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QUALCOSA DI PIU'

Ultimo Aggiornamento: 10/05/2008 00:48
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POLIZIA LOCALE EUROPEA
I

Era un po’ che l’agente notava “l’ombra”. L’ombra era il termine con il quale si indicava qualcuno che ti segue senza farsi notare. Le ombre potevano essere servizi segreti, terroristi, killer o reparti speciali della stessa E.T.P., l’European Territorial Police. Si potevano trovare alla stazione centrale, all’aeroporto o in altri posti nodali. Ma questa era troppo “visibile”, non doveva appartenere a quel tipo di categorie.
Una vecchia signora si avvicinò all’Agente di Prima Classe Stefania Morandi, e con voce flebile disse:
«Sono molto triste, i miei figli vivono in Olanda e non ho parenti né amiche. Non so come fare per stare un po’ in compagnia. La sera non ho nessuno tranne la televisione ma vorrei qualcuno con cui parlare. Sà, vorrei parlare dei figli lontani che non ti vengono più a trovare, i malanni, i dispiaceri... ma anche i ricordi di quando ero giovane. Non so usare il VS e non sapevo a chi rivolgermi, perciò sono venuto da lei.»
«Ha fatto bene signora, la ringrazio per essersi rivolta a me.»
L’agente alzò istantaneamente il campo statico isolante dalla cintura. I suoi colleghi portavano l’attivatore di campo sull’anello d’ordinanza che lei trovava scomodo. La cintura la doveva indossare in ogni caso e non le era di intralcio.
La cupola celeste di energia li avvolse istantaneamente isolando l’acustica in entrambi i sensi, e proteggendole dalla pioggerellina che cadeva insistente quella mattina. L’agente controllò i quattro livelli di suono, video, temperatura e penetrabilità. Il fattore suono stava sullo zero in uscita per la privacy, e 60 in entrata, utile per non essere disturbati dal traffico ed essenziale per cogliere eventuali emergenze. Il fattore video poteva essere opacizzato a richiesta più o meno totalmente con colori o motivi a scelta del cittadino in sola uscita fino a un fattore 100, proibito invece opacizzare la visuale in entrata per motivi di sicurezza: l’agente doveva vedere e seguire tutto. La temperatura era a 22 gradi perché fuori era freddo e la penetrabilità in entrata al 50% per evitare la pioggia.
«Quindi lei non ha figli, signora, e mi conferma che non conosce proprio nessuno, amici, parenti?»
«Nemmeno il ragazzo che porta le pizze, è sempre diverso!»
«Capisco.»
L’agente digitò alcune opzioni sul VS, lo schermo virtuale materializzatosi a un cenno della mano, visibile da ogni angolazione contemporaneamente. Una rappresentazione completa di tutte le strutture pubbliche, private ed associative, nonché di gruppi spontanei e singoli con esigenze-richieste, comparve in un menu a cascata con foto del personale e dei altri richiedenti, e una scheda informativa a fianco di ognuno.
L’agente elencò con calma tutte le possibilità spiegando con chiarezza tutte le differenze, vantaggi, svantaggi ed eventuali risvolti. Il tutto in maniera sintetica con stile asciutto, senza enfasi, come da regolamento.
La signora non esitò, preferì senza esitazioni un gruppo di amiche con esigenze simili, supportate da una figura che fungeva da animatore, riabilitatore, istruttore sportivo e psicologo-gediatra. La scelta fra i vari gruppi omogenei fu semplice, cadde sul gruppo più vicino.
Nel frattempo Stefania notò che il vecchio stava ancora lì. Si decise a chiedere cosa volesse, ormai era palese che stesse osservando lei. Era un uomo anziano di portamento elegante, forse una personalità dello spettacolo? Avrebbe potuto chiedere la connessione per l’accertamento anagrafico totale ma non le andava di mostrare tanto interesse particolare.

