Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.

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ALLA RICERCA DEL SACRO GRAAL

  • Messaggi
  • fiordineve
    00 23/01/2009 01:31
    ALLA RICERCA DEL SACRO GRAAL


    Romanzo fantasioso scritto a più mani


    A seguire vengono postati i capitoli, ognuno dei quali reca indicato all'inizio l'autore.




    Gio Girisper

    1.

    Il mare è in burrasca oggi a Genova, piove fitto e tira vento. Quattro ragazze molto belle, tutte bionde e assai poco vestite stanno tremando mentre aspettano il treno. Si sono passate la voce la sera prima e si sono date appuntamento qui. Il treno arriva quasi puntuale, scende la ragazza che aspettavano. Non l'avevano mai vista prima di adesso eppure appena la vedono avanzare sul marciapiede 7 capiscono che è lei: è mora, con una maglietta corta rossa, blue jeans. Le vanno incontro. Sono di fronte.
    - Ragazze, siete voi? Ma che freddo che fa! A Roma si scoppiava dal caldo quando sono partita. Io sono Gio Girisper, ma chiamatemi Gio’.
    - Io Lucia Barbara Zadora, ma chiamami pure Luba.
    - Io sono Esmeraldas, ma chiamami pure Esme.
    - Io sono Esmeraldinhas, sua sorella più piccola, puoi chiamarmi Raldy.
    - Io sono Lola Tekila, chiamami pure Lola.

    Decidono che è meglio raggiungere un luogo al coperto, è quasi sera. Vanno a chiudersi al "Free Ba "”, dove spesso le quattro amiche si ritrovano, i prezzi sono onesti, non si mangia male e si ascolta buona musica. Gio’ si guarda intorno: davvero un bel locale, con un'intera parete a specchio sulla sinistra rispetto all’entrata. C'è anche un pianista, tutto vestito di nero, biondo con gli occhi azzurri, niente male davvero. Peccato abbia un'aria piuttosto malinconica e uno sguardo che sembra di ghiaccio.
    - Ragazze, ma come mai la musica è irradiata da altoparlanti? C'è un pianista
    - No, quello è Jovall, il nuovo pianista. Lui non suona.
    La interrompe Luba. Si tratterà di un pianista ornamentale, pensa Gio. Interviene Esme:
    - Amiche, moviamocisi al sodo: d’altre?

    Gio rimane un attimo perplessa, poi le spiegano che Esme a volte si esprime in maniera molto personale, per cui bisogna interpretare quel che dice. Ha chiesto notizie delle altre ragazze coinvolte nella vicenda. Risponde Gio, che ha organizzato la cosa.
    - Non sono riuscita ad avvisare personalmente Prisca, Kate e Philia, c’era troppo poco tempo, ma ho lasciato un messaggio a ciascuna di loro. Fiore e Blondie dovrebbere già essere state avvisate.
    - Da chi?
    - Dal Barone.
    Le quattro ragazze si guardano perplesse. Raldy rompe gli indugi:
    - Di quale Barone parli?
    - Del legittimo proprietario del manoscritto. E’ stato lui a mettermi al corrente di tutto e a darmi appuntamento qui a Genova per Domenica. Io ho pensato che non mi andava di muovermi da sola, e conoscendo voi quattro, già sul posto, ho pensato di coinvolgervi. Poi mi sono detta che era bene rendere partecipi tutte le amiche del Club di questa vicenda.
    - E gli amici?
    - Il Barone ha detto che li coinvolgerà, o ci penserà lui direttamente o lo faremo noi a suo tempo. Ognuno di noi avrà un suo compito, mentre il Barone si muoverà con alcuni amici suoi. Pare che ci sarà da guadagnarci parecchio, non ho capito come. Forse si tratta di trovare un tesoro, oppure è lo stesso manoscritto che ha un valore immenso.
    - Quindi tu conosci il Barone, gli hai parlato…
    - No.
    - Noooooo???

    Le quattro bionde genovesine hanno urlato l’interrogativo in coro, attirando l’attenzione di tutti per qualche momento. Smettono di parlare e danno fondo alle loro cinque birre chiare. Riprende Gio:
    - No che non lo conosco e nemmeno gli ho parlato.
    - Ma…
    - L’ho semplicemente sognato e nemmeno in sogno l’ho visto: ho solo sentito la sua voce attraverso una parete della casa di campagna, a Genzano.
    - Non crederai mica sul serio a queste cose?
    - Ai sogni premonitori e ad altre simili stranezze? No, non ci credo. Ma a questo sì che ci credo: l’ho trovato esattamente dove il Barone ha detto che si trovava, cioè dietro la parete da cui mi parlava. Le ho dato un paio di martellate, si è aperto un buco ed ecco qui…

    Così dicendo Gio estrae dal borsone un manoscritto di alcune pagine rilegate, evidentemente molto antico, e lo appoggia sul tavolino davanti alle amiche, rimaste a bocca aperta per lo stupore. In quel mentre un uomo con i capelli rossi seduto al tavolino vicino, che non visto ha seguito con attenzione la scena e i discorsi delle ragazze, esce di gran fretta dal locale, come se avesse premura di avvisare qualcuno, di chiamare qualcuno. Gio continua il discorso.
    - Vi spiegherò tutto per bene, ma spostiamoci al tavolino di fronte, vicino alla finestra, così parlando si può guardare il cielo colorato dal tramonto.




    Walko

    2.

    Nell'angolo, davanti alla specchiera, il pianista non si è accorto di nulla (non è vero: lui vede tutto riflesso nello specchio e non importa se è un mondo all'incontrario).
    E' rimasto fermo col pensiero, alle frasi delle ragazze. Ripensa a quel guardare il cielo e si dice che lui invece non lo guarda, perché ogni volta il cielo gli piove dentro agli occhi; tiene la testa chinata, lo sguardo sopra ai tasti neri e bianchi (e ogni tanto allo specchio), le mani sui ginocchi. Immobile.
    Ma a cosa cazzo serve un pianista che non suona, che certamente non suonerà mai più? Forse a mantenere lì il vecchio cartello: "non sparate sul pianista": fanno parte dell'arredamento, tutti e due.
    Si spalanca la porta, entra un uomo alto e grosso, ha grandi baffi scuri e gli occhi piccoli e spenti, striscia dentro (i vermi strisciano). Si alza in posizione eretta, si guarda intorno, vede gli avventori, vede le cinque ragazze, vede il pianista. Una smorfia gli deturpa il viso, una smorfia di disprezzo, di disgusto. Non parla (i vermi non parlano), ma dalla bocca gli esce una nuvoletta e nel fumetto è scritto confusamente di ricchezze da conquistare, di amicizie e di amori da distruggere, di nuovo odio da instaurare. Cosa unisce gli animi? Forse la musica. E allora che si interrompa la musica, che le regole si infrangano, che il sangue scorra, infine. Si infila una mano sotto la giacca, s'intravvede una fondina di pistola.
    Il pianista non si volta nemmeno, lentamente alza la mano destra, è armata, ha una pistola: guarda allo specchio, appoggia la mano armata sulla spalla, rovescia un colpo, un colpo solo e torna a fissare i tasti neri e bianchi, il bicchiere è appoggiato sul pianoforte, dentro un ricordo di vaudeville, dolceamaro.
    L'omone barcolla, cade lungo disteso in mezzo al bar. Due camerieri in mezzemaniche lo prendono ognuno per un piede e lo trascinano fuori, disegnando una piccola striscia rossa sul pavimento. Le ragazze lo vedono passare. Il morto ha un'espressione un po' stupita in faccia, e un forellino proprio in mezzo agli occhi.
    Il pianista nell'angolo tiene la testa chinata, lo sguardo sopra ai tasti neri e bianchi (e ogni tanto allo specchio), le mani sui ginocchi. Immobile.
    Ma a cosa cazzo serve un pianista che non suona, che certamente non suonerà mai più?
    Bhè, a qualche cosa serve.



