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Tsuraar-L'amore degli elfi marini 1

Ultimo Aggiornamento: 22/02/2015 16:22
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22/02/2015 16:22
 
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Tratto da "Tsuraar-L'amore degli elfi marini 1"

Capitolo 4.
IL SUONO
... In quello stesso momento, mille metri più in basso.

Quella notte, nell’oscurità degli abissi, un elfo marino disse:
«Hai sentito di Tsuraar? Pare che ormai sia diventato vecchio e che gli altri mostruosi dominatori del mare non lo temano più. Un tempo avrebbe distrutto un galeone con un solo morso, ma adesso …».
«Gli altri dominatori lo faranno a brandelli prima o poi – gli rispose un altro elfo marino con fare da smargiasso – ma non credo che assisteremo allo spettacolo. In questo mare sono mesi che non si vede».
«Per questo motivo resto fiducioso, troveremo qualche suo tesoro. Magari in qualche anfratto di questa grande grotta … non ne ho mai vista una così liscia, perlustriamola bene. Fermo, forse ho visto un pezzo d’oro».
I due elfi guardarono l'uscita della grotta e si ritrovarono di fronte a due file di enormi denti, come affilati cancelli d’avorio, e in un attimo furono ingoiati vivi dall’oggetto delle loro chiacchiere. Si erano addentrati, senza rendersene conto, nelle fauci di Tsuraar.