Aveva appena terminato di dire alla signora che sarebbe venuta l’auto di servizio a levitazione magnetica dell’E.T.P. per accompagnarla alla sede del gruppo, che un ragazzo sui 17 anni si avvicinò all’agente con capo chino e andamento da funerale. Si era spinto tanto vicino alla giovane agente che questa non poté ignorarlo.
«Le chiedo scusa signore, vengo subito a lei,» disse al ragazzo. L’espressione formale era obbligatoria al primo impatto
Quello rimase vicino all’agente senza però rivolgerle lo sguardo. Non diceva una parola.
La giovane intuì il disagio e quando congedò finalmente la vecchina si dedicò a lui. Per prima cosa attivò lo schermo energetico di isolamento.
«Non lo voglio il campo,» disse il ragazzo, «non ho nulla da nascondere, la mia vita non vale più niente, che m’importa se gli altri ci ascoltano?»
«Sei sicuro, caro?» l’agente aveva cambiato completamente il tono di voce, dopodiché porse un braccio sulla spalla del ragazzo. Il regolamento in casi di grave sconforto psichico prevedeva il rivolgersi con il “tu” ed altre manifestazioni di calore umano, purché non fraintendibili. Si doveva innanzitutto rispettare la persona in quanto tale, e subito dopo stabilire un rapporto diretto con la sua parte più intima (e quindi più delicata). Questo era un evidente caso in cui occorreva un contatto diretto, cioè cittadino colpito da lutto o da altra sofferenza significativa. Il regolamento addirittura imponeva taluni comportamenti al personale dell’E.T.P.
«Mi ha lasciato l’unica persona che poteva capirmi,» disse il ragazzo, «l’unica che mi abbia mai amato.»
Pianse singhiozzando silenziosamente. L’agente osservò un rigoroso silenzio annullando mentalmente ogni pensiero di giudizio e represse con una tecnica mentale il desiderio di dare subito una risposta: anche il trovare una soluzione doveva essere rimandato. La posizione interiore di ascolto era il miglior aiuto, anzi l’unico atto d’amore che si potesse adottare in simili circostanze. Mai come adesso l’addestramento per aumentare la sensibilità a cogliere i cosiddetti “segnali di lutto” e le istruzioni date al corso si erano rivelate sagge ed utili.
Dopo qualche minuto smise di piangere e continuò:
«Lei era l’unica con cui potevo parlare e fare le cose insieme. Ora è tutto inutile, che vuoi sapere agente? Ti dico solo questo, un’unico telemessaggio in connessione con il R.T.O.C., quello stupido Ricetrasmettitore a Onde Cerebrali, e m’ha piantato. Solo uno, senza neanche sentire il bisogno di comparire in video…»
«Non ti sto chiedendo nulla fratellino. Ma ti prego, parlami di lei se vuoi, starò con te fino alla fine del servizio ed anche dopo, se vuoi.» L’agente non si sentì in dovere di specificare in quel momento che lo straordinario in questi casi era previsto dai contratti collettivi della Polizia Territoriale Europea.
Ma il ragazzo affranto sembrava non voler dire più nulla. Nessuno dei due parlò per un po’. Poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, il ragazzo cominciò a raccontare di quando lui e la sua ex ragazza erano complici nel fare gli scherzi agli amici, oppure di quando invece aiutavano gli amici in difficoltà. Erano realmente una cosa sola, spiegava convinto. Ascoltandolo bene sembrava un rapporto veramente maturo, nonostante la giovane età.
L’agente non si mosse e non chiese nulla. Dopo un altro lungo silenzio del ragazzo, e quando fu sicura che non aveva più nulla da dire, aprì il VS. Stavolta però nessuno schema, nessuna piantina o rappresentazione grafica di sorta comparve. Lo schermo era nero e solenne come quello del vecchio DOS, in attesa di utilizzo.
«Se la tua ragazza dà l’autorizzazione al sistema, verrà individuata e contattata. Con il potere conferito agli appartenenti dell’E.T.P. dal Congresso degli U.S.E., le chiederò di parlarti o di ascoltarti. Indipendentemente dalla risposta io posso fare un tentativo di conciliazione. Prima di tutto questo però è indispensabile la tua autorizzazione.»
Il ragazzo sembrava immerso nei sui laceranti ricordi, non pareva di credere molto alle possibilità prospettate dall’agente.
«Allora?» chiese l’agente senza alcuna insistenza nel tono ma con tutta la tenerezza di cui fosse capace. Per lei non c’erano problemi, semmai ogni tanto doveva ricorrere a delle specifiche tecniche di Dinamica Mentale per non farsi coinvolgere a tal punto da inficiare o compromettere la riuscita della missione.
Inaspettatamente il ragazzo acconsentì.
«Va bene» furono le sue uniche parole ma il tono era di profonda rassegnazione.
L’agente non perse tempo, prima che potesse cambiare idea stabilì il contatto: occorsero circa due decimi di secondo per la richiesta, ma l’accettazione dall’altra parte non arrivava.
Naturalmente il R.O.C., il ricetrasmettitore a onde cerebrali, doveva essere inserito per poter ricevere la chiamata, se la ragazza lo teneva spento non c’era nulla da fare.
Stefania fremeva e non certo per i punti di merito nello stato di servizio. Difatti se l’operazione avesse avuto esito positivo di riconciliazione, o se l’armonia fosse riconosciuta pubblicamente da tutte le parti in causa, non le sarebbero stati assegnati meno di dieci punti, e per un’avanzamento di grado ne bastavano venti (senza contare che già ne aveva conseguiti cinque, e che per operazioni di questo genere compiute da un agente di minima anzianità c’era un ulteriore incremento del 25%). No, tutto questo non le interessava più, ormai s’era appassionata al caso e in quel momento per lei contava solo far felice quel ragazzo.
Dopo diversi secondi di attesa l’agente decise di inoltrare nuova richiesta. Non era una procedura molto usuale, tranne che in casi di emergenza. La sostenne il pensiero che lo faceva per quel ragazzo e non per se stessa. La sofferenza era una delle cose alle quali non riusciva ad abituarsi, nemmeno con tutte le tecniche di Dinamica Mentale del mondo. Per come era fatta lei, a quel punto, non se ne sarebbe andata di lì nemmeno se le avessero negato lo straordinario.
Ma non arrivava ancora risposta.
L’agente guardò il giovane, non aveva il coraggio di dirgli che la sua ex ragazza doveva aver evidentemente negato l’autorizzazione. Stava per dirgli che non c’era nulla da fare quando decise di fare un’azione ancor più inusuale, ma consentita. Chiese al sistema di contattare personalmente, d’iniziativa autonoma, la ragazza. Quella accettò il contatto!
L’agente non se l’aspettava e adesso si era emozionata, non era più sicura di avere lo stesso autocontrollo di prima.
«Signorina Barbara?»
«Sono io. Chi è lei che mi vuole parlare?»
«Agente di Prima Classe Stefania Morandi, matricola 79.345 della Polizia Territoriale Europea. Non posso dire altro se non mi autorizza esplicitamente all’interlocuzione, posso solo dirle che il dialogo si svolgerà in audio isolato.»
«Cioè non ci ascolterà nessuno?»
«Nessuno.»
Dall’altro lato ci fu una lunga esitazione, la ragazza non era ancora sicura di dover accettare. Aveva sicuramente intuito che si trattava del suo ragazzo, e non aveva alcun obbligo. Al corso insegnavano che l’elemento sorpresa psicologica era molto importante, addirittura decisivo in certe circostanze, e qua sembrava proprio che era sfumato.
«Va bene, accordato» disse infine la ragazza senza troppo entusiasmo.
Ci fu un sonoro sospiro di sollievo da parte di Stefania. Speriamo che non l’abbia udito, pensò.
«Signorina Barbara, le volevo parlare del suo ex ragazzo…» si aspettava una reazione negativa ma la ragazza non disse una parola. Sarebbe stato meglio se avesse detto qualcosa, al corso addestravano a rispondere ad ogni tipo di reazione ma si erano dimenticati di spiegarle che fare quando non c’era reazione. Decise d’improvvisare.
«Vorrei invitarla a riflettere non tanto sulla scelta da lei operata – nessuno d’altronde potrebbe farlo – ma solo sul modo, voglio dire sul “come” ha tagliato. Lei non ha deciso di interrompere l’esperienza virtuale di un video-vita qualsiasi ma un affetto. Le propongo semplicemente di essere disponibile ad un colloquio aperto e chiarificatore al solo fine di alleviare l’enorme sofferenza del suo amico. Le preciso per legge che glielo chiedo a titolo personale, e che se anche lei dovesse accettare, la proposta rimarrebbe comunque senza ulteriori impegni presenti o futuri.»
Dall’altro capo ci fu solo silenzio.
«Ribadisco che si tratta soltanto di una proposta personale della sottoscritta nella sua funzione sociale riconosciuta. Che ne dice, Barbara?»
Ci fu un silenzio ancora più lungo dall’altro capo, l’agente recitò mentalmente un mantra per alleviare la propria tensione interna.
«Mi è dispiaciuto moltissimo» rispose di colpo la ragazza. «Lo dovevo fare, capisce, non l’amavo più, anche se...»
«Anche se? La prego, continui, lasci emergere tutte le sue emozioni.»
«La verità è che io lo stimo moltissimo come amico, ma non credo che lui possa accettare… voglio dire, l’ho amato tantissimo ma ora…»
Scoppiò in lacrime. Passarono quindi momenti in cui Stefania stava valutando la reale legittimità della sua iniziativa. Troppo tardi per tirarsi indietro, e poi sentiva di non voler tirarsi indietro.
«Sta ancora lì?» chiese alla fine la ragazza con voce spezzata.
«Non si preoccupi, sono ancora qui. Quando se la sente continui pure.»
«Ho pianto ogni notte, non dormo più da allora. Ma ora non me la sento di parlare con lui, l’ho lasciato per telefono proprio perché da vicino non ce la facevo. Non è colpa mia, non ce la faccio, non ce la faccio...»
«Calma, calma, nessuna la obbliga. Intuisco però che Mario è comunque molto importante per lei. Intendo come persona, fosse anche solo come amico...»
«No,» interruppe la ragazza, «di più, di più. Per me è un fratello, è questo che vorrei fargli capire. Vorrei fargli capire che soffro tantissimo per non poter parlare più con lui, di non stare come sempre fino a tarda notte a parlare, esprimermi, divertirmi, lamentarmi delle delusioni avute con gli altri...»
«Perché non glielo dice lei stessa?»
«Cosa? Io...»
Stavolta l’interruppe Stefania.
«Senta, se lei ci tiene così tanto al suo amico, perché non è disposta a parlarci, a tentare almeno?»
«Ma io non posso...»
«Mi ascolti bene,» l’agente per la prima volta diede segni d’insofferenza nonostante il suo allenamento mentale, «se si fosse trattato di un cane sarebbe stata più comprensiva. Non metto in dubbio che ci tenga ma certo non lo dimostra, anzi, non sta facendo nulla per aiutarlo. Non pensa che tutta questa situazione dipenda da lei, anche se non voluta? Possibile che non si senta minimente in dovere almeno di ascoltarlo?»
La ragazza non rispose, che fosse stata troppo dura e diretta? S’era lasciata andare rischiando di rovinare tutta l’operazione.
Improvvisamente la ragazza parlò con un tono diverso, più calmo.
«Veramente pensa che possa fargli bene?»
«Altroché! Le ribadisco che non entrerò nel merito, basterà solo un colloquio. Preferibilmente da vicino, per esprimere ciò che sente. Non vada troppo sul razionale, sà, al corso ci hanno insegnato che la miglior tattica nelle situazioni critiche è l’essere se stessi.»
«E che vorrebbe dire, in concreto? Come dovrei essere, che dovrei fare?»
«Donare affetto, o solidarietà, o qualsiasi altra espressione libera del suo essere. Nulla di confezionato, va bene anche piangere insieme.»
«Ma ce la farò ad essere me stessa? La prego mi aiuti, sono indecisa, il mio cuore sta impazzendo. Non mi ci raccapezzo più, non so più nulla di cosa voglio fare o no.»
«Ce la farà, le garantisco che non potrà fare che del bene, e non lo farà solo a lui. Non costa molto, questo piccolo gesto sarà un grande atto d’amore.»
«E se invece sbaglio, se lo illuderò? Vale la pena rischiare di fargli del male?»
«Ad amare di amore fraterno? Certo, c’è il rischio di essere fraintesi, oppure che vada a finir male, o che non sia servito a nulla. Se vuole stipulare un’assicurazione in tal senso le chiamo subito una compagnia, rischi del genere oggi sono ampiamente coperti, e le polizze sono anche convenienti dal punto di vista economico. Ma di una cosa sono sicura, non credo affatto che non ne valga la pena.»
«Come fa ad essere così sicura, agente?»
«Un’azione può non avere l’esito voluto, ma non si può sbagliare ad amare. Lei che ne dice Barbara?»
Aveva fatto appello alla sua coscienza più che al suo senso di colpa. La scelta doveva essere totale.
Colpita al cuore, la ragazza non fece passare dieci minuti che venne sul posto e abbracciò Mario. Ebbero un lungo colloquio, camminando con il braccia sulla spalla di lui. Fu qualcosa di più che un chiarimento. Si avvicinarono molto, capirono cose l’uno dell’altro che non avevano mai capito prima.
«Grazie,» disse piangendo il ragazzo, «grazie. Abbiamo deciso che possiamo risentirci, anche rivederci. Rimaniamo solo amici. Ma ho capito che forse mi vuole veramente bene... anche se a modo suo. Ma questa sua apertura verso di me mi ha fatto comprendere che sono io che devo accettarla. Posso frequentarla da amica perché io conto, gli importa di me. Ora ho capito che ha tagliato in quel modo non perché non se ne fregava niente, ma perché ci teneva troppo. Anche lei vuole rivedermi ancora anzi, lei per prima mi ha proposto di rivederci, ogni volta che vogliamo.»
I due si allontanarono mano nella mano.
Stefania s’asciugò una lacrima senza farsi notare.