    Gio Girisper

    3.

    La sera successiva le ragazze si incontrano a casa delle sorelle Esmeralde, dove finalmente Gio potrà spiegare nei dettagli i termini della misteriosa vicenda, senza altri contrattempi e sparatorie. E fortuna che non si sono trovate al Free Bar, ché sarebbero rimaste coinvolte in un altro guazzabuglio!
    Ignare di tutto, le ragazze si accordano ascoltando Gio che spiega fin dove può spiegare: dovranno incontrare il Barone e una persona che prenderà in consegna il manoscritto, ma che al momento non si sa chi è; da quel momento anche loro faranno parte attiva della vicenda, che al momento non si sa cosa sia, ma è certo che se tutto andrà a buon fine anche loro ne avranno un bel guadagno. Esme, la più scettica del gruppo, avanza qualche perplessità:
    - Non sarà tutto un trucco? Chi ci assicura che il manoscritto appartenga al Barone? E se questi fosse una specie di paragnosta che è venuto a sapere dell’esistenza del prezioso documento e se ne vuole appropriare? Magari Gio è stata ipnotizzata a distanza, da qui il sogno e tutto il resto.
    - Ma se fosse così perché coinvolgere altre persone, perché inviarmi qui a Genova?
    - Anche questo è vero. Mistero! Ci vorrebbe Sagitt, lui è un esperto in misteri. L’unica cosa da farsi è aspettare che il misterioso Barone si faccia vivo, preferibilmente faccia a faccia e non parlando in sogno protetto alla vista da una parete.

    Poche ore prima, ad insaputa delle ragazze, al Free Bar era successo un altro fatto eclatante. Prima dell’ora di cena era entrato un uomo, mai visto prima da quelle parti: è alto, magro, giovane ma già con i capelli tutti grigi, la barba di una settimana, lo sguardo un po’ trasognato e quasi triste. Ha chiesto un aperitivo al banco. Nel frattempo Jovall il pianista ha cominciato a suonare il pianoforte, forse per provare qualche pezzo per la serata. E’ come se per l’uomo alto e magro con i capelli grigi questo fosse un segnale. Trangugia d’un fiato l’aperitivo poi si dirige lentamente verso l’uscita, si ferma sulla porta e si volta di scatto, e allora tutti si accorgono che tra le mani gli è comparsa una pistola, una vecchia Colt a tamburo. Spara tre colpi in rapida sequenza alla schiena del pianista, che smette di suonare e si piega sul fianco destro. Tra le grida disperate e isteriche degli avventori lo sconosciuto esce dal bar con aria tranquilla, imperturbabile. Nessuno ha osato inseguirlo. Il barista ha telefonato alla polizia.



    Walko

    4.

    La polizia ha trovato l'assassino, l'uomo che ha ucciso il pianista: si chiama Zeno, è un emigrante: puliva i vetri alle Torri Gemelle di New York, ora è disoccupato. L'hanno preso mentre passeggiava in un'aiuola del centro, stava raccogliendo un fiore. Gli hanno puntato mille fucili, l'hanno incatenato, l'hanno portato alla Centrale, lui e i suoi tre amici, la sua banda: un ragazzo con le ali, che non ha smesso di ridere nemmeno per un minuto durante tutto l'interrogatorio; un uomo in mantello, con in testa un alto cilindro, con un bastone dal pomo d'oro massiccio e una lama accuminata in punta, che si è qualificato come il Barone Occlavius e ha detto di essere alla ricerca di chi l'ha assassinato più di cento anni fa; ed infine... accidenti: il pianista!
    Il Commissario è disorientato: ma non era lui la vittima dell'efferato delitto? E allora che ci fa qui, insieme al suo assassino, e ai suoi complici, l'angelo e il fantasma del Barone assassinato? No, gli spiega il pianista, però guardi, al momento non sono più l’unico pianista; vede, il fatto è tutto da riferirsi allo specchio, quello è tutto un altro mondo, capisce? Lui, Zeno, non sapeva che solo il proprietario dell’immagine può uccidere la propria immagine.
    Il Commissario suda, l'angelo ride; il Barone con la punta del bastone estrae il foglio del verbale dalla macchina da scrivere e con mossa elegante lo deposita nel cestino della carta straccia; l'agente Percivalle, il verbalizzatore, dorme profondamente con la testa reclinata all'indietro e sogna di cavalcare nella brughiera sopra ad un cavallo bianco, alla ricerca del Graal; l' “uomo dei vetri” mette un fiorellino all'occhiello della giacca del Commissario che suda sempre di più e allunga il braccio, accende il ventilatore, estrae una sigaretta da un vecchio pacchetto di Marechal di contrabbando e chiede all'angelo se ha per caso da accendere, ma l'angelo gli dice lei non fuma, ricorda Commissario?
    - E' vero, per la miseria, io non fumo! Il pianista non è morto, l'uomo dei vetri ha sparato nello specchio, l'omone coi baffi è stato ucciso dal pianista per legittima difesa, il fatto non costituisce reato: il caso è chiuso e archiviato. Ancora due domande: voi conoscete una ragazza venuta da Roma che si fa chiamare Gio?

    Certo, gli dice il pianista, e la seconda domanda?
    Il Commissario non se la ricorda, suda troppo. Dentro fa troppo caldo, fuori c'è troppa notte, troppo mare, troppo vento, troppa Genova, troppi misteri, troppe consuetudini: meglio far finta di niente.
    I quattro personaggi se ne vanno nella notte. Il Commissario salta su un cavallo e si lancia nella brughiera, all'inseguimento dell'agente verbalizzatore.



