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Sfogo.

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2014 16:03
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31/01/2014 23:57
 
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Non immagini quanto mi ci rivedo in quello che hai scritto.
Ci sarebbero tante cose da dire.
Mi sembra di capire che, ora, il tuo problema è il tuo sentirti fuori luogo all'università. Quello che ti consiglio è di rivalutare i tuoi obiettivi, quelli che ti hanno spinto ad iscriverti. Si può lavorare con grafici e conti senza farsi divorare l'anima. Le calcolatrici dovranno essere solo strumenti per riempirci lo stomaco, a pancia piena poi ci prenderemo ciò che vogliamo.

Ti dico questo perché anche io sono nella tua stessa condizione. Ho scelto la facoltà di economia solo per le prospettive di lavoro più rosee. Avrei voluto fare Filosofia, invece.
Ma il fatto è che se si mangia si può filosofare, se non si mangia non credo si possa farlo.
Dovrei essere l'ultimo a dare consigli visto che sono nella tua stessa situazione ma voglio comunque esporti il mio punto di vista.
Quello che mi tiene ancora all'uni è la possibilità di lavorare in futuro. Per me sarebbe uguale guadagnarmi da vivere facendo il muratore, il falegname, il manager, il commercialista o quant'altro. Per me non farebbe alcuna differenza. La mia realizzazione non è nel lavoro, il lavoro è solo uno strumento. Nel momento in cui fai diventare il tuo lavoro, la realizzazione del tuo essere sei diventato soltanto un altro ingranaggio.

C'è tempo per morire, un giorno tutti lasceremo questo posto e tu potrai avere la tua reincarnazione. Ma non ancora. Visto che siamo qui, in questo posto che è lontano anni luce dalla tua concezione di mondo straripante di poesia, facciamo in modo di non buttarci. Siamo molto rari.

Scintilla
Mi hanno sempre irritato tutti gli anni, le ore i
minuti che gli ho regalato lavorando come un mulo,
mi ha fatto seriamente male alla testa,
mi ha fatto male dentro, mi ha stordito
e mi ha fatto diventare pazzo - non riuscivo ad accettare
questi miei anni assassinati
eppure i miei compagni di lavoro non davano segni di
agonia, anzi molti di loro sembravano addirittura soddisfatti,
e vederli così mi faceva impazzire quasi quanto
quel lavoro monotono e insensato.

I lavoratori sottostavano,
il lavoro gli annientava, venivano
racconti col cucchiaino e buttati via.

Mi irritava ogni minuto, ogni minuto mentre veniva
mutilato
e nulla alleviava la noia.

Ho valutato l'ipotesi del suicidio.
Mi sono bevuto le poche ore di libertà.

Ho lavorato per decenni.

Ho vissuto con la peggiore specie di donne,
e loro hanno ucciso
quello che il lavoro non era riuscito ad uccidere.

Sapevo che stavo morendo.
Qualcosa dentro mi diceva: continua così, muori, spegniti,
diventa come loro, accettalo.
E poi qualcos'altro dentro diceva: no, salva un pezzetto
minuscolo.
Non importa che sia molto, basta solo una scintilla.
Una scintilla può incendiare un'intera
foresta.
Solo una scintilla.
Salvala.

Penso di esserci riuscito.
Sono fiero di esserci riuscito.
Che stramaledetta
fortuna.


Charles Bukowski
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