Ora che Stefania poteva rilassarsi si diresse verso l’anziano signore
Il vecchio la stava osservando compiaciuto, sembrava paziente come se la stesse aspettando.
«Ma lei chi è veramente?» gli chiese d’improvviso Stefania. Si era rivolta a lui senza preamboli perché non ce la faceva più dalla curiosità.
«Buon giorno signorina.»
«Buon giorno signore» Stefania si morse la lingua, s’era dimenticata di salutare come di prassi prima di rivolgere la parola. Non si trattava di un’emergenza e doveva mantenere un contegno plausibile.
Il vecchio sembrò non badare al piccolo impaccio.
«Da quanto tempo è in servizio?» chiese lui.
«Dalle sette di stamani, signore. Posso fare qualcosa per lei?»
«Oh, no. Solo stavo osservando com’è stata bella.»
«Grazie per il complimento, ma non lavoro per farmi guardare.»
Lei lo osservò più attentamente. Sembrava intorno ai sessanta ma con le tecniche di ringiovanimento genetico poteva darsi che ne avesse tranquillamente il doppio. Chissà cosa voleva veramente.
«Oh, non intendevo quel tipo di bellezza, ma il suo essere, il suo fare, il suo dare al cittadino.»
Lei lo guardò come si guarda un extraterrestre, ma non commentò.
«Di quale servizio fa parte, se non sono indiscreto?» chiese lui.
«Il Servizio Aiuti Umani, Settore Casi Sociali» rispose secca.
«Bene. Poco fa le volevo chiedere... prima mi riferivo al tempo di servizio “nel corpo”.»
«Ah, mi scusi, non avevo capito. Da più di un anno. Ma lei chi è, scusi?»
«Sono Stefano Starano, Ufficiale della E.T.P. in pensione» rispose sorridendo.
«Oh, mi scusi» disse l’agente porgendogli il saluto militare.
«Riposo agente, non sono più in servizio da alcuni anni. Piuttosto, mi permette di offrirle qualcosa?»
«Veramente dovrei andare, ho finito e devo tornare al Comando.»
«La posso accompagnare al comando allora. È proprio vicino casa mia.»

Improvvisamente vide tre individui con le classiche uniformi dei Tepter, cioè i temibili teppisti del terrore. Correvano in formazione variabile verso di lei, di fronte ed ai due lati. Un quarto comparve all’improvviso da dietro. Altri quattro erano appostati da un quarto d’ora come “ombre”, li aveva notati ma non li aveva riconosciuti presa com’era dalle incombenze del servizio. L’agente non si perse d’animo ed attivò la voce amplificata.
«Siete tutti e otto identificati in stato di prearresto! Arrendetevi ora o sarà attuata un’operazione di pulizia!»
La connessione al sistema aveva già identificato i Tepter e l’agente li aveva già avvisati delle conseguenze. Ma la logica dei Tepter era di godere delle loro azioni fino in fondo a qualsiasi costo.
Due di loro si posero ai lati dell’agente mentre un terzo le andò repentinamente dietro. Stavano premendo in contemporanea raggi paralizzanti ad alta intensità dolorifera. Il manganello di Stefania colpì fulmineo le tempie dei due tipi ai lati e la fronte di quello di dietro facendoli svenire, e nello stesso tempo saltò colpendo la mano del quarto avanti a lei di alcuni metri. Una pistola a raggi regolata su frequenze mortali cadde dalla mano fratturata, il ragazzo si piegò in due per il dolore e cadde di lato. Gli altri quattro saltarono su due balconi e due rami di alberi, dove l’agente non sarebbe potuta arrivare in tempo per fermarli nell’atto di colpire con delle balestre laser.
Un campo statico di forza fece rimbalzare le frecce e con un comando del manganello elettronico deviò le loro direzioni verso i mandanti colpendoli ai quadricipiti destri. Con calma risoluta Stefania premette il pulsante di paralisi coatta. La manovra difensiva era conclusa. L’auto di servizio provvedette all’arresto e al totale ripristino sanitario degli otto uomini nei successivi cinque minuti. La rieducazione psicosociale era prevista in un altro momento deciso dall’E.T.P..
In realtà l’attacco era solo una manovra diversiva, un nono uomo sbucò dal nulla e con un sofisticato laccio ad energia sfilò il manganello dalla mano dell’agente. Istintivamente Stefania trattenne il manganello con la sua mano destra e, prima che potesse pensare alla possibile azione del Tepter si ritrovò con un aggeggio inserito nel randello con sopra la mano dell’uomo.
«Ora che ne dici se t’inserisco una bella bomba sistemica con la connessione straordinaria?»
A Stefania le si gelò il sangue nelle vene: la bomba sistemica era un programma capace di far passare nel sistema centrale ordini contrari alla sopravvivenza del pianeta. Tutti sapevano che la vita dell’intero pianeta dipendeva dal sistema, e la giovane agente sapeva bene che la bomba si sarebbe propagata agli altri continenti in tempo reale. Rappresentava un pericolo concreto proprio perché la connessione straordinaria era possibile in caso di ordini contrari alla norma per superare le barriere informatiche. Perciò era prevista solo nei casi di emergenza terroristica, guerra, disastro e catastrofe. Non era semplice attivarla, era necessario un connettore aggiuntivo estraibile in dotazione agli agenti, attivabile solo con un codice inserito nei palmi delle mani che dovevano essere poggiate contemporaneamente da due diversi agenti.
«Hai un minuto per disinnescarla, carina» e detto questo si allontanò sogghignando. Posò lo sfollagente per terra, era inutile tenerlo perché a “codice comando impartito” non si poteva più fermare la procedura
Stefania adoperò il ricetrasmettitore a onde cerebrali e comunicò al sistema le coordinate tipiche e geografiche del suo manganello. Fu individuato in doppio incrocio dal sistema, la ragazza diede quindi un ordine in codice con i dati e i filmati dell’uomo che l’aveva lasciata, incamerati nella sua memoria esterna.
Un esame della personalità istantaneo, procedura normalmente inibita al sistema, fu effettuato in trenta secondi (solo l’ordine in codice poteva infatti permettere l’esame dell’ “anima” di un individuo) scoprendo anche che questi era un ex agente. Nei successivi dieci secondi fu analizzato lo schema dell’architettura psicologica del soggetto in funzione del suo modo di programmare. Nei cinque secondi che seguirono questa fase, il sistema risalì allo schema interno del programma con un sistema complesso di regole, trovando i codici sorgente alla base del programma o comunque del suo progetto. Il risultato fu la disinstallazione totale del programma e quindi del disinnesco della bomba. Il tutto durò cinquantacinque secondi.
Stefania era solita sventare attacchi teppistici, pratica quotidiana cui in genere non servivano particolari aiuti se non per la parte amministrativa e sanitaria (ma solo per regolamento, sarebbe stata capace di curare tranquillamente anche questi aspetti). Era in grado, come qualsiasi agente ben addestrato, di tenere perfettamente a bada almeno otto uomini armati contemporaneamente, se disarmata. In questo caso aveva usato il manganello elettronico, una sorta di centrale elettromagnetica multifunzione. La bomba informatica fu un ulteriore imprevisto, non raro però in quella società.

