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22/11/2004 00:36 | |
Sembra che mi voglia dimenticare di te, papà; non è così, sono talmente immersa dal rancore di un abbandono che do per scontata la tua presenza nella mia vita; eppure ci sei da sempre.
Avevi 25 anni, un ragazzo si direbbe oggi, quando hai conosciuto me e la mamma e ti sei innamorato di noi; lei non ti amava, non voleva lasciare il ricordo di quel mascalzone che mi aveva dato il suo cognome per poi abbandonarmi.
Non avresti mai potuto essere come lui; aveva modi raffinati e tu eri un agricoltore; aveva abiti costosi e cravatta e tu ti presentavi con la tuta; aveva una bell'auto e tu una Gilera; era un affabulatore e tu avevi l'animo semplice e puro.
Non l'aveva capito, lei, io si; ero piccolina e una sera, tu venivi sempre, ero semiaddormentata sulle tue ginocchia e ti ho detto: "Buonanotte, papà!".
Un enorme silenzio è calato in salotto, poi i nonni, gli zii e tu che avevate lacrimoni sulle guance e vi ho chiesto se vi eravate fatti male.
Fu la nonna, con la voce tremula, che mi prese in braccio e mi portò a letto e mi disse: "Vedrai, avrai anche tu il tuo papà, dovessi costringerla a suon di schiaffi quella ragazza che mi fa impazzire".
Tu hai dovuto lottare per potere sposare la mamma, eri giovane, eri benestante e intendevi portare in dote una moglie con una bimba; litigi, parole pesanti, musi lunghi, alla fine ho conosciuto tua madre, ci siamo amate subito; così com'è successo con tutta la tua famiglia.
No, non ti portavamo via, loro avevano acquisito una nuora e una bambola viva.
Il giorno del matrimonio la tua mamma mi vestì come una piccola principessa e mi preparò una dote degna di una regina.
Quanto bene ti ho voluto, papà; tu che, ancora oggi, chiedi alla mamma "Dai questi soldi alla bambina (io)" oppure mi porti dei fiori e mi dici "Ho pensato alla mia bambina" e piangi per il matrimonio sballato che ho avuto, e sorridi se capito all'improvviso a casa vostra e mangio con voi, quello che mangi tu, magari polenta e salame coi funghi.
Troppo hai compiuto per me, sono nei tuoi pensieri in ogni istante; la mamma ti parla delle mie malattie e tu vorresti urlare, guai a toccare la tua "bambina" e guai a toccare te, Angioletto* mio.
Ora che qualcosa di tremendo si sta adunando sopra il tuo capo mi sei ancora più caro, e mi ricordo di quando eri magro come un chiodo, ora, con i farmaci, sei ingrassato spropositamente, ma vai in Piazza sempre elegantissimo con uno dei tuoi Borsalini, unico vezzo insieme ai tuoi baffi argento curati. Passando lasci una scia soffocante di profumo che ti regalo io, raffinato e forte, come piace a te, e quando ti incontro ti chiedo "Scusi, bell'uomo è libero?" e a chi non mi conosce tu dici "Questa è la mia bambina, mia figlia!".
* mio padre si chiama Angelo, io lo chiamo Angioletto |