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Manao Tupapau

Ultimo Aggiornamento: 25/11/2004 19:35
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Manao Tupapau

Salve popolo, hola spettacolo gladiatorio. Ciao puffi, kolchoz de mi tranquillidad. Ricordo quando costruimmo un ponte forse una rampa sul materasso. Il ponte era Lego e propulsione da Cape Canaveral, scivolo galileiano, sospiri e Venezia. Una Venezia panciuta, grassa di palazzi intagliati come cavallucci marini. Nel legno morbido. Oppure in dolce attesa. Le biglie picchiettavano sulle asperità circolari della costruzione. Spinte con forza tornavano indietro, Mimì sgranava gli occhi, incredula e sorridente. Disposizione aveva un significato meno legalitario. Più avventuriero scalpitante cavallo sudato al tondino. Essenza del samba, sconforto incastro sospensione e veli del tango. In principio era la zona di sosta. I Legopoliziotti prendevano il caffè, un occhio sulla ferraglia borbottante e l'altro sulle curve di Dejanira, l'unica donna della baracca. Mozzafiato.Venivano giù sciami di sole e zanzare e papiri Rhind da sgranocchiare sulla spiaggia, dopo la frittata. Gli abbracci non erano biscotti, cuore e serra si astenevano dal pornoscrivere. Il materasso girava nudo per la taverna, lato estivo, il pomeriggio lo passava alla finestra e c'era Valentina, made in Naples, come la radio isterica del vicino. Inviammo un articolo all'Airone di turno, zeppo di formule inconcludenti. Ce lo pubblicarono perchè non era ancora il tempo del quindi col punto interrogativo E soprattutto avevamo corrotto la Legopolizia. Con un puledro nerofiammante trafugato dalla scuderia di mio cugino. Dejanira divenne Giovanna d'Arco con Alì Baba. Senza i quaranta ladroni, che di furti ne avevo piene le scatole. Persino i cubipuzzle di Cenerentola. Bastardi. Persino la penna Staedtler, quella lunga dodici chilometri. Luce e buio che si alternanavano a ritmi allarmanti, selvaggi, esagonali. Sottostare ad un ordine, una condanna, una gabbia. Lo spazio tra il tavolo ed il termosifone era al minimo anatomico, la tovaglia rossa ospitava gli isolati di una Los Angeles poliziesca ed ortogonale. Su quelle strade si trascinavano, disfatte e intossicate, frattaglie leather, miracolosamente sopravvissute agli anni ottanta e alle pubblicità progresso: un panorama così sudicio da chiedersi come mai la bella lavanderina lavasse soltanto i fazzoletti, per i poveretti, della città. La parabola dell'hotdog si avviava al declino, ignara del boicottaggio alimentare che da lì a poco sarebbe diventato molto trendy, al limite del fashion. I disegni dei bambini, tuttavia, avevano già qualcosa di corrotto e malvagio; qualcosa che stava scomodo sul sedile posteriore e non ne voleva sapere della villeggiatura ad Ostia. Più frenetico di un'invasione di formiche venezuelane, più sgretolante dello stridere di un molare contro un altro molare. Francesca avvolta nel grande telo blu, con i delfini, senza il costumino bianco. Sdraiata, sudata, semiassopita. Lontana dal baccano due ombrelloni più giù. Giù, anche io, ai suoi piedi, encantado. Il telo lasciava scoperte le scapole brune lucide e tornite. Francesca mise una caviglia sull'altra e mi gettò uno sguardo denso e malizioso. Io ero già in un campo di papaveri arancione lava e di terra polverosa viola. Accarezzai il volto di Francesca per render tributo allo spirito dei morti, la fragranza che vegliava proteggendo me, la mia creatura, lo stesso sole, dagli altri ombrelloni. Francesca avvolta nel grande telo blu, con i delfini, senza il costumino bianco. Comunque vada, avrete irremediabilmente perso. Fiori bianchi galleggiano nel profumo, in cucina. Manao Tupapau.

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25/11/2004 19:35
 
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MUY ENCANTADA.[SM=x142892] [SM=x142837]


Un racconto molto chiccoso, come direbbe Jonathen (non il gabbiano).[SM=x142861] [SM=x142922]
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