Negli abissi viveva il mastodontico Tsuraar, l’unico antico squalo del mondo di Erön. Le sue cicatrici raccontavano la sua lunga storia di fierezza.
Dopo aver assaporato i primi elfi della nottata, il gigantesco predatore uscì allo scoperto, si scrollò la sabbia di dosso e si nascose in una selva filante di sargassi nei paraggi.
Rimase in attesa. Il muso di un cetaceo grosso la metà di lui spuntò alla sua sinistra.
“Capodogli … ho perso il conto di quanti ne ho uccisi quest’anno. Ricomincerò da questo”. Pensò la bestia. Intanto la sua preda lo vide, così egli scosse la sua mole colossale e tutto il suo corpo affusolato scattò in un morso fulmineo.
Agganciò la preda e la portò facilmente sul fondale, dove la spinse contro gli scogli. La divorò quasi tutta in un turbine frenetico di morsi. Una costola del capodoglio rimase incastrata in uno scoglio e brandelli di carne rimasero attaccati ad essa.
Il dominatore la strattonò, inarcandosi tutto.
Pezzi di scoglio saltarono via tra sbuffi vorticanti di sabbia e sangue.
Senza volerlo, Tsuraar aveva appena creato una spaccatura nel fondale e sentì un debolissimo tintinnio spandersi da essa. Si avvicinò e si mise in ascolto.
L’eco lontano di suoni indefiniti.
Usò tutti i suoi sensi e capì che in quel punto il fondale era solo un sottile strato di roccia. Là sotto avrebbe potuto esserci una vasta grotta inesplorata.
Per la prima volta in quel millennio il predatore si dimenticò di finire la sua battuta di caccia. Si allontanò dalla spaccatura volteggiando, la guardò e poi guizzò contro di essa colpendola col muso.
Lo strato roccioso crollò e si aprì un varco: era effettivamente una grotta ampia e molto profonda. Tsuraar ci entrò seguendo il cadere dei detriti e lentamente l’eco risultò più nitida. L’aveva già sentita negli abissi più inaccessibili e non vi aveva mai dato peso; quella notte, invece, si sentì allo stesso tempo respinto e attratto da essa.
Si voltò a guardare verso l’alto al di fuori della grotta. Le tre lune facevano risaltare alcune sagome scure e sfocate che si muovevano lentamente lassù.
“Uhm, altri capodogli”. Pensò Tsuraar annoiato.
Ormai non gli dava più alcuna soddisfazione attaccarli, tant’era diventato forte, così tornò a guardare verso il basso.
Laggiù trovò un antro corallino abitato da gamberi, con alghe cangianti dal verde al blu che non aveva mai visto.
Più a fondo si snodavano altre grandi cavità ed egli iniziò ad esplorarle senza fretta, seguendo l’eco.
***
L’alba seguente non lo sfiorò nemmeno con un raggio: lo squalo giunse molto in profondità nelle grotte in una zona ricca di sorgenti sulfuree ribollenti; esse spargevano una polvere grigo-giallastra che ammantava le rocce e intorbidiva l’acqua.
C’erano milioni di piccole creature luminescenti attaccate agli scogli.
Un ticchettio si sovrappose a tratti al bel suono.
Tsuraar si fermò e la sua esperienza gli suggerì: “Deve essere un crostaceo grande poco meno della metà di me, forse è un dominatore del mare. Si sta avvicinando troppo in fretta, ma forse sta solo scappando da un pericolo. Se si avvicina ancora sarò io ad attaccare per primo”.
Il ticchettio si fermò e Tsuraar smise di avanzare, poi sentì provenire dal basso una serie di schiocchi e sibili modulati nel linguaggio degli abissi, il cosiddetto “marino”. Il significato di quei versi era: «Che cosa speri di trovare nelle mie grotte?». Senza capire perché, Tsuraar perse lucidità di colpo, ciononostante riconobbe da quella sola domanda chi aveva di fronte.
La risposta cavernosa dello squalo fece vibrare i coralli e smuovere il sabbione attorno a lui: «Tu devi essere Tolat, colui che chiamano l’arconte Gran Chela, padrone delle sorgenti sulfuree a nord-est del grande Arco, quindi devono essere queste le famose sorgenti. Io ho qualcosa da fare e per giunta sono sazio. Scostati. Non ti attaccherò».
Come Tsuraar, Tolat il granchio era un dominatore del mare: una delle enormi e micidiali creature nate dalle viscere dell’oceano in un tempo senza nome.
L’arconte rimase nascosto: solitamente le sue chele robuste e la sua spessa corazza gli bastavano a difendere i suoi fondali dai più temibili avversari, ma in quel caso gli sarebbero servite a poco. Per sua fortuna la forza fisica non era il suo unico pregio: esso poteva leggere i pensieri delle creature nelle sue immediate vicinanze e sopire i loro più feroci istinti, abilità fondamentali negli oceani pieni d’insidie.
L’arconte era vicino a Tsuraar e stava già usando entrambi i suoi poteri rimanendo immobile per non sprecare le forze.
“Vediamo se il pesce abbocca”. Pensò Tolat mentre lo chetava e, avido d’informazioni, prese il coraggio di sibilargli: «Hai sentito di quel tale elfo che ha perso tutte le sue … ricchezze?». Sentendo quell’ultima parola, Tsuraar pensò istintivamente alle spelonche dove teneva nascoste armi e armature intrise di magia. Tolat intravide quelle immagini mentali e le memorizzò. Sarebbe poi andato a depredare quei tesori con tutta calma. Ovviamente nessuno dei due bestioni poteva brandire a dovere una spada o indossare una corazza, ma una cosa era certa: se gli elfi, i nani e gli umani bramavano tanto quegli oggetti luccicanti, anche loro dovevano averli. Era una questione d’autorità pura e semplice.
Tsuraar intuì che ci dovesse essere un trucco dietro a quella domanda, ma non capì precisamente quale trucco fosse e iniziò ad innervosirsi.
Tolat se ne avvide subito e forzò al massimo il suo potere calmante sulla bestia; tremò per la fatica, ma nella sua fredda mente non esisteva la paura di fallire, né la speranza di riuscire: solo la determinazione di agire. Così riuscì nel suo intento e lo squalo si sentì più intontito di prima.
Tsuraar si allontanò placidamente dall’arconte Gran Chela e tornò a seguire quell’eco così particolare che intanto aveva preso ad accennare una lontana melodia. Andò in cerca di varchi e ne creò di nuovi, rompendo scogli e coralli.