    Gio Girisper

    5.

    Le ragazze passano la notte a cercare di comprendere il testo del manoscritto, ma nemmeno Esme, specialista nella scomposizione e ricomposizione della sintassi non riesce a capirci un signor tubo di niente. Si mettono in contatto con le cinque ragazze mancanti all’appello. Solo Prisca aveva già avuto qualche segnale misterioso, che stentava ad interpretare. Si accordano per trovarsi tutte a Genova: Kate e Prisca arriveranno già domani; Philia, Fiore e Blondie si uniranno a loro poco dopo. Al momento ciò che attira l’attenzione delle ragazze è la questione del pianista Jovall. Hanno letto insieme il giornale da cui si capisce che il pianista è stato ucciso nel bar da uno sconosciuto di nome Zeno, che è stato arrestato ma subito rilasciato grazie alla decisiva testimonianza… dell’assassinato. Avrebbero altro a cui pensare: la questione del manoscritto, l’attesa apparizione del Barone. Decidono che aspetteranno che sia lui a farsi avanti, anche nel caso fossero loro a rintracciarlo per prime. Ma dopo, nei loro discorsi, torna in primo piano il mistero del pianista del Free Bar, assassinato e vivo nel medesimo tempo. Non sanno dirsi perché, ma sentono che in qualche misteriosa misura questa vicenda interessa anche loro, forse è intrecciata con la stessa vicenda del manoscritto. Fra questi dubbi e queste domande irrisolte trascorre il giorno intero, fino a sera.


    cpntinua



    [Modificato da fiordineve 23/01/2009 01:31]
  • fiordineve
    00 23/01/2009 01:36
    ALLA RICERCA DEL SACRO GRAAL

    Walko

    6.

    La chiave del mistero può trovarsi soltanto nel locale, dove il pianista si esibisce in silenzio tutte le sere. All'improvviso Luba ha un'illuminazione:
    - Ragazze! Avete letto i giornali? Quando hanno sparato al pianista cosa stava facendo?
    - Cosa faceva? Bhè, stava suonando. Normale per un pianista…
    - Ecco il punto: io già lo conoscevo, non riesco ancora a mettere insieme i pezzi nella memoria, ma sono sicura che abbiamo avuto una certa confidenza un po’ di tempo fa: io lo so, lui non suona, non suona più, non lo farà mai più!

    E adesso, si chiedono le ragazze, cos'è questo altro mistero? Bisogna venirne a capo. Inutile indugiare, si va diritte al locale.
    Il pianista sta suonando pezzi su richiesta, però che strano: ogni volta che gli richiedono un brano lui dice "ok" e poi ne suona un altro. Al tavolino vicino a quello delle ragazze sono seduti un uomo alto e magro, non vecchio sebbene con i capelli tutti grigi, e un ragazzo con le ali. L'uomo alto sorseggia lentamente una sambuca.
    - Non capirò mai la musica, peccato. Però questa mi sembra una ben strana musica. Cosa ne dici, Angelo?
    - Certo che è strana, Zeno: questo pianista suona tutti i pezzi al contrario. Adesso sta suonando "Smokin' get in your eyes", ma partendo dal finale, con tutte le note al rovescio.

    Alle ragazze del Club non è sfuggito lo scambio di battute dei due singolari sconosciuti; il mistero si infittisce, ma per il momento non è possibile agire, c'è troppa gente nel locale stasera.
    La porta si apre, da sola, come se qualcuno avesse usato un telecomando a distanza; dopo qualche secondo entra un uomo in abiti desueti, ma eleganti: cappello a larghe falde, sciarpa, mantello, tutto rigorosamente nero, un bastone dal pomo d'oro massiccio. Si dirige subito verso il tavolino dell'uomo alto e dell'angelo.
    - Scusate il ritardo amici.
    - Benvenuto Barone Occlavius.
    Le cinque ragazze si scambiano un'occhiata d'intesa e prestano attenzione a quel che dice il Barone.
    - Ho fatto un giro per Genova. Mancavo da questa città da ben più di centocinquant'anni, allora faceva parte di un altro Stato, ci si poteva venire solo con il passaporto, ma io avevo un lasciapassare diplomatico e potevo muovermi liberamente. Non avrei mai pensato di tornare qui, per rientrare in possesso del prezioso manoscritto.
    Altra occhiata d'intesa e colpi di gomito delle ragazze. Il Barone continua.
    – Ma prima c’è da risolvere l’altra questione. A proposito, Jovall quando arriva? E già quasi mezzanotte.

    Jovall? Ma non è il pianista? E’ lì, sta suonando. Le ragazze hanno un attimo di disorientamento, ma si riprendono subito: è il caso di stare bene attente a quel che sta per succedere. Ordinano cinque bibite alla menta.
    In quell'istante la porta del locale si apre, ed entra Jovall. Il pianista, quello seduto al pianoforte, si blocca di colpo, e si gira verso di lui, si alza mentre il nuovo arrivato gli va incontro; a un certo punto si trovano faccia a faccia, si guardano negli occhi, in silenzio. Sono identici, come due gocce d'acqua.
    Esmeraldas ha un sussulto.
    - Ragazze, guardate! Guardate lo specchio!

    Le ragazze puntano il loro sguardo sulla grande parete a specchio che riflette il locale, il banco, gli avventori, i tavolini...ma i due pianisti, i due Jovall...nello specchio non ci sono!
    Il locale intero si ferma, tutti tacciono, l'atmosfera è diventata improvvisamente tesa e sospesa, il barman dietro al banco si è fermato mentre asciugava un bicchiere e resta immobile, il bicchiere in una mano, un tovagliolo nell'altra, la sigaretta in bocca con una lunga striscia di cenere pendente.
    Il pianista che suonava rompe per primo il silenzio.
    - Chi sei?
    - Sai benissimo chi sono: io sono Jovall. Tu sei la mia immagine fuggita dallo specchio, e lì devi tornare.
    - Sei pazzo! Tu sei solo un'immagine, io sono il vero Jovall!
    - Il vero Jovall non suona, non suonerà mai più.
    - Non è vero! Jovall è un pianista, ed i pianisti suonano. Tu non lo fai perché sei solo un'immagine uscita dallo specchio e negli specchi non esiste musica, ma solo immagini mute.

    A questo punto l'angelo si alza e si avvicina ai due pianisti speculari, nelle sue mani è apparso un mazzo di carte.
    - C'è un solo modo per venire a capo di questa vicenda: queste carte sono molto speciali, non per niente si tratta di carte angeliche. E' un mazzo da quaranta, ci sono quattro semi, non ci sono figure né jolly, ma solo punti da uno a dieci. I semi sono divisi in scala di valori: il primo seme è quello delle stelle, il secondo delle onde, il terzo degli scudi e il quarto delle ombre, per cui la carta più alta del mazzo è il dieci di stelle e la più bassa è l'uno d'ombre. Sedete a un tavolino: alzerete una carta: quello dei due che avrà la carta più alta sarà senza alcun dubbio il vero Jovall. L'altro dovrà morire in questa dimensione, e tornerà nello specchio.