II

«Allora, dicevamo?» riprese Stefania come nulla fosse, scrollandosi appena un po’ di polvere dalle spalle.
Al vecchio gli si illuminarono gli occhi.
«Eravamo rimasti al fatto se accettava l’invito ad accompagnarla al suo comando...»
«Ah, sì...» rispose la ragazza accettando il passaggio nella vecchia auto a motore (modificata secondo le nuove norme) senza interrompere il discorso «ma mi dica, sembrava godersela ai miei interventi, posso chiederle perché?»
L’uomo la guardò con una specie di sorriso e gli occhi socchiusi, quasi a ricordare un evento molto lontano nel tempo.
«Lo sa che fino ai primi decenni 2000 non esisteva nemmeno, non dico il Servizio, ma nemmeno il Settore di cui fa parte?»
«Davvero? E chi svolgeva i compiti di aiuto umano e sociale?»
«Oh, assistenti sociali, psicologi... un mucchio di gente. Con il dettaglio che non avevano nemmeno il dieci per cento della competenza, della naturalezza, della immediatezza e della preparazione che possiede lei oggi.»
«Ma cosa dice, degli esperti specialisti...»
«Non deve nemmeno lontanamente paragonarli a quelli di cui disponiamo oggi! Allora nessuno poteva “godere” della vista di azioni simili alle sue e, così “eroiche”.»
«Veramente non ho fatto nulla di straordinario!»
«Oggi lei può dire così, ed io so che è vero. Ma una volta era diverso, ma non certo per colpa dei vigili...»
«I vigili? E cos’erano?»
«Oh, ha ragione, ai miei tempi c’era quella denominazione per gli agenti che operavano a livello territoriale come oggi l’E.T.P.. Anche dopo il 1986, quando furono chiamati Agenti di Polizia Municipale la gente usava chiamarli ancora “vigili urbani”.»
«E com’erano questi “vigili urbani”?»
«Molto meno preparati teoricamente, soprattutto in psicologia sociale e contatti umani, ma si arrangiavano lo stesso. Davano del loro meglio, e molte volte hanno risolto situazioni e aiutato persone senza alcun riconoscimento. Erano degli eroi sconosciuti, come il mio amico.»
«Il suo amico?» rilevò incuriosita la ragazza. «Cosa faceva di speciale questo suo amico?»
«È lui che ebbe l’idea del vostro servizio, anzi, di tutto il vostro settore. E fu sua l’idea di applicare alcune scoperte scientifiche e tecnologiche al servizio del Corpo dei Vigili Urbani. Pensi a come si poteva operare senza un campo statico a disposizione, né il VS, il comodo schermo olografico.»
«Come? Operavano senza campo statico?»
«Sì, solo col sudore e l’olio dei loro gomiti.»
«Cosa sarebbe?» chiese la ragazza.
Un modo di dire dell’epoca. E tutto questo respirando smog, e combattendo quotidianamente una battaglia impari contro la stupidità e l’arroganza degli automobilisti. E a volte anche di alcuni superiori non degni.»
La giovane ebbe un’espressione di perplessità sul viso. Pensò che l’uomo, come i vecchi e i bambini, esagerasse o drammatizzasse i ricordi.
«E i corsi di addestramento?» chiese.
Il vecchio mandò una risata.
«I corsi di addestramento psicofisico? Scherza, semplicemente non esistevano!»
«Che cosa? E come approcciavano il cittadino, come modulavano l’impatto, come l’aiutavano umanamente?»
«Improvvisando.»
«Improvvisando come?»
«Improvvisando e basta. Con la loro pazienza e con la buona volontà. Niente schermi olografici, niente sistema, niente connessioni, niente cupole d’isolamento videoacustico... niente di niente.»
«Capisco, lei vede una differenza col passato...»
«Una differenza? Si rende conto di quello che ha fatto lei oggi? Ha provveduto a inserire una vecchietta in un “gruppo omogeneo in ambiente guidato con situazione favorevole”, ha riconciliato due giovani innamorati irrimediabilmente separati, ha arrestato otto Tepter, ha salvato la terra...»
«Oh, ma è tutto previsto dal Regolamento, io non...»
«Certo, certo, lo so. Non volevo criticarla di aver fatto poco, volevo dirle che è stata eccezionale.»
Lei si fermò a guardarlo meglio, il vecchio sembrava normale.
«Una volta non sarebbe stato possibile,» proseguì questi, «le assicuro, non certo per una persona sola.»
«Ma ci hanno preparati al corso...»
«Guardi che una volta un vigile... un agente, non si sarebbe permesso di intraprendere simili iniziative, e poi non ne avrebbe avuto la preparazione.»
«Ma è una preparazione del tutto normale per noi!»
«Per voi oggi! Una volta non eravate nemmeno paragonabili alla Polizia di Stato ed ai Carabinieri.»
«Scherza? Quelli sono corpi secondari.»
«No, non scherzo, adesso sono “forza secondaria” ma una volta non era affatto così: la primaria forza di Polizia Europea erano proprio loro.»
«Che cosa dice... non vi credo.»
«A dire il vero, non eravate “principali” nemmeno nel vostro comune.»
«Ma di che epoca parla, del secolo scorso? Ci dovevano essere davvero molte cose in meno da come mi descrive la situazione.»
«Direi un mucchio di cose in meno. Non c’era, né era immaginabile, l’amplificatore cerebrale per comunicazioni dirette mente-mente (anche se io l’ho sempre disinserito).»
«Non posso crederci, come era possibile reperire aiuto, connettersi al sistema per un emergenza, avvisare un cittadino...»
«Capisco che ora si dà per scontato che si sia connessi al sistema o ai robot in ogni istante. Ma il R.T.O.C., cioè il Ricetrasmettitore a Onde Cerebrali, non esisteva. Mi creda.»
Stefania guardò l’uomo come se lo vedesse per la prima volta. Sgranò gli occhi.
Il vecchio incalzò.
«Anzi, se è per questo, non esisteva nemmeno la fusione fredda. I problemi di crisi economica innescavano quelli di ordine pubblico, poi c’era l’inquinamento... e il campo statico non fu progettato per questo tipo di scopi.»
«Ah, no? E per cosa allora?»
«Fu progettato dalla NASA per proteggere gli astronauti e le navicelle nelle loro passeggiate spaziali.»
«Da cosa?»
«Dai detriti spaziali, difatti all’epoca non esisteva nemmeno il Servizio di Nettezza Orbitale.»
«Davvero un mucchio di cose non c’erano ancora, ha ragione Signore.»
«Grazie per il “Signore” dovuto agli Ufficiali ma preferisco farmi chiamare Stefano. Dicevo,» si schiarì la gola, i ricordi lo sommergevano, «pensi, nessuno prima di Davide aveva avuto la sensibilità di pensare ad un utilizzo così delicato, così compassionevole, così alto, direi, del campo statico. Un uso a tutela della propria intimità, un fine di puro ascolto.»
«Però...» disse meravigliata la ragazza, «questo Davide era il suo amico?»
«Davide era un vigile semplice, lavorava fino all’estremo, non si allontanava se non aveva terminato di aiutare chiunque glielo avesse chiesto, chiunque vedesse in difficoltà. Accorreva ove ci fosse bisogno, eppure aveva grossi problemi a casa. La moglie, infermiera, aveva turni estenuanti, spesso era impegnata di notte, nelle festività... e uno dei tre figli era cieco sordo-muto.»
«Non avevano qualcuno che li aiutasse?»
«Non era facile sostenere tutte le spese, avevano altri due figli che accudivano con amore, per farli crescere sani e degni del mondo, e non era molto facile.»
«Capisco, era un eroe quotidiano.»
«Non solo!» esclamò il vecchio, «non solo si dedicava ai figli e alla famiglia con tutta l’anima e corpo, ma non si lamentava mai, andava sempre avanti per la sua strada. Davide dava tutto se stesso anche nel sindacato ma solo per interesse dei colleghi, per il miglioramento del corpo. Lo faceva disinteressatamente, aiutava in tutti i modi anche colleghi non appartenenti al suo sindacato (sindacato che in verità non faceva molto per collaborare). Era qualcosa di più che un piccolo eroe quotidiano, e come se non bastasse le sue lotte erano sempre irte di ostacoli. Ebbe persino un infarto in servizio, e nessun riconoscimento.»
«Ma cosa accadde allora che cambiò il corpo dei... come li ha chiamati, vigili?»
«Fece una proposta al comandante di allora.»
«Ah, che proposta?»
«Quella di istituire dei “vigili d’ascolto”.»
«È così che cominciò a funzionare il nostro servizio?»
«Nient’affatto!» esclamò il vecchio fissandola con uno sguardo, duro quasi sprezzante, ma che si addolcì subito. Sospirò prima di continuare.
«Gli ci vollero ben sette anni prima che fosse accettata quella sua proposta. Il comandante pensò che Davide non fosse completamente in sé e gli concesse una settimana di riposo.»
«Una settimana di risposo?» La ragazza non riusciva a figurarsi la situazione «per una cosa così sensata, perché invitarlo a prendersi un riposo?».
«Forse il comandante non la pensava in questo modo, anzi gli raccomandò di recarsi da un amico psichiatra molto stimato. Davide non ci andò. Andò piuttosto da associazioni e sindacati, uomini politici e religiosi che gli potessero dare una mano. Aveva scoperto questa grossa esigenza nella società e voleva darsi da fare per colmarla. Incominciò ad applicare lui le cose che aveva scoperto e appreso. Più ascoltava la gente più imparava da essa.»
«E che successe dopo sette anni che cambiò le cose?»
«Due eventi in concomitanza, forse fu la fortuna o il destino, non so. Dio per chi ci crede.»
Stefania ascoltava senza interrompere, la storia l’affascinava sempre più, doveva ammetterlo.
«La prima fortuna» continuò il vecchio «fu che arrivò un nuovo comandante, un uomo aperto ai cambiamenti. Questi si accorse subito di che pasta fosse fatto Davide, un agente che non amava farsi pubblicità, e che non badava solo agli affari propri. Uno che non curava solo i propri interessi, anzi. No, riconobbe in Davide un tipo di uomo diverso.»