***

Superò sorgenti sempre più calde, al limite del sopportabile.
La melodia gli entrò dapprima nella mente e poi nel corpo crescendo in nitidezza, dandogli la forza per resistere a quelle condizioni estreme.
La vide per un attimo: la melodia faceva vibrare la luce in un insieme ritmato di punti, di linee e di finissime curve eleganti e brillanti dei sette colori dell’arcobaleno che sparivano nel momento in cui li si osservava direttamente. Lo squalo tentò di spiare con la sua vista periferica una delle forme tratteggiate e ci riuscì solo per un batter d’occhio.
“Che strano, era proprio qui sotto ai miei occhi”. Pensò incredulo, abituato com’era all’infallibilità dei suoi sensi.
Trovò poi una voragine e ci si tuffò in caduta libera. Seguirono ore di discesa. Non trovò più alcuna forma di vita. Le sorgenti sulfuree erano ormai lontane.
***
Dodici chilometri al di sotto delle sorgenti sulfuree di Tolat l’acqua si rivelò fresca e molto più limpida. Gradualmente le correnti divennero un lento e continuo turbinio cromatico di sfumature attorno allo squalo. Si evidenziò il più bello dei suoni e si modulò in una musica sottile. Le sue strofe e i suoi colori continuavano in profondità.
A quel punto Tsuraar prese a nuotare di buona lena per andare a scoprirne il seguito.
Rumori insoliti crebbero in chiarezza.
Lo squalo aveva origliato qualcosa di simile nelle rare occasioni in cui era andato sotto costa: erano rumori di cannoni, di carri in viaggio sui selciati, di frecce che saettano e di spade che s’incrociano.
Fu avvolto dal morbido suono colorato e fu liberato da tutta la stanchezza, tanto che gli sembrò di poter iniziare un nuovo viaggio in quello stesso istante.
Sentì le terre emerse vicine, vicinissime, e fu preso da una incontenibile voglia di visitarle.
Per un attimo s’immaginò adagiato sulla terraferma a parlare con uomini a cavallo e in quel contesto così pieno di eventi insoliti la cosa non lo stupì affatto.
Tsuraar pensò alla sua situazione e si rese conto che il canto del “Vortice sereno” la descriveva perfettamente. Solitamente gli elfi marini lo intonavano durante i rituali legati alle nascite e alle vittorie in battaglia.

“Al punto più lontano dal cielo
il peso degli oceani proviene da ogni lato.
La voragine è l’origine, il Vortice sereno,
il suono luminoso, avvolgente, colorato.
Vita, madre dei mari di ogni costa,
nuoteremo nella tua forza,
nuoterai nella nostra”.
Da “Vortice sereno”, strofa I

Si sentì parte della storia di quel popolo di elfi marini che aveva spiato e cacciato per secoli, ma la sua mente selvaggia non riuscì a comprendere appieno il cambiamento che stava avvenendo in lui, così iniziò la sua lunghissima risalita mentre quei colori dipingevano un nuovo destino in ogni fibra del suo corpo.

***

Gli elfi marini della colonia corallina di Salavyth, a sud-est di Áttoil, ebbero una terribile sorpresa.
Attraversata da un fittissimo banco di pesci in fuga, Najinka, una giovane elfa marina dai capelli porpora, vide Tsuraar quando era ormai troppo tardi per fuggire.
«Benvenuto, re dei mari. Una flotta di umani è appena passata qui vicino. Hanno reti tanto grandi da poterti impensierire».
Disse lei, contraendo le gambe al massimo per non tremare.
Aveva solo bisogno di un diversivo: voleva guadagnare qualche istante per raccogliere le forze e lanciare un incantesimo accecante verso Tsuraar, per poi scappare.
Il vasto predatore fiutò l’inganno di Najinka, spalancò le fauci e ne fece il suo primo pasto da giorni, ma subito si contorse per il dolore, come se qualche creatura lo avesse appena dilaniato a sua volta. Volteggiò rapidissimo per guardarsi attorno, cercando un avversario alla sua portata, ma non c’era nessuno.
Il dolore sparì del tutto con rapidità innaturale, così egli riuscì a riprendere il controllo; perlustrò la zona e scorse un elfo marino che lo guardava impietrito, nascosto tra i coralli.
Entrambi avvertirono lo stesso profondo terrore in quell’istante.
Tsuraar si fiutò attorno sorpreso e pensò: “Nessun dominatore, né nei paraggi, né lontano”.
Guardò nuovamente l’elfo. Più lo puntava, più si sentiva a sua volta minacciato.
Tsuraar pensò: “Minacciato così?! Da quell’elfetto?!”.
La sua frustrazione esplose in un ruggito: «Che incantesimo è mai questo? Rispondi!».
Vide l’elfo scappare ed ebbe subito la sensazione di avere due braccia e due gambe e di muoverle ritmicamente.
“Ma che cosa …?”.
Per un attimo si sentì incapace. La paura di non riuscire più a cacciare sopraggiunse rapida, facendolo raggelare sul serio per la prima volta. Attese immobile di riprendersi dalla confusione e reagì all’imprevisto:
“L’arconte Gran Chela, devo chiedergli che cosa mi succede. Dicono che abbia vaste conoscenze nel campo della magia. I miei smeraldi come compenso basteranno, credo”.


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