    I due pianisti, senza parlare, sempre fissandosi negli occhi, siedono a un tavolino. Il bar è sprofondato nel più totale silenzio. L'angelo mischia le carte, le appoggia sul tavolino dei suoi due amici: il Barone taglia il mazzo. A questo punto l'angelo le mischia un'ultima volta, ci soffia sopra e le allarga sul tavolino dei due pianisti, che ne prendono una a testa. Entrambi i pianisti guardano la propria carta e sorridono, fissandosi in gesto di sfida.
    Il pianista che suona gira la sua carta. E’ il Dieci di stelle!
    Un "ooooh" riempie il locale: le ragazze si stringono vicine, ognuna tenendo stretto il braccio di un'altra; il Barone sorseggia un wiskhy & soda, con un sorriso leggero, l'uomo dei vetri si guarda le unghie e ci soffia, l'angelo osserva in silenzio, il barman ha posato il bicchiere e telefona alla polizia, parlando sottovoce dietro la macchina del caffè.
    Il pianista che non suona gira la sua carta. E’ un Undici di stelle!
    A questo punto il pianista che suona si alza di scatto dalla sedia facendola cadere alle sue spalle e urlando forte "è un inganno, l’Undici non esiste! Hai barato!" Poi indietreggia e porta la mano alla tasca sinistra del giubbotto da dove spunta il calcio di una rivoltella, ma non arriva nemmeno a toccarla. E' risuonato uno sparo nel silenzio.
    Il pianista che suona ora ha uno sguardo sorpreso, un sottile rigagnolo di sangue scende sui due lati del naso fino agli angoli della bocca, da un piccolo foro apparso all’improvviso proprio in mezzo ai suoi occhi. Cade in ginocchio e subito dopo si accascia a terra su un fianco, restando lì, come rannicchiato sul pavimento del locale, mentre il Barone va a sedersi al pianoforte e comincia a suonare un rag-time di Milhaud.
    Il pianista che non suona, ancora seduto al tavolino, rinfodera la pistola, dopo avere soffiato nella canna; le cinque ragazze sorridono e bevono le loro bibite alla menta, l'uomo dei vetri gira un dito intorno all'orlo di un bicchiere facendolo fischiare leggermente, l'angelo ha raccolto le carte, si è seduto di fronte al pianista ed incomincia a fare un solitario, il barman si era gettato in terra e adesso la sua testa riemerge dietro al banco. La parete a specchio riflette tutta la scena, compreso Jovall seduto al tavolino; sul pavimento non c'è più nessuno: il pianista che suonava si è dissolto nel nulla.
    Proprio in quel momento si spalanca la porta del locale ed entra un agente di polizia, con la pistola spianata: è una vecchia conoscenza, il verbalizzatore del Commissariato.
    - Fermi tutti! Sono l’agente Percivalle del Distretto di Polizia! Cosa succede qui?

    Tutti si voltano a guardarlo stupiti, tranne il barman, tornato in immersione dietro al banco.
    Il poliziotto si guarda tutto all’intorno, in silenzio. Poi mette via la pistola e si avvicina al banco.
    - Un caffè, veloce! Ho lasciato fuori il cavallo parcheggiato in doppia fila.




  • fiordineve
    00 23/01/2009 01:50
    Gio Girisper

    7.

    Da questo punto, fissati i termini cronachistici della vicenda, si può raccontare al passato remoto, come si fa nei romanzi di tutto rispetto. Capiterà di tornare all’uso dell’indicativo presente nei punti in cui la narrazione lo richiederà, per garantire un maggiore effetto di suspence.
    Le ragazze lasciarono il bar con le idee un po’ confuse, ma ormai era chiaro che il pianista che suonava non era altro che l’immagine uscita dallo specchio, che ora vi era rientrata. Come mai era successo questo? Questo non lo potevano capire. Forse qualche forza misteriosa aveva tentato di sostituire il pianista con una copia, forse l’origine di questa “forza” era la stessa che aveva mandato l’uomo coi baffi ad eliminare il pianista, che lo aveva preceduto. Ma qual era il ruolo del pianista e cosa aveva a che fare con loro? Nemmeno Luba, che pure era sicura di averlo già conosciuto, non sapeva rispondere a questa domanda, anche perché non riusciva a ricordare dove e quando aveva effettivamente avuto a che fare con lui.
    Intorno a mezzogiorno andarono alla stazione ad accogliere Kate e Prisca, che arrivarono insieme. Erano anche loro belle e bionde. Gio ebbe un momento di crisi:
    - Ehi, ma tutte bionde siete? Sono io l’unica mora?

    Non riuscirono a convincerla a tingersi i capelli: lo aveva fatto anni prima, ma bionda non si era piaciuta ed era subito tornata al suo colore naturale.
    Per prima cosa misero al corrente Prisca e Kate delle ultime novità, poi decisero all’unanimità di affidare il manoscritto a Kate, la veterana del gruppo, che lo depose nella sua capiente borsetta. A questo punto Gio propose di prendersi una giornata di riposo e andarsi a divertire, magari trovando sette bei ragazzi per passarci piacevolmente insieme la serata e magari anche la notte. Si opposero fermamente Prisca, Esme e Raldy che erano già fidanzate e Lola che era troppo timida per buttarsi a fare certe cose; le stesse Luba e Kate avanzavano qualche dubbio: va bene passarci la serata, ma la notte…
    - E va bene – tagliò corto Gio – allora potremmo trovare sette bei ragazzi per passarci la serata a cena e poi magari in qualche locale. Poi voi ve ne andate a dormire e io me li porto a casa tutti e sette per passarci la notte.

    Esme a quel punto le versò nell’ampia scollatura sul retro della maglietta una bottiglietta di mezzo litro d’acqua minerale gelata, la quale fece l’effetto di sbollire un po’ Gio che già stava visibilmente partendo per la tangente. La saggia Luba prese in pugno la situazione:
    - Ragazze, non possiamo permetterci il lusso di perdere il poco tempo che abbiamo a disposizione in divertimenti. Bisogna fare qualche sacrificio. Ricordiamoci che abbiamo preso tutte un periodo di ferie o di aspettativa per poter seguire per bene questa vicenda, che mi pare non sia ancora del tutto chiara. Visto che nella questione è stato coinvolto il Club, sebbene in questa prima fase ci occuperemo di tutto noi ragazze, io direi di preallarmare anche i nostri amici: Conroy Lenn, Zublinky, Sagitt, Faber, Boris e Cincinnatus. Se come mi è parso di capire, da quanto Gio ha raccontato del suo sogno, ci sarà da guadagnare qualcosa da questa storia, è giusto che si divida amichevolmente fra tutti i soci fondatori del Club di Libere Parole, in parti uguali, ma è anche giusto che ciascuno dia il proprio contributo. Giusto?

