente, sbuffando. “I vecchi corteggiatori sono duri a morire” pensò. A conferma delle sue più pessimistiche previsioni, visualizzò una cartolina virtuale, con tanto di orsacchiotto e citazione da Baci Perugina annessa.
Sorrise, paziente, cestinando l’e-mail.

§

Antonio rientrò ubriaco. O aveva pianto.
Aveva gli occhi lucidi, e questo era l’unico sintomo che aveva solitamente per entrambe le circostanze. Ma non evitò lo sguardo preoccupato di Maria, per cui la diagnosi fu semplice: era ubriaco.
- Hai fame? – chiese Maria, con aria indifferente.
- Se vuoi vedermi vomitare… - confessò allegramente lui.
- Che scemo… sei ubriaco! – gli sorrise Maria, fingendo di averlo scoperto solo in quel momento.
- Sono le cattive compagnie! – si giustificò senza convinzione Antonio. Inutile dire che non era riuscito ad arrivare alla fermata del bus; per quanto fosse grande quella città, trovava sempre qualcuno per strada pronto ad incastrarlo con qualche aperitivo, che poi degenerava in un pomeriggio passato a bere e a fingersi disattenti.
Lei gli si sedette a cavalcioni e lo baciò; poi si finse un attimo perplessa e infine sentenziò: - …mmm…Sambuca e gin!
Risero insieme e Maria ebbe di nuovo paura.
Antonio tornò in camera e accese lo stereo. Era di nuovo buio. Steso sul letto fissava il lampadario a forma di balena azzurra che qualche amica con poco senso estetico aveva regalato a Maria. Ma aveva il pregio di fare poca luce. Maria lo raggiunse e si stese al suo fianco.
Il pollice di Maria vagava a caso sulle dita di Antonio; si baciarono ancora. Le mani si divisero e quella di Maria trovò una strada diversa; gli sbottonò i pantaloni e cominciò ad accarezzarlo con dolcezza. Un sospiro d’impazienza di Antonio sottolineò i ben pochi cambiamenti che si producevano sotto le carezze di Maria.
- Sssst… lasciami fare, mi piace così… - tentò di calmarlo lei. Ma un malinteso senso della propria mascolinità scosse l’uomo: - Lasciami, sono ubriaco. – che si girò dall’altra parte, lasciando Maria nel malessere della sua inutilità. Ma non avrebbe pianto. Lui lo intuì e non volle lasciarla sola, alla sua malinconia inespressa; si girò verso di lei, incurante della comicità involontaria dei suoi jeans abbassati a metà, e la guardò con dolcezza. Guardò lei, non qualcosa alle sue spalle.
- Sei bellissima – disse con stupore. Lei abbassò lo sguardo per l’imbarazzo, e lo rialzò in fretta, sempre per l’imbarazzo.
Antonio si guardò e finalmente si vide. Con altrettanto imbarazzo si affrettò a chiudersi i pantaloni, mentre si liberava finalmente una risata a due voci. Volendo, era semplice trovare la felicità.
Lo stereo mandava il consueto ronzio con il quale il cd chiedeva di esser riavviato.
- Sono uno stupido… - si stava maledicendo Antonio, mentre stringeva in un abbraccio fortissimo Maria, che con aria maliziosa assentiva: - E già… ma adesso andiamo a buttar giù qualcosa.
Si ritrovarono a pranzare, o cenare, che dir si voglia, verso le cinque.
Dei pelati si scaldavano in pentola, si rigiravano pigri e svogliati. Una tipa raccontava le sue sciagure in tv. In un’altra pentola, l’acqua cominciò a bollire: - Scusa, metti il sale? – chiese Maria, uscendo un attimo dalla cucina. Al suo rientro, tutto era come prima, signora alla tv compresa. Finse uno sguardo di rimprovero verso Antonio e aprì lo stipo delle spezie; senza guardare, infilò la mano nel barattolo del sale e, insieme a un po’ di sale, tirò fuori un bigliettino. Quasi con rabbia ammise a se stessa di esser stata di nuovo raggirata. Antonio continuava a far finta di guardare la tv.
Maria mise il sale nell’acqua e sedette, dispiegando il foglietto.
“Rido perché/ non ho più mal/ non ho più da pensar/ fuggo da me/ non basta amar/ mi vengano a cercar” declamava la solita stramba citazione. Maria la prese per delle scuse e sospirò, poco convinta.
- Prima o poi riuscirai anche a farmeli mangiare!
Antonio la guardò, disinteressato.
- Vuoi del vino? – gli chiese, senza pensarci.
Lo sguardo di lui la fece riflettere: - Ops… - le sfuggì.
Sorrisero.
Maria si mise il biglietto in tasca; mangiarono una discreta pasta al pomodoro, imboccandosi a vicenda.
- Volevo uscire stasera – disse Maria – ma tu hai rovinato tutto, come al solito!
- Esci con Nikla, è una settimana che ti cerca – le ricordò.
Lei pensò un po’ alla cosa, e l’idea non le sembrò poi così assurda: - A te manco chiedo, giusto?
- …mmm… davvero, sto male – disse sinceramente Antonio – finirebbe in tragedia!
Maria andò in bagno, mentre Antonio riconquistava la loro stanza.
Mentre accendeva lo stereo, sentì nell’altra stanza la doccia che si apriva e, contemporaneamente, il desiderio di lei crescere. “Arrivi tardi” pensò, parlando col proprio sesso.
Si accomodò sulla poltrona affianco al letto e socchiuse gli occhi sui tasti d’avorio di Duke che raccontava della sua “Sophisticated lady”; suoni di velluto per storie di carta vetrata.
Maria entrò in accappatoio, strofinandosi i capelli; lo guardò per un attimo, distrattamente, e iniziò a vestirsi; sentì immediatamente i suoi occhi addosso e, più per piacere che per imbarazzo, tuonò: - Smettila di guardarmi!
Antonio alzò lo sguardo dall’elastico dei suoi slip ai suoi occhi e rispose: - E tu sii meno bella!

