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Ultimo Aggiornamento: 22/12/2012 20:08
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L'alba

L’alba

 

Appena fu l'alba, frangendosi su un vasto intrigo di rami, la luce del sole articolò radenti scritture lineari sul terreno, soluzioni ancora incerte del giorno. Correva, affranta dalla pena, volava lungo corridoi di pini giganteschi. L'aria umida le scorreva addosso con violenza. Correva, e si apriva alla luce e all’aria, all'odore dei pini, lasciandosi sferzare le gambe e la veste da ondate di felci, che invadevano il terreno.
Giù in fondo, appena oltre la piccola balza, il sentiero conduceva alla baita. Cadde, con gli occhi volti alla casa. Rotolando tra gli aghi di pino e gli ammassi di scaglie di sughero, il cuore cercò uno spazio per battere, il sangue affluì sulle guance. Mentre crollava a terra affondò violentemente le mani sulla terra bagnata e lanciò un grido di dolore. Lo sentirono le cortecce incavate e le vecchie ceppaie.
Scivolando giù guardò il cielo e il sole che si contorceva dinanzi a lei esplodendo tra i tronchi. Si fermò improvvisamente accanto ad un cumulo di legname  in una conca del terreno coperta da cespugli. Portò le palme sul petto ansimante.
Poco dopo, l 'odore della resina e il profumo della terra la sciolsero dalla profonda paura e desolazione da cui era avvolta. Si girò e rigirò più volte verso il cielo. Gli aghi le pungevano la vestaglia, bagnata. Si guardò intorno stupefatta: era viva. L'ora e il luogo erano divenuti trasparenti. Ditate di rosa e di viola si andavano posando sulle foglie. L'affanno, che le aveva oppresso la mente, si placava e cedeva all' abbandono. Le venne incontro uno stato di sonnolenza. Raccolse le gambe. Le parve che si schiudessero dimenticati spazi della memoria: un carico sconfinato di tenerezza la invadeva. Strinse con forza un pugno d'aghi fino a farsi male. Pianse calde lacrime poggiando le braccia e il capo sulle ginocchia. Rivolse lo sguardo verso il sentiero. La baita in fondo sembrava addormentata.
La sua anima ora era sospesa, l'ansia svanita. Avvertì attorno alla casa l'odore del caffè. Alzandosi si attaccò ad un arbusto, che stentava a crescere, osservò la distanza che la separava dalla casa. Solitaria, distesa su uno spazio aperto, non ampio, ma abbastanza vasto per essere visto dall'alto. Di là si poteva osservare il fondo valle, ancora coperto da una diffusa foschia, ma il sole già vi scovava le case abbarbicate sulle terrazze di alta collina. Giacevano sulle fiancate  come gradinate di un immenso teatro. In piedi e un poco barcollante poggiò la testa su un vecchio pino, di cui appena si scorgeva la cima, fissato nel cielo.
Non un desiderio di morte l'aveva spinta ad andar su, ma un nodo alla gola improvviso, un respiro trattenuto troppo a lungo, che si era trascinato tutta la notte sulla pelle impedendole di dormire. Aveva provato un disperato bisogno di gridare, di urlare pienamente la propria rabbia e la disperazione; erano anche grida d'amore violente verso un mondo che declinava impietrito e violento; la pineta come cosa viva l'aveva chiamata con suoi tremori, i suoi treni di cime con il vento della notte.
Aveva percorso in salita il lungo sentiero senza rendersi conto dello spazio intorno; solo la luna al tramonto l'aveva accolta, indifferente, rovesciata su di un fianco. Appariva di tanto in tanto tra gli alti fusti. Si era sforzata di salire con quell'angoscia che l'aveva attanagliata per tante ore. Essa era là sopra, fredda e luminosa. L'aveva più volte guardata, definita certezza dello spazio, sgradevole perciò, orribile per l'assenza di pena che osava ostentare in un cielo aperto. Così fino all'alba salendo aveva trascorso ore senza pace.
Giunta in un punto, oltre il quale le era sembrato di sentire la morte scorrerle addosso, si era gettata disperata all'indietro con le lacrime agli occhi e con un grido lacerante, grumo di sangue che le faceva straripare sentimenti come torrenti. Morire.
Rasserenata ora, e ricomposta nella veste e nella mente, s'avviò a capo chino verso la casa.
Intorno un silenzio pesante, uccelli e piante erano ancora immersi nella profondità della notte, sebbene l'alba cominciasse già a straripare. I pini più lontani erano avvolti da veli lattiginosi che diradavano e si spostavano in alto, sparivano le cime e i tronchi. Sulle rocce, che emergevano dalla terra nuda, vaste lingue di muschio colavano bave di succhi, fungaie morivano dentro piccoli anfratti. Presto la baita sarebbe stata sommersa dalla luce, dapprima fredda, poi, col chiasso trionfante degli uccelli, tiepida e viva. Scendendo si aggrappava, per reggersi, ai tronchi, che pendevano in basso. Li abbracciava.
D' un tratto si sentì attraversata da brividi di freddo, strinse a sé le braccia. Era sola nello spazio aperto, si sentì piccola e sperduta, inadeguata e impotente. Si diresse verso la casa arrancando.
[Modificato da Cobite 20/01/2013 23:54]
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