    Le sei amiche annuirono convinte. Se poi qualche amico si fosse aggregato, come Roby, Bard, Climby, Ninni e altri ancora, tanto meglio. Cominciarono a fantasticare intorno all’idea di fare un colpo grosso tutti insieme, mettendo le mani su qualche tesoro di incommensurabile valore, così da poter d’ora in poi vivere di rendita dedicandosi interamente alla scrittura, alla lettura, alla musica, ai viaggi, al divertimento e al loro circolo culturale: il Club di Libere Parole. E comunque erano d’accordo nel trovare avvincente essere tutte insieme coinvolte in questa avventura dai contorni misteriosi.
    Passarono il pomeriggio girando per Genova, scesero fino al mare e poi tornarono in città, passeggiando per i vicoli interni, i famosi e caratteristici “caruggi”, continuando a fantasticare e a discutere della vicenda, senza quasi accorgersi che nel frattempo erano calate le ombre della sera. Era ormai tarda notte quando, infilandosi a caso in un'altra viuzza di quel labirinto che è il centro antico di Genova, a Lola venne in mente una cosa.
    - Ragazze, ma non avete notato anche voi una certa rassomiglianza fra il pianista e il Barone? Pur così diversi nel vestire e nel portamento, pur essendo l’uno gioviale e con un’aria serena e ironica, quanto l’altro piuttosto accigliato e con un’aria severa e glaciale, si direbbe abbiano lo stesso viso!
    - E’ vero!
    Commentarono le altre quattro ragazze che li avevano visti. Tra l’altro, pur apparendo ad una prima impressione l’uno avanti con gli anni, il Barone, e l’altro ancora giovane, il pianista, a ben pensarci nel guardarli in volto potevano in realtà essere persino coetanei. Prisca, non potendo aggiungere altro non avendoli ancora visti di persona, avanzò il dubbio che potessero essere fratelli, forse addirittura gemelli. Kate, che a sua volta ancora non li conosceva, fece il suo commento in forma più scettica:
    - Con tutte queste storie che mi avete raccontato di specchi e di doppioni, di gente che ora c’è ed ora sparisce nel nulla, non sarà poi che il Barone e il pianista Jovall siano la stessa persona?
    - Impossibile: li abbiamo visti insieme, erano presenti nel bar contemporaneamente.
    - Allora, chissà – replicò Kate – forse questo pianista silenzioso e alquanto antipatico la sa lunga davvero su tutta la questione del manoscritto e magari questo sedicente Barone che prima compare in sogno, poi quando vi incontra non si fa riconoscere e non vi rivolge nemmeno una parola e uno sguardo, non è altro che la sua controfigura!




    Walko

    8.

    - La controfigura di chi?
    Guardarono in alto, seguendo il suono della voce. In piedi su un camino, illuminato nel buio pesto da una luce di fuoco alle sue spalle che proveniva da dove non si sa, c'era proprio lui: il Barone, con il mantello nero violentemente scosso dal vento. E' interessante notare che stranamente a Genova quella sera non c'era un filo d'aria.
    - La controfigura di chi?
    - Scusi la nostra amica Kate, signor Barone - fu Luba ad intervenire - è andata un po' in confusione con la storia di un certo manoscritto: ha pensato che se lei ne è l'autore forse si tratta di un'ennesima controfigura del pianista, che poi nei fatti non è più pianista, bensì scrittore.
    - Da perderci la ragione in tutta questa storia, poffare...
    Detto questo d'un balzo saltò giù dal tetto, atterrando con la leggerezza di un felino davanti alle ragazze del Club.
    - Permettete che mi presenti: sono il Barone Occlavius Di Curtius-Pignus-Telium. Non sono l'autore del manoscritto, bensì il suo legittimo proprietario. Lo acquistai il giorno stesso del mio omicidio, non feci in tempo a leggerlo e andò perduto; rintracciato casualmente a Bologna, acquistato ad un'asta da un amico fidato e messo al sicuro all’interno di un pianoforte, stavo ormai finalmente per rientrarne in possesso, quando venne misteriosamente trafugato.
    - Da chi?
    – Non si sa. Di sicuro si sa che alcuni anni fa, durante i lavori di ristrutturazione, finì murato nella casa di Genzano, dietro la parete dove Gio lo ha recuperato, dietro mia indicazione.
    - Ma lei – interloquì Raldy – come ha saputo che si trovava lì?
    - L’ho saputo una decina di giorni or sono dal bisnonno di Gio, che fu Ambasciatore ad Atene e lì conobbe un Legato Pontificio della Nunziatura Apostolica ormai in tardissima età, che era stato mio collaboratore quand’era ancora molto giovane. Tramite questa comune conoscenza ho parlato con lui, che mi ha svelato il segreto.

    Gio intervenne, cercando di mantenere la calma e magari riportare il discorso su basi logiche.
    - Mi scusi, Signor Barone, ma il mio bisnonno, che era in effetti un diplomatico, non l’ho conosciuto, perché è morto ben prima che io nascessi. Come ha fatto a parlargli dieci giorni fa?
    - Ci siamo incontrati a Trieste, dove visse i suoi ultimi anni. Lui mi ha detto dov’era il manoscritto e mi ha indicato di unire le forze con Jovall e i suoi amici, qui a Genova, visto che erano già impegnati nella ricerca di quel che cerco io per loro conto. Dunque mi sono trasferito qui, ospite di mio fratello Octavius che vive… o meglio, che ha dimora presso un antico palazzo del centro. Ed ora ci siete anche voi del Club di Libere Parole.

    Le sette ragazze deglutirono all'unisono. La prima a riprendersi fu Esmeraldas.
    - Barone Oclusio-Dicurzi-Pignatta-Terrina....
    - Occlavius Di Curtius-Pignus-Telium !!!
    - Troppo difficile...signor Barone… potrebbe togliermi una curiosità? Come ha fatto a salire lassù, e a poi a saltare giù come fosse da una sedia?

    La interruppe Prisca.
    - Lasci stare signor Barone, le mie amiche non hanno dimestichezza coi fantasmi.

    Le sei amiche impallidirono e si strinsero tra loro, facendo un passo indietro.
    - Io ci sono abituata ad avere a che fare coi suoi colleghi. Veniamo al dunque: quanto è disposto a pagare per tornare in possesso del manoscritto?

