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Ultimo Aggiornamento: 31/12/2013 18:25
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31/12/2013 18:25
 
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3) HELP

Michael era assorto nei suoi pensieri, mentre scriveva.
Il sottofondo musicale era quello di Fabri Fibra che a lui piaceva molto e che gli permetteva di uscire da quel mondo quotidiano che gli andava stretto.
Oh, sapeva bene che i suoi genitori non erano molto entusiasti di questo attaccamento al pc, ma ormai aveva imparato a fregarsene. E se capitava l’occasione, riusciva anche a fingere di sentire quel che loro avevano da dirgli senza svelare che in realtà le risposte erano come le domande: sempre le stesse.
Certo, aveva la sua vita normale, e con la normalità dell’oggi portava avanti tutti gli impegni presi. A scuola se la cavava sufficientemente, anche se non capiva come mai gli insegnanti si lamentassero sempre di quel suo modo di fare. Dicevano che “aveva la testa fra le nuvole”, mentre lui in realtà si sentiva normale in quel suo mondo che aveva normalizzato secondo esigenze.
Non aveva confidato a nessuno quel che sentiva, perché sapeva che i pregiudizi e il comune senso di “normalità” avrebbero distrutto il suo mondo.
Con i compagni di scuola si trovava bene e aveva anche la ragazza, sua coetanea. Fra un anno sarebbero diventati tutti quanti maggiorenni e avrebbero potuto essere più liberi, più indipendenti. E soprattutto avrebbero potuto essere quel che si sentivano di essere.
Aveva sperimentato quasi per gioco la possibilità di essere altrove, di conoscere mille altre persone, di poter essere oggi bianco e domani nero, di poter esprimere i propri pensieri liberamente con persone che, più o meno giovani, fossero come lui: con la fame del sapere, del conoscere, dell’essere.
C’era rimasto male quando si era accorto che i suoi genitori lo controllavano. Lui doveva ancora trovare la sua strada e non sopportava l’intrusione di quei genitori che violavano la sua privacy, il suo mondo.

( I genitori continuavano a ripetergli che la vita reale non era quella che lui trovava tramite il pc. Continuavano a fare esempi su quel che per loro era vita reale. Lui sbuffava e dopo qualche minuto tornava in camera, sempre più demoralizzato per questa mancanza di dialogo. Più che altro erano sempre i soliti monologhi, noiosi e ripetitivi).

Il giorno prima gli era capitato di conoscere un suo coetaneo “con la testa fra le nuvole” e insieme avevano fantasticato sulle possibilità di essere sé stessi per il tramite del computer, visto che la “reale-realtà” non offre questa opportunità.
Avevano condiviso il pensiero che in questo spazio, in questo mondo, esiste solo la “reale-realtà” del sopruso, della violenza, della politica, dell’apparire. Loro non ci stavano, Michael non ci stava. Era, come lo è per la maggior parte degli adolescenti, un mondo fasullo. Ne aveva parlato anche con un prof (pecora nera dell’istituto, in quanto viveva in un mondo tutto suo), il quale da persona aveva condiviso ogni pensiero, mentre da adulto e in qualità di prof, l’aveva indirizzato ad uno psicologo.
Molte persone oggi hanno necessità di terapia psicologica. Anche i suoi genitori erano convinti che Michael avesse bisogno di psicoterapia. Eppure lui era sé stesso solo quando era al pc, quando non era costretto ad “apparire”.
Lui voleva pace, non guerra. Voleva gioia, non pianti. Voleva cercare, provare, trovare. E mai si sarebbe fermato finchè non avesse trovato ciò che andava cercando.
La sera, dopo la quotidiana cena condita da rimproveri a fin di bene, si rinchiudeva nella propria camera finchè non gli si chiudevano le palpebre. Il pc forniva un sacco di siti ove andare, ma la sua caccia non era finalizzata a trovare siti oseè, quanto piuttosto a trovare sé stesso e a trovare qualcuno che, come lui, volesse trovare sé stesso.
Ardua impresa, lo sapeva.
Ma la “conoscenza” veniva al primo posto, a qualsiasi costo.
Così si metteva al pc e, a seconda dell’umore e dello stato d’animo, decideva chi e come essere.
Una volta, dopo una lezione di scienze, aveva deciso che –qualora fosse rinato- sarebbe rinato rana. E da rana, la sera si era collegato al pc. Che si conosce di loro? Nulla, apparentemente. Eppure lui aveva imparato tanto, dalle rane. Così si cimentava nella sua libera interpretazione di rana, mentre era al pc. Era contento, quella sera. La rana non è mai sola e Michael, imprigionato nella mente dall’immagine e dalla vita di questo animaletto, “cercava”, quasi disperatamente e senza trovare alcunchè. Forse il destino, forse la caparbietà, l’avevano portato ad incontrare una ranocchia di nome Genoveffa. L’approccio non era stato facile, Genoveffa era semplice, umile e consapevole di avere un nome “da vecchia”, spesso deriso. Avevano parlato per due ore e durante tutto quel tempo, Michael era riuscito a far sentire Genoveffa una principessa. Lei si era lamentata per come era, per quell’essere semplice ed umile. Si era lamentata delle sue origini che la facevano sempre sentire fuori luogo. Michael, seppure provenisse da una famiglia normale, sentiva parecchia affinità con quella semplice rana dal nome Genoveffa… e soffriva, al pensiero che il suo nome sembrasse una beffa al mondo intero. Così le aveva detto che aveva un nome bellissimo, Genoveffa… in francese “Geneviève”. L’aveva scaldata, abbracciandola amichevolmente e lei si era rincuorata, fra le sue braccia. L’aveva tenuta al caldo, le aveva trasmesso sincero apprezzamento ed affetto. Non l’aveva derisa né abbandonata, in cerca di chissà quale principessa….
E da quella conoscenza virtuale fra rane era nata una sincera amicizia che arricchiva entrambi. Michael e Genoveffa non si sentivano più soli, perché entrambi avevano un’amicizia speciale che li legava in questa “anormalità” che periodicamente condividevano, al pc.
Un’altra volta a Michael era capitato di avere una lezione di musica, e non riuscendo a concentrarsi sul pezzo da suonare con la chitarra, si era demoralizzato.
Così era tornato a casa e la sera, quando pensava che i suoi genitori fossero a letto, si era collegato al pc immaginando di essere un perfetto musicista. Aveva incontrato così un’aspirante ballerina, che non aveva il dono della grazia e della fisicità. Il talento l’aveva nel cuore, nell’anima… ma non nel corpo.
Entrambi avevano lasciato viaggiare i propri sogni, le proprie aspirazioni dilettantistiche di mostrare con la musica e con il ballo la propria genialità, il proprio intelletto, le proprie doti, la propria umanità.
Entrambi avevano dato libero sfogo alle proprie frustrazioni e al proprio essere, dimostrando che si può essere ballerini anche se non si ha un fisico da ballerina, perché è l’anima quella che fa la differenza. E che si può essere ottimi musicisti anche se le corde della chitarra non vibrano e non fanno vibrare l’aria, ma il cuore di chi suona e gli orecchi di chi sa ascoltare.

