MIO SUOCERO NON ERA EBREO (al giorno della memoria)

Cobite
00venerdì 26 gennaio 2007 15:04


Quello che vi racconto è una verità alla quale ho potuto avvicinarmi solo in emozione, della quale non sono riuscito mai ad aprire veramente lo scrigno. Quello che vi racconto è una piccola verità incompleta ma tanto basta per comprendere come certe cose possono ferire profondamente il cuore e l’animo di un uomo e condannarlo alla sofferenza per la vita.

E' questa una piccola storia di uomo preso dentro un meccanismo infame più grande di lui che ha sporcato indelebilmente le nostre coscienze di nazioni civili.



Mio suocero non era ebreo, era italiano, cattolicissimo.
Dopo la dichiarazione di Badoglio venne preso dai tedeschi in Jugoslavia e trasportato in un campo tedesco, non sapeva di preciso dov’era, ma gli sembrava vicino Monaco. Non fu mai capace di farmi raccontarmi nei particolari come fosse vissuto (o meglio sopravissuto) in quel campo. Solo sospiri, accenni che si viveva male, pianti, segni di disperazione mentre si teneva il capo tra le mani. Ci avevo provato in varie occasioni ma solo una volta riuscii a fargli raccontare qualcosa di generico di quella prigionia.
Mi raccontò con la disperazione dipinta negli occhi che i suoi giorni in quei giorni erano stati terribili, i peggiori immaginabili. Alla fine i tedeschi caricavano i prigionieri sui dei camion per portarli non si sa dove, ma sapevano che non ritornavano mai. Mi fece capire che avevano saputo o immaginato che li portavano alla morte certa, in qualche altro campo.
Toccò anche a lui a salire su uno di quei camion ed era ormai rassegnato ma per fortuna durante il viaggio la colonna venne intercettata da una squadriglia d’aerei americani che la mitragliarono a più riprese. Fu un fuggi fuggi dai camion fermati in mezzo alla strada. Prima i tedeschi, poi anche i prigionieri. Anche mio sucero scappò nel bosco che affiancava la strada e continuò a correre sempre più dentro al bosco. Cosa successe dopo non fu mai capace di raccontarlo perché a questo punto piangeva e non si capivano le frasi. Da spezzoni capii che restò nascosto fino all'arrivo degli americani, non capii quanto ne capii come sopravisse.
Una testimonianza questa che non aveva mai raccontato neppure ai suoi famigliari più stretti.

Quando per lavoro andai in Germania per la prima volta, per lui fu un incubo continuo. Si svegliava di notte agitatissimo per i sogni che faceva e che non raccontava. Chiedeva continuamente ed in modo ossessivo notizie di me. Era oltremodo preoccupato e non si tranquillizzò fintanto non tornai e gli parlai di una Germania diversa da quella conosciuta da lui.
Servì a poco perchè quando ripartii per altri viaggi in Germania a lui ricominciavano gli incubi, le insonnie e le preoccupazioni.

Non era marchiato sul braccio, mio suocero, era stato marchiato dentro.

...




Terribile è il sapere che nella storia gli ecidi sono stati tantissimi e che ancora oggi l’olocausto è una piaga infetta del mondo, nell'impotenza nostra e di altri piccoli uomini marchiati come mio suocero.