    Il Barone lanciò nella notte una delle sue prolungate risate baritonali, con tanto d’eco.
    - Pagare? Ma il manoscritto è mio! L’ho già pagato una volta. E poi non ho soldi, di là non ce n'è bisogno.

    Le ragazze si scambiarono tra loro uno sguardo che traduceva la frase: "in effetti...". Kate fu la prima a reagire.
    – Le ragazze mi hanno parlato di sogni, di specchi, doppioni e sparatorie, adesso si parla pure di fantasmi! Io se non tocco con mano non ci credo: lei magari è solo una specie di Copperfield, quello che fa scomparire le statue, un esperto di effetti speciali. Insomma, mettiamola giù piatta: senta un po', signor mascherone, chi ci dice che con la scusa della dipartita e della fantasmeria lei non ci stia in realtà tirando un cosiddetto pacco?

    Il Barone sorrise, alzò la mano destra con un gesto da direttore d'orchestra e Kate prese il volo, ritrovandosi seduta sullo stesso camino dov'era apparso il Barone poco prima.
    - Fatemi scendereeeeeeeeeee! Qualcuno mi tiri giù di quiiiiiiiiii!

    Luba intervenne a quel punto, a intercedere per l'amica, mentre Esme, Raldy e Lola assistevano alla scena sbigottite, Gio col naso in aria rideva e Prisca sbuffava.
    - La faccia scendere, le crediamo. E poi il manoscritto ce l'ha proprio lei in borsetta. La tiri giù dai tetti senza incidenti e potrà risprendersi il suo manoscritto.
    - Ma no, che stia ancora un po' lassù, così impara a chiamarmi controfigura e a mettere in dubbio il mio status.

    Prisca intervenne a sua volta:
    - Su, non si metta a fare i dispetti adesso! Un nobile fantasma come lei! Comportarsi come un bambino capriccioso!

    Per ultima intervenne Gio:
    - Mi fa volare anche a me sul tetto?
    Luba le diede una gomitata.
    Il Barone alzò di nuovo la mano e Kate atterrò dolcemente vicino a loro. Le erano venuti i capelli tutti bianchi.
    - Basta perdere tempo, - riprese il Barone - datemi il manoscritto. L'avete letto?
    - Ma che letto? E' scritto in cinese... poi è ancora da definire se è il caso di darle il manoscritto così, gratis! A noi cosa viene in tasca da tutta questa vicenda?
    - Non è scritto in cinese, ma è una specie di gaelico antico, un idioma celtico ancora non interpretato. Sentite ragazze: so che vi piacerebbe fare un colpo grosso. Ebbene, attraverso questo manoscritto se ne può mettere a segno uno davvero enorme. Perché farci concorrenza? Voi, l'ex pianista Jovall, Zeno, l'angelo Angelo e il sottoscritto potremmo unire le forze. Tanto più che anche la polizia cerca di impossessarsi della stessa cosa, se ne sta occupando l’agente Percivalle in prima persona. E comunque bisogna precisare che il manoscritto di per sé non vale granché. Quel che conta è il suo contenuto, che se interpretato correttamente può farci arrivare al tesoro di cui dovremmo impossessarci.

    Le ragazze si strinsero in cerchio, parlando sottovoce fra loro per qualche minuto, poi in coro si rivolsero al Barone.
    - Siamo d'accordo.
    - Benissimo! Allora mettiamoci subito al lavoro.
    - Ma si potrebbe prima sapere di cosa dobbiamo impossessarci?
    - Del Sacro Graal, ovviamente! Prima che lo ritrovi Percivalle, che lo riconsegnerebbe gratuitamente al proprietario.
    – Cioè a chi?
    - Cioè al Papa. E' una lunga storia: io ero riuscito ad introdurmi nelle stanze Vaticane, come segretario segretissimo di Sua Eccellenza Pellegrino Rossi, Ministro del Sommo Pontefice Pio IX. Mi riuscì di penetrare nelle più segrete stanze e qui mi impossessai del Calice, per il cui riscatto la Santa Sede sarebbe stata disposta a sborsare una cifra astronomica. Ma qui mi accorsi che in realtà si trattava di un'imitazione, lasciata lì da qualcuno che mi aveva preceduto, chissà da quanto tempo. Il fatto è che nessuno aveva mai avanzato alcuna richiesta di riscatto, per cui conclusi che l'Oggetto era finito nelle mani di un collezionista o di qualcuno che non aveva compreso l'importanza e il valore del medesimo. Per vie traverse entrai in possesso del prezioso manoscritto, vergato moltissimi secoli prima da un veggente celta, che contiene la storia dell'Oggetto in ogni suo passaggio sino al definitivo ritorno nelle mani del Papa, che per averlo ovviamente dovrà versarci un lauto compenso, perché saremo noi a trovarlo: sono sicuro che questo è il finale del manoscritto! Lì dunque è scritto dove si trova ora il Graal: si tratterà di tradurre il testo e di andare a recuperare il prezioso oggetto: per voi ci sarà di che arricchire fino all'inimmaginabile, per me la soddisfazione d'aver portato a termine il colpo, con l’aiuto dei miei amici Jovall e compagni, che per parte loro avranno ottenuto lo scopo della loro missione, che è semplicemente quello di ritrovare il Calice e farlo tornare al suo posto, non importa come. Dunque, come potete vedere, il guadagno dal punto di vista puramente monetario è interamente a vostro appannaggio.
    - Ma lei è stato assassinato a causa del Graal o del manoscritto?
    - No, per cause del tutto estranee. Dovete sapere che naturalmente, considerato l'onore mio e del mio antico Casato, in quei giorni io agivo in piena consonanza con il Segretario di Stato Pellegrino Rossi e proprio a causa di questa lealtà anch’io fui assassinato, come lui poche ore innanzi, con un colpo di coltello alla gola per mano di Ciceruacchio, la sera del 15 Novembre dell’anno 1848. Così ai tempi sfumò l'impresa, ma sono tornato per questo, per portarla infine a compimento. E' tutto chiaro adesso?

    Le sette ragazze erano un po' sbalordite, pensavano che quando avrebbero raccontato tutto a Blondie, Philia e Fiore, queste le avrebbero prese per pazze. Ma al di là di tutte le stranezze della vicenda e della proposta, non tardarono a fiutare l'affare e a dirsi pronte ad agire già da subito. Il Barone sorrise, battè le mani due volte e i capelli di Kate tornarono biondi come prima, dopo di che con grande effetto scenografico spiccò un salto di rara leggerezza, si femò un attimo su un tetto il tempo per dire "a presto ragazze!" e poi saltò giù dall'altra parte del caseggiato, scomparendo alla loro vista e finendo diritto dentro a un cassonetto dell'immondizia aperto, con suo grande sbigottimento e disappunto.
    Le sette ragazze del Club di Libere Parole si guardarono in viso e all'unisono esclamarono:
    - Ma che figo che è 'sto Barone!

