Piccola premessa.. ho letto molta poesia fin da bambina,era il modo in cui mio zio amante della bellezza (anche dialettica) e dell'arte innaffiava il mio giardino,definendo la poesia il prolungamento della vista cosi' come la musica lo è per l'udito.
Nonostante ciò..non amo molto certa poesia. Quella mediata ricerca di rime che fa combaciare amore con cuore non esprime nulla di esaltante. Ripetitive, monotone, banali. Diffido dei poeti professionisti, tessono ragnatele di frasi usate ed abusate, spargono miele stucchevole incolonnando meccanicamente frasi strappate ad un vocabolario fin troppo commercializzato. Mi soffermo a leggerle e quando arrivo in fondo l’unica forte sensazione che avverto è quella di aver perso tempo. Ma in fondo il senso della libertà è anche questo, scrivere quel che si vuole, leggere quel che si vuole.
La poesia, almeno per me è un’altra cosa. E’ il risultato visibile di un’esperienza vissuta, di una riflessione sentita, il resoconto vivo e palpitante di un’emozione, di una passione, di un pensiero, di una fantasia. Chi scrive e chi legge deve vivere dentro quelle parole, deve perdersi, deve sentire una qualche reazione anche a livello fisico, un brivido, un nodo alla gola, un sorriso, rabbia, eccitazione; deve sentire lo smarrimento di un istante, deve piombare in un luogo, precipitare in un ricordo, sospingersi in una speranza. E non importa la rima, non serve la metrica. Amo chi scrive di getto, ignorando la grammatica, fregandosene di un ipotetico lettore. Amo chi scrive per necessità, per un’invadente desiderio di farlo, per un impulso irrefrenabile. Cosa importa quale che sia l’argomento? Anche nell’immoralità e nella perdizione c’è poesia. Ce lo hanno dimostrato i “poeti maledetti” come il rabbioso Cecco Angiolieri o raffinati pensatori come Fabrizio De Andrè. La poesia non è cercare consensi o dissensi, non è cuore-amore o pelle-stelle ma è la vita, tutta, nel bene e nel male.
[Modificato da finfilla 01/02/2007 10.29]