§

All’angolo di via De Gasperi, Nikla stava guardando ripetutamente l’orologio del suo cellulare.
- Eccomi, eccomi! – si affrettò Maria alle sue spalle.
- Alla buon’ora! – si lamentò l’amica, senza rancore – Sarà un miracolo se troveremo posto a sedere, adesso!
S’incamminarono per quella stessa via, con i soliti battibecchi, mentre un tipo in bicicletta le stava squadrando a dir poco con insistenza.
Il New York, come previsto, era affollatissimo, ma un tavolo per due fu comunque semplice da trovare.
- Ti tieni ancora in casa quell’essere? – chiedeva Nikla, dando un’occhiata distratta al menù. Maria sorrise paziente il sorriso del saggio.
- Sì… e non vedo come dovrebbe darti fastidio, visto che sta a casa mia – rispose, sottolineando il “mia”. L’amica sorrise, scettica.
- …contenta tu! – si affrettò a chiudere.
Maria parlava sempre mal volentieri di Antonio con le amiche; loro, dove per “loro” intendeva più il resto del mondo che le proprie amiche, non l’avrebbero mai capita; anche perché c’era poco da capire. L’amava, semplicemente, senza ragioni. E con chi non capiva questa banalità, era inutile approfondire. Era sola col suo amore.
Un sax, venuto da lontano, penetrò l’aria, mentre l’applauso della folla ordinata l’accolse; anche le due amiche parteciparono. Quasi subito tutti tornarono ai loro drink e alle loro chiacchiere, mentre il resto degli strumenti entrava in scena tra l’indifferenza generale. Perle ai porci, pensò Maria in veci di Antonio. Ma anche la sua amica era tornata al menù: - Che prendiamo?
Maria pensò alle labbra del suo uomo e fece per dire: - Sambuca e gin! – ma si trattenne, chi l’avrebbe capita? Allora scese ad un ottimo compromesso: - Nero d’Avola, per me!
Nikla ci pensò ancora un po’ su, mentre l’amica si faceva raggiungere da sospiri di sax e carezze di pianoforte.
- Vabbè… anch’io – si arrese.
Un ragazzino piuttosto distratto prese gli ordini e si perse tra la folla.
- Tu piuttosto, che mi dici? Come va con Massimo? – chiese Maria, cambiando decisamente discorso.
- Bene! Almeno il mio è normale! – rispose pronta e senza convinzione, sottolineando il tutto con una linguaccia.
- … bèh… in verità giusto l’altra settimana abbiamo litigato, per questo t’avevo chiamato, ma ora va tutto bene… sì… insomma… qualche rospo bisogna pur mandarlo giù!
Maria attese in silenzio, e, come per un segnale convenuto, l’amica iniziò il suo sproloquio sul fidanzato; ma Maria già sapeva cosa le avrebbe detto, perciò si concentrò sulla musica, fingendo, con appositi battiti di palpebre, di ascoltarla. L’argomento, senza interruzioni, pretese il tempo di più di una canzone, vari tentennamenti di testa e qualche sporadico assenso. Una volta si sarebbe sentita in colpa per una farsa come quella, ma qualche tempo con Antonio l’aveva convinta che in giro c’è di peggio.