    Il Barone se ne era andato così all’improvviso, senza nemmeno farsi restituire il manoscritto. Questo era un chiaro segno di fiducia, ma forse anche un silenzioso invito a darsi da fare anche loro, seguendo qualche utile pista che avrebbe potuto condurre alla traduzione del manoscritto. Si trattava di rintracciare qualcuno che conoscesse il gaelico antico. Prisca fissò a lungo la luna e all’improvviso fu scossa da un'illuminazione:
    - Ragazze! Sapete bene che io da molto tempo frequento un certo Circolo della Poesia! Ebbene: conosco colui che presiede gli incontri dei Poeti, un mago che da qualche tempo non appare che molto raramente, da che si è ritirato a fare l'eremita nella sua grotta sul Monte Pennice: si tratta del mago Gaelicus Pennicus...
    - Sì, ne abbiamo sentito parlare!
    Risposero in coro le altre ragazze.
    - Chissà...forse potrà esserci d'aiuto.

    Partirono subito, senza indugi, alla volta del monte Pennice, alla ricerca dello stregone Gaelico. Lungo la strada sarebbero passate da Alessandria a prendere Fiore; Blondie proveniente da Pavia si sarebbe unita a loro lungo il percorso, mentre Philia che era già in viaggio da Napoli, avvisata con un sms avrebbe prolungato il tragitto sino al Pennice e lì si sarebbe riunita con le altre.
    Il Barone, ancora visibilmente contrariato per il piccolo incidente occorsogli, appollaiato su di un palo della luce, con una buccia di banana che gli pendeva dal cappello e alcuni resti di pelle di salame sulle spalle del mantello, le osservava perplesso: le ragazze stavano perdendo tempo, in quanto Gaelicus Pennicus parlava solo l'Occitano, come ben sapeva il Barone da quanto gli aveva riferito Angelo, che aveva preso contatto con il suo collega Angelus Sortis, un tempo stretto collaboratore del mago. Decise comunque di lasciarle fare e di dedicarsi a rintracciare gli altri complici, per parlare loro di un'altra sua idea: viveva nella Marsica un alchimista che secondo alcune voci era senz'altro al corrente di qualche notizia relativa ai trafugatori del Calice, non si sa bene quale, ma era senz'altro il caso di scoprirlo. Chissà che, fra Gaelicus Pennicus con le sue ampie conoscenze e l'alchimista Jammarcus Cepostas con le sue vaste esperienze, non si potesse fare un passo avanti nell'intricata vicenda.




    LuBa Zadora

    9.

    Nel frattempo le ragazze si erano unite a Fiore e a Blondielaura, detta Blondie, per strada e giunte alle falde del Monte Pennice trovarono anche Simphilia, detta Philia, ad attenderle. Si ritrovarono così a ranghi compatti, tutte e dieci, ed insieme si recarono nella grotta del mago eremita, Gaelicus Pennicus, che le ricevette senza profferire parole e le fece accomodare, accovacciate in terra su una stuoia, nella saletta di ricevimento che non aveva altro mobilio all’infuori di un tavolo con sopra una strana sfera magica, che pensandoci non si poteva nemmeno definire “sfera”, visto che era quadrata. Il mago le scrutò a lungo, una per una, poi finalmente parlò:
    - Prisca e Kate Orlandow, mi ricordo di voi. Anche voi due, Fiore e Philia, ricordo di avervi incontrato nel circolo dei Poeti. Ma le altre? Chi siete?

    Rispose Luba per tutte:
    - Maestro Gaelicus, anche noi ci siamo incontrati qualche volta. Io sono Zadora.
    - Ah, sì. Ora ricordo. E ricordo molto vagamente anche Blondielaura. Siete le ragazze del Club di Libere Parole. Ma Gio, Esmeraldas, Esmeraldinhas, Lola Tekila… chi sono? Qual è il vostro vero nickname con il quale vi conosco?
    - No, non ci conosciamo – rispose Esmeraldas – non ci siamo proprio mai visti, questo è il nostro unico nome…
    - Impossibile! Avanti, ditemi la verità: chi di voi è Tuia? E Gardenia? E Amarganta? E Danzandosottolaluna, Universorosa, Paranoimia, Skydos, Alhia?
    - Ma che sta a di’?

    Fu Gio a porre la domanda guardando dritta Prisca, che dell’ambiente del Circolo dei poeti era un po’ la veterana e lì conosceva quasi tutti, e che rispose:
    - No Gaelicus, queste ragazze non frequentano il Circolo; quelle che hai nominato sono Poetesse della Luce…
    - Ah, ed esse non son tali? Allora sono Poetesse per Caso? Qual è dunque il vostro vero nome? Fiordineve, Beldanubioblu, Fiorearcobaleno e Deborahmora forse?
    - No, Gaelicus, non ci siamo! Loro sono del Club di Libere Parole, come noi: non abbiamo a che vedere né con le Poetesse della Luce, né per Caso, né altre ancora. E ti ripeto che loro quattro non hanno mai messo piede al Circolo dei Poeti.
    - Allora frequentano altri circoli! Quali? Quello dei sogni, degli angeli e delle fate forse? O degli strizzacervelli, dei riflessivi, dei dolci, dei piccanti, dei chatanti?
    - Ma no!
    - Ho capito. Sono di quelle che si fermano al punto di partenza…
    - Gaelicus, esiste un mondo anche al di fuori di lì!
    - Mi giunge nuova.

    E detto questo cadde come in catalessi, mentre due cameriere in tenuta da mondina offrirono alle dieci ragazze un delizioso thè di riso. Il mago eremita parve rianimarsi dopo qualche minuto, quando improvvisamente esclamò:
    - Non sarete mica le anime dei bannati che vengono a tormentarmi?
    - Le anime dei dannati? – disse Fiore – addirittura?
    - Non dei dannati! Dei bannati: Ziloss, Cobite, Effendi, Mehari!

    Prisca scoppiò a ridere, mentre quasi tutte le altre amiche assistevano alla scena con aria interrogativa. Prisca rispose loro girando l'indice a significare: dopo ve lo spiego, poi si rivolse al mago:
    - Gaelicus, tranquillo, non è niente di tutto questo. Un giorno con più tempo a disposizione, magari al Circolo, cercherò di spiegarti. Oggi siamo qui solo per chiederti se conosci la lingua Gaelica, perché ci servirebbe una traduzione.