Giancarlo Cobite
ciaoLili
00venerdì 26 gennaio 2007 22:28
Non so se hai letto "se questo è un uomo" di Primo Levi
immagino di sì, e quindi ricorderai quelle pagine, in cui lo scrittore parla del giorno della liberazione in cui, nessuno ebbe la forza di esultare e di ridere, quasi preso dallo inverosimile "rimorso"d' esser vivo ancora, al pensiero di tutti coloro che non ce l'avevano fatta...e c'è ancora tanto d'altro che si potrebbe aggiungere, non ultimi i ricordi di azioni anche meschine e vergognose legate alla situazione di paura,di estremo bisogno di tutto, anche d'un filo di spago, d'un cucchiaio... spesso al momento della morte d'un compagno, ci si preoccupava principalmente di appropriarsi di ciò di cui questi non aveva più bisogno...insomma prima ancora d'ucciderli, i nazisti ne uccidevano la dignità e l'umanità...
Sai Giancarlo, tutto ciò mi sconvolge e m'addolora per quanto mi immedesimo...
Non so se tuo suocero vive ancora, lo abbraccio comunque col pensiero ovunque sia.Ciao, Lili. [SM=x142909]
Geneshys
00venerdì 26 gennaio 2007 23:57
Non era marchiato sul braccio, mio suocero, era stato marchiato dentro.

Ciò che è invisibile non è tanto meno doloroso di ciò che è visibile... il dolore travolge ugualmente e le notti si fanno imcubo nei ricordi...

Molti ne morirono, ma molti ancora oggi sono dimenticati...

Ricordiamoli tutti...

Un abbraccio
gae
ELIPIOVEX
00sabato 27 gennaio 2007 21:01
E' giusto ricordarli, è giusto che sia così, per tutto il dolore che hanno dovuto sopportare a causa dei tempi, della guerra e della mentalità di morte che ha creato questi orrori.
Cobite
00mercoledì 14 febbraio 2007 09:58


Quante follie ha corrotto l'uomo!

Eppure ancora oggi si cercano di nascondere e di negare.
Fosse almeno per la vergogna!


Giancarlo


ELIPIOVEX
00mercoledì 14 febbraio 2007 17:47
Ti riferisci forse alla polemica nata dopo il discorso di Napolitano?
Secondo me è stato un discorso coraggioso, dato il suo passato politico, ed è stato giusto che tutti i partiti l'abbiano appoggiato, indipendente dalla propria ideologia. I massacri sono crimini chiunque li abbia commessi.
ceo1
00giovedì 15 febbraio 2007 16:21

Ciao Giancarlo, una bella pagina la tua che si aggiunge alle altre migliaia che raccontano della disumanità e delle atrocità della guerra.
Un caro saluto ed un abbraccio,
vincenzo
Cobite
00venerdì 16 febbraio 2007 18:53

Carissimo amico, che piacere rieleggerti [SM=x142846]

Ti ringrazio per le tue parole.

Ho visto che hai postato, e come avrò tempo andrò certamente a leggermi il tuo scritto.

Grazie

Ciao e a presto [SM=x142897]

[SM=x142846] Giancarlo

fiordineve
00lunedì 19 febbraio 2007 00:53
Nemmeno mio suocero era ebreo.
Anzi, era un montanaro veneto che viveva tranquillo nella sua borgata che portava il nome dei suoi antenati.
Ma la guerra del 15-18 lo prese e partì.
Lasciò i suoi monti, i genitori ed andò obbediente.
La sua truppa venne assalita dagli austriaci, catturata e portata in un campo di concentramento (che abbiano il copyright i "tugnin?"), cibo quasi nullo, vestiti pochi, il sonno concesso a minuti.
Mi raccontava che si dividevano le bucce di patate scartate dai tedeschi, che un topo era più squisito di un fagiano, che mangiavano pure la terra...
Proprio accanto al recinto di filo spinato passava la ferrovia, molti passeggeri, sapendolo, si portavano da casa del pane e qualche mela che poi lanciavano ai prigionieri incatenati ai piedi.
Ciò che lo ha ferito di più era la cattiveria degli aguzzini; appena si accorgevano del misero cibo accorrevano, lo schiacciavano sotto i piedi o lo davano in pasto ai cani, incuranti delle grida di sofferenza.
Chi gridava era scudisciato, così nemmeno più guardavano a quel pane dato a loro.