- …per il resto è la persona più buona del mondo… è che vorrei cambiasse quegli atteggiamenti… - si stava avviando alla conclusione Nikla.
- Un altro giro? – consigliò Maria.
- Ma sei matta? Vuoi vedermi ubriaca?!?! – si scandalizzò la biondina.
Dio ce ne scampi e liberi!, pensò divertita Maria.
Così abbandonarono, non senza il rimpianto di Maria, il New York e la sua aria morbida di musica e di poco fumo. Dovevo venirci con Antonio, fu il suo primo rimpianto.

§

Come già quella mattina, Antonio attese il rumore della porta che si chiudeva. Non gli era piaciuto molto consigliarle di vedere Nikla, la giudicava poco meno d’un oca, ma aveva bisogno di spazio. Il tempo l’aveva già finito.
Riempiendo il suo borsone, si accorse di avere ben poche cose. Meglio così. Fece molta attenzione, cercando di non dimenticare niente; dopo un paio di giri di sicurezza per casa, si sedette a scrivere il suo dannato bigliettino.
“Che cossè l’amor? E’ un indirizzo sul comò di un posto d’oltremare ch’è lontano solo prima d’arrivare” diceva. E più in basso, in stampatello: TI MANDERO’ CARTOLINE, QUANDO VUOI RAGGIUNGIMI.
Non credeva che l’avrebbe mai raggiunto, comunque avrebbe mandato delle cartoline.
Guardò l’odiata sveglietta e si accorse di avere avuto troppa fretta; Maria era uscita da venti minuti; prese a far girare uno dei cd di lei. Avrebbe messo volentieri la mano su fuoco che stavano suonando degli zingari; nella sua vita precedente, pensò divertito Antonio, si chiamava Svetlana.
Si fermò imbambolato davanti alla finestra; grossi fiocchi di neve gli ondeggiavano davanti agli occhi, con modi da sfida. Era l’ennesimo segnale; tutto il mondo gli chiedeva, gli intimava di restare, ma lui la prendeva solo come ulteriore scusa per fuggire. Sarebbe andato via.
Rimase bloccato alla finestra per un po’, ipnotizzato come davanti alla sveglia, la stessa mattina. Era tutto meraviglioso; volendo, era semplice trovare la felicità. E’ solo che alcuni uomini non sono fatti per la felicità, semplicemente. Alcuni uomini sono fatti per fuggire in posti dai nomi esotici, per morire di sbronze cercando di dimenticare una donna che loro stessi hanno lasciato. Alcuni uomini sono strani, anzi che no!
Lo zingaro in miniatura, nascosto dentro il lettore cd, terminò la sua esecuzione e lasciò riposare la sua fisarmonica, stanca. Anche certi musicisti sono strani.
Antonio rilesse il biglietto; un minimo di decenza glielo avrebbe fatto strappare, ma era fatto così, esteta della bruttezza, l’uomo sbagliato al posto sbagliato, l’errore fine a se stesso. Piegò il biglietto e lo nascose.
Si sdraiò sul letto di Maria e strinse forte a sé il cuscino. Non c’erano profumi. Cercò perfino un capello, ma niente. Non per niente l’amava! Sapeva esser dispettosa al momento giusto, anche senza volerlo.
Mise la giacca pesante nel borsone e indossò quella leggera; lasciò la luce della camera accesa e uscì.