«In che senso “diverso”?»
«Badava più al bene degli altri che della sua famiglia, pur avendo quel bambino. Pensi che dovevano portarlo cinque volte la settimana in diversi centri e da diversi specialisti per una riabilitazione che “forse” lo avrebbe reso capace di leggere per non trovarsi emarginato, e poi per il sostegno psicologico.»
A Stefania sembrò sgorgare una lacrima dal viso del vecchio ma forse era solo un’impressione.
«C’era qualcosa di più in Davide, non era solo attaccamento al dovere, non era solo aiuto ai colleghi e ai cittadini. Lui...» si trattenne ancora una volta per non mostrare la propria commozione, «lui voleva il bene dell’umanità.»
Stefania ascoltava sempre con la massima attenzione, senza interrompere.
«Poi ci fu un secondo avvenimento.» Il vecchio s’era preso un attimo di pausa, il ricordo di quello che doveva raccontare dopo sembrava farlo sorridere.
«Accadde che un giorno arrivò una vecchietta all’incrocio dove Davide dirigeva il traffico.»
«Cos’è il “traffico”?»
«Una cosa che nei primi decenni del millennio occupava gli agenti per gran parte del tempo.»
«Una cosa molto importante?»
«Una cosa altamente seccante. Uno spreco di uomini, c’erano ben altri problemi già allora, per il traffico bastavano i cosiddetti semafori. Si trattava solo di dirigere una grossa quantità di veicoli contemporaneamente nelle varie direzioni.»
«Ma anche oggi è così!»
«Sì, ma oggi abbiamo il sistema centralizzato che provvede a convogliare, veicolare, rallentare, deviare, fermare... ma anche se il sistema centrale sparisse, non c’è veicolo che non sia fornito dell’I.A.I. (l’intelligenza artificiale integrata) che provvede comunque nel migliore dei modi ad ogni esigenza. E non solo di guida, ma ad ogni livello, e tutto ciò senza che il guidatore neanche si accorga della mancanza di un sistema centrale. Caro agente, lei non immagina neppure di com’era la situazione prima del “sistema centrale”.»
«E lei non immagina di come continua a sorprendermi. Vada avanti, la prego.»
«Comunque,» il vecchio emise qualche colpo di tosse prima di continuare, «c’era questa vecchietta che camminava lentamente, ma così lentamente che il traffico s’era bloccato. Qualcuno incominciava a protestare e la povera vecchia si sentiva così imbarazzata che avrebbe voluto scomparire. Davide non si scompose più di tanto. Chiese al collega di deviare il traffico e di non far passare più alcun mezzo di là, nemmeno la Polizia. Poi si avvicinò all’anziana signora e, porgendole il braccio, disse “prego signora, posso accompagnarla?” e lei, vedendo questo cavaliere d’altri tempi, le aprì il suo cuore e gli confidò di sentirsi sola. Aveva solo bisogno di parlare con qualcuno. Lui stette ad ascoltarla fino a sera.»
«Fino a fine servizio?»
«Ben oltre, lui era di primo turno e non la interruppe un attimo. Ma non si limitò a questo, la accompagnò a casa e l’aiutò a mangiare, a spogliarsi e mettersi a letto, non prima di averla accompagnata a fare la spesa. Una volta giunti a casa era poi ridisceso per comprarle dei medicinali di cui aveva bisogno. Non aveva avuto nemmeno il coraggio di prelevare i soldi dal borsellino come lei aveva detto di fare. Ma tant’è, lui era fatto così. Si fecero le undici di sera prima che rientrasse.»
«Veramente lodevole, anche se oggi sarebbe normale routine.»
«Certo ,agente, oggi sarebbe previsto ed anche molto facile provvedervi. Oggi è previsto lo straordinario maggiorato nonché un cospicuo aumento di punteggio per la carriera. Allora non c’era nulla di tutto ciò, anzi Davide rischiò di essere denunciato per abbandono del posto di servizio e per poco non perse il posto.»
«Oh... e com’è che da tutto questo nacque il nostro servizio?»
«In realtà da questo nacque tutta l’E.T.P., non solo il vostro servizio.»
La ragazza rimase senza parole.
«La vecchietta il giorno dopo andò dalle sue amiche e disse “ho trovato qualcuno con cui si può parlare”. “Davvero?” fecero eco le amiche “qualcuno con cui poter parlare veramente” ribadì lei. Tutte vollero conoscere questa persona.»
«Notevole davvero, ma non mi pare tanto eccezionale.»
«Già, ma si trattava di un’ex senatrice a vita, e non si diede pace finché gli amici in parlamento, i giornalisti e le altre personalità di grosso calibro che erano anche i mariti delle sue amiche, non conoscessero quel vigile “umano”, quel nuovo strano tipo di vigile, mi segue?»
«Inizio a capire. Poi come andò?»
«“Un vigile per amico” fu il titolo in prima pagina di uno dei più diffusi quotidiani nazionali (che doveva alcuni servigi alla vecchietta). Tutti si chiedevano come fosse possibile che esistesse un vigile umano, molti credettero ad una montatura.»
«Incredibile!»
«E il bello è che lui cercò di sfuggire in tutti i modi a questa inaspettata notorietà!»
«Non gli faceva piacere?»
«Per niente, ma fu tale che per forza di cose dovette accettare almeno una parte degli inviti dell’ente televisivo di stato e di altre emittenti. Allora gli venne un’idea.»
«Quale idea?»
«Approfittare della notorietà per farsi autorizzare a creare il nuovo servizio che aveva proposto anni prima al vecchio comandante.»
«La vecchia idea? La ripropose?»
«Sì, ma stavolta si aprirono tutte le porte. Un gruppo scelto di vigili fu creato per seguire un corso di “auto-aiuto guidato” tenuto dai migliori esperti d’Europa. Negli anni seguenti ogni vigile che partecipò al corso diventò a sua volta istruttore e lentamente s’iniziò a delineare una nuova figura di vigile.»
«Quale?»
«Una figura di vigile dedita alla gente, a starle vicino. Un tutore che assistesse le vecchiette che dovevano sbrigare la pratica della pensione, che accompagnasse l’invalido a cercare un centro specializzato, oppure guidare in tutte le faccende un turista straniero rimasto preda dei teppisti a cui sono stati rapinati soldi e documenti, e fosse senza indicazioni. Una persona super-partes, totale e adeguata che si occupasse di tutto ciò disinteressatamente. Questa è stata la splendida idea, la grande intuizione di Davide Magnanimo. Occorreva una presenza capillare a livello locale, e chi più del vigile stava costantemente sul territorio? Chi puoi trovare per strada quando sei solo? La polizia era sempre più impegnata sui grossi fronti: crimini finanziari, bioterrorismo...»
«E come fu strutturato il nuovo servizio?»
«S’iniziò con la figura del “vigile d’ascolto”. Fu la vecchia senatrice che lo indirizzò per quella via.»
«E da quella via cosa nacque?» chiese la giovane desiderosa di conoscere il seguito.
«Da quella via ne scaturì una strada maestra.»
«E come si allargò l’evento?»
«I politici aguzzarono la vista: si accorsero, cioè, che quel sistema, quel modo di avvicinare la gente, era quello migliore. Migliore per loro, per la politica, per l’immagine delle amministrazioni, persino per la pubblicità. Capirono anche che quell’uomo aveva un carisma che molti politici non potevano vantare.»
«E allora?»
«Allora diedero il benestare alla sua proposta in sede europea. Fu solo l’inizio di quella rivoluzione umana di cui oggi ancora godiamo. C’era un’imperiosa esigenza di migliorare la vita. Inoltre ai temi sociali ed a quelli personali (i suicidi e le stragi familiari aumentavano ogni giorno) si aggiungevano problemi irrisolvibili di inquinamento, deforestazione, mancanza di energia. Senza dimenticare le guerre, la fame nel terzo mondo...»
«E Davide come entrò in tutto questo?»
«Dal successo che ricevette ci si rese conto che l’innovazione non poteva essere prerogativa di una singola amministrazione comunale, così come non poteva essere limitata ad un solo campo. Furono istituiti ulteriori compiti speciali nel servizio dei vigili a livello regionale, poi nazionale. Ma dieci anni dopo passò una legge europea che obbligò tutti gli stati ad avere corpi coordinati finché, dopo vari passaggi di competenze fra diverse forze di polizia, non si giunse al corpo cui appartieni, l’E.T.P., cioè la Polizia Territoriale Europea.»
«Caspita, tutto questo merito di una sola persona!»
Ma il racconto fu interrotto da un taxi a levitazione che stava andando a schiantarsi contro di loro. L’occhio esperto della giovane agente capì dalla strana manovra di correzione che il sistema I.A.I. aveva evitato che li investisse, e non l’autista. Intuì subito di cosa si trattasse.
L’autista di taxi s’accasciò fuori dalla portiera con gli occhi sbarrati: era catatonia fulminante, un’epidemia misteriosa che imperversava da alcuni mesi. Della sindrome si sapevano i sintomi ma non l’origine.
Stefania ordinò l’immediato trasferimento al Pronto Soccorso e, nel brevissimo arco di tempo in cui arrivò l’ambulanza a levitazione magnetica, isolò l’infermo con un campo statico anti ultra-virus che avrebbe fermato anche i virus filtrabili. Lo adagiò nella posizione che permetteva di respirare meglio e di essere trasportato senza difficoltà. Tutto finito in dieci minuti, tre più di quelli previsti, ma il regolamento non contemplava penalità negative per le emergenze sanitarie.