Poi tornò a casa, tra le sue montagne, con piaghe, pulci, parassiti, malattie innominabili che lo ridussero quasi in fin di vita.
Immagino cosa sia successo, lui era un ragazzone alto quasi 2 metri, occhi azzurri, biondo e cordiale, mancavano donne...

**********


Durante la seconda guerra i tedeschi entrarono nella sua fattoria (ormai aveva lasciato i monti Lessini) per depredarlo; nella sua cantina aveva cibo per sé, la moglie, i figli, allora ancora 8 (un figlio era morto piccolissimo e mio marito doveva ancora nascere) e per il paese in cui abitava; loro entrarono con l'immancabile boria di chi ha un'arma in mano, mio suocero, lesto come un fulmine, imbracciò il fucile che teneva sempre accanto a sé ed iniziò a sparare.

Gli invasori, impauriti scapparono, mio suocero vomitò ma quanto lo rese orgoglioso quello che aveva osato fare! [SM=x142937]




Maria Antonietta - GESU' nasce ogni giorno; che la LUCE del Natale sia nei nostri cuori.... sempre!

[Modificato da fiordineve 19/02/2007 0.55]

alberto_58
00martedì 27 gennaio 2009 00:50
La storia di tuo suocero, Giancarlo, mi ha commosso e mi ha ricordato quella di mio padre. Aveva 19 anni nel 1943, mio padre, ed era un carabinere. Fu catturato dai tedeschi in Piemonte, dopo l'armistizio e deportato in Germania, dove rimase due anni.
Parlava pochissimo anche lui di quel periodo. Con gli anni accumulai scarni particolari della sua esperienza, della quale in certi momenti parlava, pur con riluttanza, dopo molte insistenze e certo, senza dire tutto.
Ma da quel poco che disse mi resi conto che aveva visto l'inferno.
Lo avevano fatto girovagare per tutta la Germania, in vari campi che arretravano mano a mano che gli Alleati avanzavano.
I carabinieri forse furono "privilegiati", perchè non furono chiamati prigionieri di guerra ma "internati", crudele gioco di parole per dire la stessa cosa. Mio padre e i suoi commiltoni furono impiegati in vari lavori, come squadre per recuperare aerei abbattuti dalla contraerea tedesca, per portare il materiale recuperato alle acciaierie Krupp, che fondeva il metallo per ricavarne cannoni e panzer. Vide i cadaveri bruciati dei piloti Alleati, vide i prigionieri russi cibarsi delle loro carni... passò per Dresda, città risparmiata dai bombardamenti alleati, proprio il giorno che fu rasa al suolo con 100.000 morti, aiutò i vigili del fuoco tedeschi a estrarre i cadaveri dei civili dalle macerie, tante donne, bambini... ne raccolse tantissimi.
Fu sotto i bombardamenti di Amburgo, lavorò nelle fattorie, furono costretti a rimpiazzare i lavoratori tedeschi al fronte, mi disse che mangiò alla stessa tavola dei contadini tedeschi, che non li odiavano.
Vide i fascisti che vennero a trovarli nei campi di prigionia per convincerli ad aderire alla repubblica di Salò, lui rimase in Germania.
Si cibò di pane immangibile, con i vermi, patate ammuffite e scatolette di carne scadute buttate nelle latrine dai tedeschi.
La sua divisa era lacera e fu costretto a indossare una giacca tedesca, sopra la quale cucì gli alamari da carabiniere.
Vide ragazzi tedeschi di 12 anni, la Hitlerjugend, buttarsi contro i carri armati e le truppe Alleate e morire.
Per poco non finì ammazzato dagli Alleati, quando furono liberati, che li avevano scambiati per dispersi tedeschi.
Fra gli Alleati c'erano immigrati italiani che riuscirono a capire, dalle loro grida, che erano italiani e solo per questo non furono uccisi.
L'unica cosa bella, che raccontava con un sorriso, fu che si ruppe un dente masticando una zolletta di zucchero datagli da un americano, tanto era debole.
Tralascio altre cose, tante, ma una cosa vorrei dire, che mi colpì.
Nonostante avesse sofferto tantissimo, visto cose inenarrabili (quello che ho detto è solo quel poco che mi disse, l'altro posso immaginarlo), lui non odiò il popolo tedesco. Riuscendo a parlare anche con la gente, potendo uscire dai campi di concentramento per lavorare e imparando a orecchio un pò di tedesco, mi disse che c'era tanta brava gente che li aiutò e che era contraria al regime, ma non si palesavano per paura.
Io ho imparato da lui che i popoli sono tutti uguali. Sono talvolta i loro governanti, che possono essere buoni o cattivi, a condurli verso l'inferno, a scannarsi gli uni con gli altri.
Il soldato Fritz era uguale al soldato Smith e al soldato Esposito.
Avevano tutti una mamma.
I loro capi, che Dio abbia uno sguardo su di loro, no.