(Nulla da fare, i genitori e gli insegnanti non capiscono….)

Nei suoi collegamenti c’era principalmente la sua ragazza, di nome Gelsomina. A lui piaceva molto e in lei riscontrava tutte le caratteristiche appartenenti alla pianta del gelsomino. Al suo pari, era di una bellezza incredibile e non necessitava di particolari cure, di ore ed ore davanti allo specchio con mille trucchi a mascherare la naturale bellezza. I suoi genitori le avevano dato quel nome in quanto significava “dono di Dio” e il suo animo era buono e gentile.
A diciassette anni era però consapevole di desiderare di avere il ragazzo, al pari delle sue coetanee. Non voleva “un ragazzo”, ma “il ragazzo”. Si guardava attorno spesso, cercando nella compagnia dei suoi amici e conoscenti, qualcuno di speciale.
E qualcuno di speciale l’aveva trovato, si chiamava Michael. Non era il classico “belloccio tutto fisico e niente cervello” ma, al contrario, era un ragazzo che si distingueva per quegli occhiali da vista che portava con disinvoltura, per l’altezza un po’ superiore alla media, per quel fisico asciutto che da adulto l’avrebbe reso ancor più bello. Gelsomina portava con orgoglio il proprio nome, chiamato anche “fiore dell’amore”. Nei suoi diciassette anni sognava l’amore, due braccia che la stringessero, labbra che la baciassero.
Era seria ma spiritosa, arguta ma ingenua, sincera e riservata.
Più facile ridere e scherzare, piuttosto che rivelare a Michael il proprio interesse. Non perdeva occasione per stargli accanto anche quando bisognava fare una ricerca scolastica in internet, ed ogni istante passato con lui la rendeva ancor più bella. Erano stati i genitori di Michael a fargli notare che, a loro parere, quella bella e brava ragazza nutriva un debole per lui.
Aveva così cercato mille altre scuse per invitarla a casa propria, chiudendosi insieme in camera per ore ascoltando musica e lasciando volare i reciproci sogni.
Un pomeriggio la mamma di Michael, stanca di saperli chiusi in camera, aveva invitato il figlio ad andare in discarica per consegnare i vuoti di bottiglia. Lui non voleva saperne di rinunciare a quel bellissimo momento passato ad ascoltare musica e a parlare con quella dolcissima ragazza, ed era stata lei ad insistere affinchè si recassero alla discarica. E così, mentre camminavano accanto, lui le cantava canzoni rap mentre lei gli rispondeva con canzoni romantiche. Era un gioco arrivato da sé, in modo spontaneo che li aveva avvicinati tantissimo. Così, mentre gettavano i vuoti di bottiglia nella campana del vetro, lei si era sporta per dargli un bacio sulla guancia. Michael si era spostato col viso, trovandosi così a sentire due leggerissime labbra accarezzare le sue.
Erano tornati a casa mano nella mano, senza proferir parola ma sentendo il cuore battere forte.
Da quel momento, si erano entrambi iscritti in Twitter, passando ore fingendo di studiare e conversando del mondo intero.
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