Il vecchio comandante poté proseguire il suo racconto.
«Davide non si limitò all’istituzione del corpo unico europeo di polizia locale, quella che oggi chiamiamo “territoriale”, ma lottò per ben altre iniziative. Andò presso tutte le Corti, Enti, Stati, pretese ed ottenne quello che poi sarebbe diventato l’U.C.S. l’Unic Central System, il sistema centrale che conosci. È lui che raggruppa e collega istantaneamente tutte le amministrazioni centrali e periferiche di qualsiasi ente statale o meno, gli uffici anche privati, le associazioni, i gruppi spontanei di privati cittadini, club, circoli... in una parola tutto. In seguito resuscitò le Banche del Tempo con grandi riflessi benefici sulla vita di mamme, bambini, adulti occupati e disoccupati. Poi fu la volta delle banche umanitarie. Infine ne venne influenzata l’economia e i benefici si sentirono anche a livello europeo.»
«E tutte le tecniche impartiteci nel corso, sono tutte idee sue?»
«Non esattamente, Davide più che altro ebbe l’intelligenza di attingere alle conoscenze più varie ma nello stesso tempo più profonde. Aveva la capacità di apprendere dovunque andasse, di ascoltare chiunque lui consultasse. Faceva questo naturalmente, “assorbendo” le esperienze, i contenuti. Si consultò quindi con esperti di tutte le discipline, lesse molti libri. Per esempio, i Quattro passi della consapevolezza sono ricavati da un libro di Fromm, un antico psicanalista umanistico-sociale, ma lui ebbe l’idea di applicarli e integrarli ad un addestramento che non doveva essere più solo fisico e teorico, ma anche emotivo, mentale e spirituale. La Preghiera dell’agente-samurai deriva da una preghiera dei samurai, antica casta di guerrieri giapponesi. Il suo merito fu di far prendere in considerazione queste tecniche.»
«Ma non ci aveva pensato nessuno prima?»
«Nessun collega, né superiore, né politico, né tantomeno sindacato, aveva mai osato nemmeno prendere in considerazione le sue idee prima del successo del programma Il Vigile Umano ispirato a lui.»
«Mi scusi ma, a questo punto, viene da chiedermi: com’erano questi agenti prima dell’istituzione dei corsi?»
Un sospiro sfuggì al vecchio.
«Ebbene, come ho detto, all’epoca gli agenti non solo non erano europei ma nemmeno nazionali, anzi nemmeno regionali: erano comunali.»
Un silenzio imbarazzante calò fra i due, non era pensabile una situazione del genere nel loro tempo, sarebbe stato indegno.
«Bisogna dire che non erano nati ancora gli U.S.E., cioè gli United States of Europe. L’Europa era poco più che un unione economica, anche se alcuni più lungimiranti, tra i quali appunto Davide Magnanimo, scorsero i primi segni di uno stato federale. Ora lei mi chiede com’erano quegli agenti che, ovviamente, non avevano alcuna preparazione per casi specifici.»
Il vecchio si riposò un attimo prima di riprendere.
«Cosa dire, che avrebbe potuto fare un’agente per un ragazzo in grave crisi depressiva perché l’ha lasciato la ragazza? Non lo so, e non saprei proprio come avrebbe provveduto per una persona bisognosa di sostegno o di compagnia fissa. Non c’era un sistema centralizzato di supporto, non c’era un addestramento per fronteggiare i Tepter, non conosceva nemmeno le indicazioni da dare ai parenti colpiti da un lutto.»
«Cioè non erano addestrati interiormente a “dare” il proprio rispetto al lutto del cittadino, o non erano preparati ad offrire l’indicazione al cittadino di “parteciparlo” per quindici giorni, quindi vivere la vita e andare avanti?»
«Nè l’uno nè l’altro, così come per I quattro passi della consapevolezza. Lo so che oggi si iniziano a imparare alle materne.»
«Non riesco a crederci, qualsiasi agente o buon cittadino conosce i quattro passi a memoria!»
«Me li lasci ripetere, la prego.» Il vecchio socchiuse gli occhi e andò con la memoria a Il Manuale dell’Allievo.
«Che si sia consapevoli di cosa non va, che si riconosca l’origine di ciò che non va, che si riconosca che esiste un modo per superare il problema e che si accetti il fatto che per superare il problema si deve agire cambiando lo stato e il modo di vivere attuali.»
Stefania aveva osservato il silenzio all’ascolto delle quattro nobili verità.
«Certo, ora è scontato,» proseguì il vecchio, «così come il fatto che un agente dell’E.T.P. deve essere risoluto, sapere quello che va fatto, e farlo senza esitazioni. Così com’è logico e scontato agire in questo modo anche per casi umani.»
«Perché, prima non era così?»
«Allora sarebbe stato semplicemente inaccettabile.»
«Ma sono cose naturali!» disse la ragazza.
«Già, oggi è perfettamente naturale tutto ciò, non così allora. Capisce adesso perché sono stato tutta la mattinata “a godere” mentre la guardavo? Riandavo con la mente a quel lontano passato, quando nemmeno nella fantasia più sfrenata avrei immaginato un vigile con le sue capacità! E devo ringraziare Davide per questo sogno fatto realtà, tutti lo dobbiamo ringraziare.»
La ragazza si sentì lusingata e commossa, però chiese:
«Come fa ad essere così certo che non sia esistito un vigile al pari di me?»
«C’ero anch’io nel corpo in quell’epoca, ero io quel nuovo comandante...»