Alberto











Cobite
00martedì 27 gennaio 2009 17:38


Sono testimonianze simili per chi similmente ha conosciuto l'inferno.

Grazie Alberto

Giancarlo
camilloextrema
00mercoledì 11 febbraio 2009 21:19
mio nonno
Mio nonno è morto a uasi 94 anni e poche volte ho potuto raccontare la sua storia. E' stato prigioniero degli Inglesi dal 1941 al 1946. Fu catturato durante uno dei primi attacchi che gli Italiani sferrarono in Egitto contro l' esercito inglese. Parlava sempre dell' inferiorità degli armamenti degli italiani e di come furono catturati a causa della vigliaccheria dei loro comandanti e dell' incapacità delle strategie a loro insegnate.
Quello che seguiva nei suoi racconti erano parole molto vaghe, poichè, essendo molto orgoglioso, non aveva assolutamente voglia di toccare l' argomento della sua sofferenza. Si divertiva, però, quando asseriva di non aver fatto la guerra, poichè non aveva ucciso nessuno e non aveva mai sparato al nemico. Ovviamente non sto a raccontare tutta la storia, ma volevo prendere spunto da quanto scritto da voi per dire che, nonostante fossero passati moltissimi anni, una volta, più o meno vent' anni fa, vedendo un documentario in TV dove si parlava della guerra in Africa, egli, per la prima volta in mia presenza si lasciò andare ad un commento non proprio lusinghiero nei confronti degli inglesi. Conoscendo la sua incredibile imparzialità, la cosa mi stupì molto. Ripensando all' accaduto la sera stessa capii che, nonostante egli non serbasse rancore nei confronti della guerra che per 5 anni lo aveva tolto alla sua famiglia ( quando partì dall' Italia mia madre aveva 3 anni), nel suo animo egli odiasse ancora i suoi carcerieri.
La guerra, in fondo, gli aveva insegnato solo ad odiare. Lui uomo di campagna dedito alla propria terra e alla sua famiglia, semplice e geniale come tutti quelli che allora vivevano della propria fatica, si era trovato a confrontarsi con un sentimento sconosciuto e fastidioso. Solo dopo un pò di tempo capii che non amava raccontare gli anni trascorsi nel deserto, non tanto per il fatto che fosse prigioniero costretto a regole dure, quanto, perchè, nel raccontarle, sarebbe emerso quell' astio nei confronti di quel popolo che lo aveva costretto a camminare da Tripoli fino a Gerusalemme. Egli voleva solo dimenticare.
Fu per me una formidabile lezione di vita.
Ciao nonno Costantino.

Claudio.
ELIPIOVEX
00mercoledì 11 febbraio 2009 22:20
Bellissima la frase con cui hai chiuso.
I nostri nonni hanno vissuto e patito la barbarie della guerra, per questo hanno amato tanto la pace.
Dovremmo ricominciare ad ascoltarli.
Cobite
00domenica 23 gennaio 2011 09:02

... nel giorno della memoria.
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