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MIO SUOCERO NON ERA EBREO (al giorno della memoria)

Ultimo Aggiornamento: 23/01/2011 09:02
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La storia di tuo suocero, Giancarlo, mi ha commosso e mi ha ricordato quella di mio padre. Aveva 19 anni nel 1943, mio padre, ed era un carabinere. Fu catturato dai tedeschi in Piemonte, dopo l'armistizio e deportato in Germania, dove rimase due anni.
Parlava pochissimo anche lui di quel periodo. Con gli anni accumulai scarni particolari della sua esperienza, della quale in certi momenti parlava, pur con riluttanza, dopo molte insistenze e certo, senza dire tutto.
Ma da quel poco che disse mi resi conto che aveva visto l'inferno.
Lo avevano fatto girovagare per tutta la Germania, in vari campi che arretravano mano a mano che gli Alleati avanzavano.
I carabinieri forse furono "privilegiati", perchè non furono chiamati prigionieri di guerra ma "internati", crudele gioco di parole per dire la stessa cosa. Mio padre e i suoi commiltoni furono impiegati in vari lavori, come squadre per recuperare aerei abbattuti dalla contraerea tedesca, per portare il materiale recuperato alle acciaierie Krupp, che fondeva il metallo per ricavarne cannoni e panzer. Vide i cadaveri bruciati dei piloti Alleati, vide i prigionieri russi cibarsi delle loro carni... passò per Dresda, città risparmiata dai bombardamenti alleati, proprio il giorno che fu rasa al suolo con 100.000 morti, aiutò i vigili del fuoco tedeschi a estrarre i cadaveri dei civili dalle macerie, tante donne, bambini... ne raccolse tantissimi.
Fu sotto i bombardamenti di Amburgo, lavorò nelle fattorie, furono costretti a rimpiazzare i lavoratori tedeschi al fronte, mi disse che mangiò alla stessa tavola dei contadini tedeschi, che non li odiavano.
Vide i fascisti che vennero a trovarli nei campi di prigionia per convincerli ad aderire alla repubblica di Salò, lui rimase in Germania.
Si cibò di pane immangibile, con i vermi, patate ammuffite e scatolette di carne scadute buttate nelle latrine dai tedeschi.
La sua divisa era lacera e fu costretto a indossare una giacca tedesca, sopra la quale cucì gli alamari da carabiniere.
Vide ragazzi tedeschi di 12 anni, la Hitlerjugend, buttarsi contro i carri armati e le truppe Alleate e morire.
Per poco non finì ammazzato dagli Alleati, quando furono liberati, che li avevano scambiati per dispersi tedeschi.
Fra gli Alleati c'erano immigrati italiani che riuscirono a capire, dalle loro grida, che erano italiani e solo per questo non furono uccisi.
L'unica cosa bella, che raccontava con un sorriso, fu che si ruppe un dente masticando una zolletta di zucchero datagli da un americano, tanto era debole.
Tralascio altre cose, tante, ma una cosa vorrei dire, che mi colpì.
Nonostante avesse sofferto tantissimo, visto cose inenarrabili (quello che ho detto è solo quel poco che mi disse, l'altro posso immaginarlo), lui non odiò il popolo tedesco. Riuscendo a parlare anche con la gente, potendo uscire dai campi di concentramento per lavorare e imparando a orecchio un pò di tedesco, mi disse che c'era tanta brava gente che li aiutò e che era contraria al regime, ma non si palesavano per paura.
Io ho imparato da lui che i popoli sono tutti uguali. Sono talvolta i loro governanti, che possono essere buoni o cattivi, a condurli verso l'inferno, a scannarsi gli uni con gli altri.
Il soldato Fritz era uguale al soldato Smith e al soldato Esposito.
Avevano tutti una mamma.
I loro capi, che Dio abbia uno sguardo su di loro, no.

Alberto











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