III

(sotto il comando prima di lasciarsi)

«... mi parli ancora di lei, la prego,» insisté Stefania, «deve aver visto un mucchio di cambiamenti durante la sua carriera.»
«Sì, ma non tutti li ho digeriti. A proposito, molte persone, soprattutto anziani, preferiscono gli umani piuttosto che il Ricetrasmettitore a Onde Cerebrali. Scelgono di rimanere con il congegno disinserito, capisce? La gente preferisce, anzi pretende, voi. Vuole vedervi, parlarvi, vuole essere ascoltata, essere capita, toccarvi anche. Vuole sentire il calore umano. Bene,» mostrò la parte nascosta dietro l’orecchio sinistro dov’era l’interruttore, «anch’io sono di quelli che lo porta disinserito»
«Capisco» disse la ragazza con un leggero sconcerto. Un ex comandante con il R.T.O.C. disinserito non dava un’impressione di garanzia totale... ma capiva la scelta. «La gente ha ragione di pretendere tutte queste qualità da noi, in effetti siamo pagati per questo.»
«Sì, avete il compito di essere al servizio del prossimo» ribadì il comandante.
«È giusto per noi possedere le competenze necessarie e la giusta abilità professionale,» riprese la ragazza, «in modo da offrire il meglio delle nostre prestazioni, per questo siamo sottoposti ad un duro addestramento...»
«Ma voi avete ben più che prestazioni da offrire...»
«Cioè che cosa, la dedizione al lavoro?» cercò di indovinare la ragazza dando un bellissimo sorriso.
Il vecchio la guardò, ricordando ancora una volta il suo amico Davide, e rispose:
«Oh, qualcosa di più che semplice dedizione, è amore.»

(DAL MANUALE DELL’ALLIEVO)

Capitolo III – Paragrafo “L’idea di aiuto umano”

L’aiuto umano si attua amando tutti, amando per primi, morendo a se stessi.
L’agente deve essere il miglior amico del cittadino, se necessario deve diventarne il fratello, il padre, la madre.
Farsi ladro col ladro, santo col santo, ma poi tornare se stesso, sempre presente a se stesso, mai lasciarsi andare.
Attraversare assieme al cittadino in difficoltà il fiume e risalire assieme la riva, questo il senso.
Accompagnare, “essere” con l’altro, non “affondare” con l’altro.
La più alta aspirazione dell’agente è far giungere l’altro ad aiutarsi da solo.
L’aiuto si offre se richiesto.
In caso di incapacità e di urgenza lo si porge senza richiesta e esitazione.
Più importante è che l’altro ami se stesso, che sia sufficiente a sé, così che l’altro potrà fare del bene ed aiutare a sua volta.

Capitolo XI – Paragrafo “Tecniche di auto-risorsa mentale in situazione di disarmo e deprivazione comunicazionale”

È sempre presente una connessione al sistema, ma se per qualsiasi motivo questa si dovesse interrompere, ricordarsi la “Preghiera dell’agente-samurai” Se sono solo e disarmato, sono nella miglior compagnia e nel miglior armamento.

non ho superiori che mi indicano, il cielo e la terra sono i miei superiori;
non ho autorità che mi guida, la lealtà è la mia autorità;
non ho mezzi, l’obbedienza è il mio mezzo;
non ho poteri particolari, la forza interiore è il mio potere;
non ho corpo, la forza è il mio corpo;
non ho ordini prestabiliti, nell’emergenza l’evenienza è i miei ordini;
non ho miracoli da offrire, offro fin dove arrivo e anche oltre se posso, questo è il mio miracolo;
non ho principi fissi, la flessibilità in tutte le situazioni è il mio principio;
non ho amici, la mia mente è i miei amici;
non ho nemici, l’imprudenza è i miei nemici;
non ho scudi nè una corazze, buona volontà e correttezza sono il mio scudo e la mia corazza;
non ho un Comando in cui prender rifugio, la mente irremovibile è il mio Comando;
non ho armi, il “sonno della mente” è la mia arma.

Capitolo IV – Paragrafo “I quattro passi della consapevolezza”

I. Che si sia consapevoli di cosa non va.
II. Che si riconosca l’origine di ciò che non va.
III Che si riconosca che esiste un modo per superare il problema.
IV. Che si accetti il fatto che per superare il problema si deve agire
cambiando lo stato e il modo di vivere attuali.

Capitolo VI – Paragrafo “Atteggiamento interiore da assumere con le
persone colpite da lutto – indicazioni da offrire”

I. L’agente offre se stesso ed il proprio rispetto al lutto del cittadino, come fosse lutto proprio.
II. Indicare al cittadino, in fase iniziale, di “partecipare” il lutto lasciandosi andare, senza opporvisi in alcun modo per quindici giorni.
III. Dopo, indicare di vivere la vita e andare avanti.
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Email Scheda Utente
19/04/2008 05:51
 
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Lincipit è fatto bene...-Era un po’ che l’agente notava “l’ombra”. Ti invoglia a proseguire e ti fa intuire la fantascienza propositiva del racconto.
Anche se spero in un futuro dove le forze che ci proteggono siano forti e non assistenti sociali... Hanno già così pochi poteri ora...
Durante la descrizione contro i teppisti mi hai fatto ricordare uno dei tanti fatti di cronaca di qualche tempo fa. Ci vorrebbe un manganello di quello descritto da te in dotazione ai vigili della mia città. Mi ricordo di una vigilessa che era finita in ospedale perché 15 bambini rom, di quelli che rubano ai passanti, le avevano fregato la pistola e l'avevano riempita di mazzate fino a mandarla in ospedale...
Ho trovato un poco debole il pretesto di spiegare la storia a una poliziotta che non la conosceva tramite un vecchio vigile. In un corso di un corpo militare o smilitarizzato devi studiare la storia e le tue origini. La tradizione è molto sentita.
Questo Davide che porta cinque volte il figlio malato ha pure tempo di fare l'eroe? E' un pò troppo eccezzionale.
Sul fatto del sindacato assente lo trovo molto credibile, invece... eh eh eh...
La storia sembra prendere spunti da Myamoto Musashi, Star Trek, dove si fondono ideali socialisti e liberali fino all'essenza, fondendosi ed annullandosi in una politica di universalità addirittura, in quel caso, interstellare e anche i guerrieri della luce di Coelo e le sue regole.
Per tutto il resto, intendo sull'idea dell'ascolto, mi trovo pienamente d'accordo. E' una delle mie politiche e ho agito ed agisco in tal senso.
Sintentizzo il mio pensiero con una riflessione. Ogni volta che c'è un suicidio siamo tutti noi i colpevoli.
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Email Scheda Utente
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19/04/2008 16:10
 
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In ogni suicidio c'è una nostra responsabilità
Sono non d'accordo ma d'accordissimo con il tuo pensiero finale sul suicidio.

