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Pianto nottuno

Ultimo Aggiornamento: 21/07/2015 20:35
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21/07/2015 20:35
 
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Mi sveglio di soprassalto, sbarrando gli occhi nel buio notturno che mi circonda e mi fa soffocare.
Non vedo nulla, ed allora tendo le orecchie con la speranza di individuare la causa di quel rumore soffocato eppure chiaramente udibile che ha spezzato il mio sonno.
Ascolto, ed ho paura.
Paura che quel suono sia stato prodotto dai passi lenti e strascicati di una delle guardie che vuole divertirsi con me, come succede ogni giorno, ormai.
Paura di sentire la sua risata stridula e gracchiante, o di udire il manganello battere con forza contro le sbarre della mia cella.
Ma c’è solo silenzio, intorno a me, tant’è che convinco la mia mente iperattiva che forse stava solo sognando.
Mi ridistendo, sperando di poter dormire senza essere nuovamente svegliato: ogni volta che accade, il peso della mia vita infelice mi preme sulle spalle, e non so per quanto ancora sarò in grado di riuscire a sorreggerlo.
Mi desto di nuovo.
Ho sentito quel rumore flebile e lontano un’altra volta.
Si ripete, ancora ed ancora, spezzando il silenzio notturno.
Capisco cos’è, capisco chi è che lo produce, e la consapevolezza di ciò mi colpisce come un martello dritto sulla testa.
È un uomo che piange.
Vorrei unirmi a lui, al suo dolore senza fine che dilaga tra i corridoi del nostro Inferno, disperdendosi come fumo nel vento tra le pareti che ci separano dalla libertà, dal mondo.
Dalla vita.
Non riesco più a sopportare quel suono, mi distrugge i timpani, mi fa impazzire.
Non chiedo molto, vorrei solo dormire, per non udire, per non pensare.
Mi infilo sotto le coperte del mio piccolo letto tremando e fremendo, mi rannicchio in posizione fetale e mi tappo le orecchie con le mani.
Non serve a nulla.
Lo odo ancora, sempre più forte.
Solo lui si sente nella quiete notturna.
Qualcosa di caldo mi sfiora le guance, veloce come un pensiero, facendomi sussultare.
Ne cerco la causa con la punta delle dita quasi con paura, e comprendo.
Sono lacrime.
Le mie.
Mi premo il cuscino sulla bocca per far sì che i miei singhiozzi non si uniscano a quelli che giungono dalla cella accanto a alla mia.
Ci riesco, forse.
O forse il mio dolore si è fuso col suo, divenendo un’unica voce di sofferenza.
Ma forse lui non è mai esistito, magari sono da solo, qui, in questa prigione triste e vuota.
E quei lamenti soffocati ed agonizzanti che mi hanno svegliato e mi hanno distrutto ancora di più l’anima erano solo la voce angosciata del mio cuore disperato.
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