§

Vedendo la neve scendere a fiocchi grossi come S. Bernardo, Maria si convinse che sì, quella sera sarebbe dovuta uscire con Antonio, accidenti a lui e alle sue sbronze pomeridiane! Ma era tornata presto a casa, se l’avesse trovato a dormire, l’avrebbe svegliato e avrebbero fatto l’amore.
Da sotto la porta si vedeva, chiara, una sottile linea di luce; sarebbe stato più difficile del previsto. Se l’avesse trovato a dormire, sarebbe stato facile infilarsi sotto le sue coperte, così, naturalmente; ma se era ancora in piedi… avrebbe dovuto reggere il suo sguardo, e parole di circostanza. Si vergognava ancora.
Odiandosi, aprì la porta della camera da letto.
Non con eccessiva sorpresa constatò che la stanza era vuota; qualche fottutissimo stronzo era stato più convincente di lei a farlo uscire. Decise di aspettarlo.
Andò in cucina e accese la tv, notando un indefinito malessere che la aggrediva alle spalle, per dileguarsi quando lei cercava di capir cos’era.
Cecchi Paone spiegava i dinosauri.
Il tempo passava, piano.
Gli occhi di Maria non volevano piangere; s’erano chiusi, in qualche modo, decisi a non lasciar passare una lacrima, una! Ma erano così pieni di lacrime che le pupille ci galleggiavano letteralmente sopra e quando Predolin cominciò a vantarsi della qualità dei suoi materassi, due grosse masse di lacrime si staccarono dagli occhi a bagnarle il viso.
Era un pianto innaturale, ingiustificato; mille volte era tornata a casa e non l’aveva trovato, a volte mancava per settimane, ma qualcosa in lei sapeva cos’era successo, l’aspettava da tanto; così, senza saperlo razionalmente, pianse per esser stata abbandonata. Chi pensa che l’espressione non avere più lacrime sia una forzatura, alzi la mano. Idioti. Ve la farei provare.
Prima di riuscire ad alzarsi, dovette fare vari tentativi. Tornò in camera, per mettersi il pigiama di Antonio; non si giudicò infantile. Ma con una fitta al cuore, vide che era sparito anche il pigiama e capì perché stava piangendo.
Così, con gli occhi pieni di lacrime, rivoltò la stanza, armadi e cassetti; ogni traccia di Antonio era sparita, non aveva lasciato neanche uno dei suoi fottuti biglietti. Distrutta dalla fatica e dalla paura, si buttò sul letto; e mentre lei atterrava pesantemente sul materasso, a pochi chilometri di distanza, un aereo decollava, poco convinto.

27/10/2004 23:29
 
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Fin dall'inizio ho immaginato che Antonio fosse una specie di E.T., credevo che Maria non sapesse che lui stava impersonando il suo compagno.
Ora vado avanti.

volendo, era semplice trovare la felicità questa frase è un leit motiv che s'incontra spesso nel racconto riassume quello che noi non ci accorgiamo d'avere.
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