Poi la questione di Davide... tu dici:
«Questo Davide che porta cinque volte il figlio malato ha pure tempo di fare l'eroe? E' un pò troppo eccezzionale...»

Purtroppo esiste un viglie di Napoli molto preparato, disponibile anche a chi non è del suo sindacato, che crede nell'amicizia vera, che ha fondato un'associazione per bambini autistici, che fa i turni, che ha la moglie vigilessa che fa anch'essa i turni. Lui non guida ed abita lontano. La moglie accompagna cinque volte la settimana il bambino autistico in due diversi centri...
E' mio amico e da lui ho preso spunto per la mia storia.
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19/04/2008 22:13
 
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E' una bella storia anche se ho trovato un po' triste che quei vigili si rapportino agli altri seguendo un manuale di comportamento.
Anch'io mi trovo d'accordo sull'importanza dell'ascolto.
Piaciuta.
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Email Scheda Utente
20/04/2008 01:04
 
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In effetti anch'io in passato ho fatto parte di un volontariato votato all'ascolto anche perché tendo sempre a dire a chi mi sembra ne abbia bisogno(in realtà ne abbiamo bisogno tutti, me compreso) che se ha voglia di parlare con qualcuno io sono quì. A volte mi sono trovato più volte ad aiutare dal vivo anche delle persone fin dove ho potuto. Nel senso che le ho anche aiutate, dove non riuscivo a causa della mia mancanza di competenza e di tempo, a indirizzarli verso specialisti magari dicendo: andiamo insieme se hai timore ad andarci da solo. NON SEI SOLO/A. Mi è capitato anche in alcuni casi che questo atteggiamento di ascolto sia stato frainteso. E ci sta anche questo nel nostro mondo...
Certo sarebbe bello un mondo dove i corpi armati potrebbero solo dedicarsi a risanare storie d'amore, come dicevi tu nel racconto, piuttosto che essere coinvolti in conflitti a fuoco.
Ma la soluzione vera è quella di tornare indietro sul punto dell'amicizia. Come nei paesini di una volta che tutti erano amici di tutti. Perché siamo esseri sociali. Perché abbiamo bisogno di stare con gli altri. E con tutti i mezzi che abbiamo, prendi internet, continuamo a non parlare davvero con nessuno. Avevo una mezza idea di fare un'associazione anch'io soprattutto riguardo le persone vittime di raggiri o suggestionate da sette o messaggi pericolosi spesso riscontrabili anche su internet. Ma sono molto impegnato. Forse non sono così eccezzionale come il tuo amico Davide facendo nel mio caso già molte cose.
Non scrivo questo per vantarmi. E' più un piccolo sfogo perché in fondo, proprio come hai detto tu, non dovrebbe essere eccezzionale dare una piccola mano al prossimo ogni giorno. Ma è questo che non riusciamo a capire in questa società... Il nostro problema più grande. Che siamo uniti l'uno all'altro. Ma, è ovvio, non voglio imporre il mio modo di pensare ed agire a nessuno.
Ti ringrazio del tuo racconto che mi ha permesso di scrivere questo piccolo sfogo.
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Email Scheda Utente
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20/04/2008 23:43
 
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Credo che...
... tu abbia colto una cosa non detta nel racconto.
Cito testualmente:

«Ma la soluzione vera è quella di tornare indietro sul punto dell'amicizia. Come nei paesini di una volta che tutti erano amici di tutti. Perché siamo esseri sociali. Perché abbiamo bisogno di stare con gli altri.»

Secondo punto: l'associazione del mio amico viglie è nata da un'esigenza personale: il figlio aiutistico.

Terzo: tu non ti vanti, hai solo riferito ciò che hai realmente fatto e con quale spirito. Ringrazio io te del tuo "piccolo sfogo" che poi è stata una cosa bella.

Certo, «...non dovrebbe essere eccezionale dare una piccola mano al prossimo ogni giorno.»
D'accordo con questa considerazione.

Infine: tu non imponi a pensare e ad agire a nessuno perché già con lo stesso racconto (il fattodi leggerlo, farne pensieri, osservazioni) ho imposto l'attenzione.

Ringrazio Elvioplex di sorbirsi tutte le mie elucubrazioni letterarie.
Un saluto affettuoso a tutti.
Stef
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Email Scheda Utente
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21/04/2008 13:19
 
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Per Stefano: non mi sorbisco niente [SM=x142832] faccio sempre tutto spontaneamente e voentieri [SM=x142839]

Per Misterx78: complimenti a te! La disponibilità verso gli altri è sempre una bella cosa, più che vantarsi fare una sana pubblicità al volontariato potrebbe far venire voglia a qualcun altro di fare altrettanto (credo molto nella forza del contagio!)
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Email Scheda Utente
22/04/2008 01:00
 
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Ma sai è capitato, anzi, può anche capitare che un gesto d'affetto gratuito, una certa attenzione gratuita possa anche essere scambiata per qualcos'altro...
Una ragazza che ho 'aiutato' standole vicino, per esempio, ha frainteso od ha voluto fraintendere una certa disponibilità andando oltre l'amicizia da parte sua e ho dovuto farle male quando le ho detto che io la consideravo e le volevo bene come amica, sorella al massimo ma non come pensava lei... E per una persona che sta giù per dei motivi specifici non è facile sorbire certe botte. E la cosa mi fece sentire anche in colpa ma forse è stato meglio mettere di fronte il fatto compiuto la persona.
Questo mi ha fatto riflettere che bisogna anche sapersi porre.
Ma anche che tante volte la gente pensa male di un tuo sorriso troppo sincero. Si chiede: 'Come? Tutti vogliono qualcosa. Chissà cosa vuole questo'.
Calcola che molti non vogliono essere aiutati.
O peggio. Molti non si rendono conto di stare precipitando in quello che fanno.
E ci sta pure questo in questo mondo.
[Modificato da misterx78 22/04/2008 01:02]
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Email Scheda Utente
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22/04/2008 13:34
 
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Hai perfettamente ragione!
Comunque io non nego il mio sorriso a nessuno anche a costo di sentirmi dire "quella ride sempre", è una considerazione della vita la mia.
Vedo la bottiglia mezza piena anche se è vuota! E poi il sorriso scaccia via i brutti pensieri [SM=x142834]
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23/04/2008 22:34
 
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Grazie
Grazie ad etrambi per avermi donato le vostre sperienze o le vostre vedute.
09/05/2008 18:09
 
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Aiutre chi ha bisogno di tutto, pure di un sorriso è una cosa che mi apparteneva.
Come soccorritrice in Croce Rossa, come catechista e aiuto (pauroso) alle famiglie dei tossici, poi in Protezionw Civile.

Credete, ora che sono io ad avere bisogno di TUTTO che qualcuno mi abbia teso una mano?


SBAGLIATO


Se nessun uomo è un'isola io che sono? oltre a guardarni con compassione nessuno ha tempo per me, nemmeno gli assistenti sociali o i sacerdoti.


Detto ciò (evidentemente ho mal seminato) i tuoi racconti Stefano, pur se lunghi una quaresima [SM=x142847] si leggono con vivo interesse.

Un baci8
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09/05/2008 21:59
 
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La quaresima è lunga? [SM=x142895]
Un abbraccio fiore.
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QUARESIMA
Essere lungo come una Quaresima è un onore.
Ricorda i quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto.
Un bacio sulla fronte, amiche
[SM=x142887] [SM=x142887] [SM=x142887] [SM=x142868]
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