    Il mago le guardò con sulla faccia la tipica espressione di uno struzzo a cui un passante ha chiesto che ora è. Poi si scrollò e rispose:

    - C'è un equivoco di fondo: io mi chiamo Gaelicus, ma del Gaelico so tanto quanto voi ne sapete della coltivazione del riso. Cosa sapete voi della coltivazione del riso?
    - Niente. – risposero in coro le ragazze.
    - Appunto. Se volete posso darvi lezioni, del tutto gratuitamente.
    - Grazie, maestro Gaelicus Pennicus, ma abbiamo molto da fare. Magari un’altra volta, molto volentieri.

    Tagliò corto Luba Zadora. Detto questo, si congedarono velocemente e intrapresero la strada del ritorno mestamente, dato che non avevano risolto un bel niente e si ritrovavano al punto di partenza. Strada facendo a Kate venne un’idea e la propose:
    - Ho sentito parlare di due studiosi che vivono ad Alessandria. Tornando a Genova potremmo farvi tappa. Pare che si tratti di due tuttologi assoluti, magari conosceranno pure l’antico Gaelico e potranno esserci di aiuto, anche se non godono fama d’essere brave persone, anzi tutt’altro. Si chiamano Walko e Rei Rider e si dice siano due mostri: vecchissimi, orrendi, gobbi davanti e di dietro, bavosi, con lunghi artigli al posto delle unghie, denti da vampiro, occhi strabuzzati!
    - Ma che schifo! – disse Gio – Non era meglio cercare dieci bei ragazzi che…
    - Si può provare – la interruppe Philia – non ci faremo certo spaventare dall’aspetto.
    - Non mi sono nuovi questi due nomi: Walko e Rei Rider – disse Luba – mi pare che addirittura abbiano a che fare con l’antica fondazione del nostro Club, quando quasi nessuna di noi ne faceva ancora parte.

    Prisca e Kate, che ne facevano parte sin dalle origini, confermarono: si diceva che Walko fosse il fondatore di Libere Parole, e dove c’era Walko c’era di sicuro anche Rei Rider, visto che i due, tra l’altro cugini fra loro, collaboravano in ogni attività, da sempre. Decisero che valeva la pena tentare e si diressero decisamente verso il loro oscuro castello diroccato, dalle parti di Alessandria.
    Mentre le ragazze viaggiavano allegramente sul pulmino preso in prestito da Esmeraldinhas dall’agenzia di viaggi dove aveva lavorato qualche tempo prima, a Genova le oscure forze del male si erano rimesse in azione: l’uomo dai capelli rossi che spesso le aveva pedinate, attese in un vicolo buio che passasse Angelo e gli scaricò addosso i due caricatori delle sue due pistole, poi si diede alla fuga, ma non aveva ancora terminato il suo compito. Un’ora dopo andò all’antico palazzo disabitato del centro dove soggiornava il Barone Occlavius, ospite del suo nobile fratello Octavius. La notte precedente aveva sistemato un barile di acido altamente corrosivo sotto una finestra del soggiorno, che dava sul cortile. Si fece ricevere da Octavius, presentandosi come un agente immobiliare che voleva acquistare il palazzo. Octavius cercò di spiegargli che lui era solo l’inquilino non pagante dello stabile e che ignorava chi ne fosse il proprietario; inoltre lo sconsigliò riguardo l’acquisto, spiegandogli che nessuno voleva andare ad abitare in quel palazzo, poiché era notoriamente infestato da fantasmi, peraltro pacifici e persino simpatici, ma si sa che la gente ha paura di queste cose. Al rosso pareva non interessasse altro che vedere il soggiorno che dava sul cortile, al piano rialzato. Octavius lo accontentò con la sua solita affabilità e proprio quando fu vicino alla finestra l’uomo lo sorprese e lo spinse giù, facendolo cadere nel barile di acido. Dopo pochi secondi di quel che era il fantasma del Barone Octavius rimase appena un po’ di schiuma galleggiante. L’orribile uomo dai capelli rossi chiuse il barile e si recò in un altro palazzo vecchio e oscuro, salì fino al quarto piano attraverso scale e corridoi bui e finalmente suonò tre volte il campanello di una porta di legno massiccio recante una targa di ottone con su incisa la scritta: “Congregazione degli Aritmetici”. La porta si aprì lentamente con un fastidioso cigolìo e si richiuse dietro alle sue spalle, l’uomo attraversò un lungo corridoio scuro drappeggiato di nero e viola, che lo condusse ad un ampio salone, con molte sedie e in fondo una enorme cattedra assisa su un rialzo con quattro scalini. Dietro la cattedra c’era un uomo seduto su di una poltrona fatta a trono, immerso nel buio in modo che i lineamenti del suo viso non fossero riconoscibili. L’uomo dai capelli rossi si inchinò davanti all’uomo in ombra e restando a capo chino disse:
    - Venerabile Supremo Priore, ho portato a termine con successo pieno il compito che mi avete fatto l’onore di assegnarmi. Ho eliminato due componenti di quella banda di cialtroni: il ragazzo di nome Angelo e il Barone Occlavius.




    Walko

    10.

    - Accidenti! Accidenti! Accidenti!
    Jovall è fuori di sé. Zeno tenta di placarlo.
    - In fondo non è successo nulla, capo…
    - E non chiamarmi capo!
    Quando è così incazzato Jovall è veramente intrattabile. Il Barone sta defilato, ufficialmente Jovall è un suo discendente, ma non è proprio il momento di ricordarglielo, per cui si limita a buttar lì una domanda:
    - Ma si può sapere cos’è questa maledetta Congregazione degli Aritmetici?
    - E’ una lunga storia, fattelo spiegare da Sagitt che conosce la vicenda per filo e per segno: in parole povere è una congregazione nata anticamente come movimento filosofico che si rifaceva a Pitagora, ma che con il tempo è diventata nei fatti una setta materialistica segreta che ha fatto dell’economia in senso lato una religione; affermano che l’unico potere mondiale va controllato dalla grande finanza capitalistica e dei banchieri, e combattono qualunque altra idea diversa, specialmente se di genere umanistico. Anche loro cercano il Graal, per distruggerlo, perché vi vedono il simbolo di tutto ciò che resiste al potere assoluto dell’economicismo puro. Comunque questa storia mi dà fastidio, questa scocciatura non ci voleva proprio, troppa gente sta cercando il Graal!
    - Ma chi è l’uomo dai capelli rossi? E perché ce l’ha con noi?
    - Era solo un esecutore, un piccolo Aritmetico da quattro soldi, come quell’altro del bar, il baffone. Aveva avuto l’incarico di ucciderci tutti, figuratevi, per toglierci di mezzo dalla ricerca del Calice. Stamattina è venuto qui, armato fino ai denti. Ha avuto quel che si meritava.
    - Un colpo in fronte?
    - Esatto.
    – Ben fatto, cap… ehm, volevo dire… Jovall…
    - Se qualcuno di voi mi chiama ancora capo…..ci siamo capiti!

    Jovall ha in mano la sua inseparabile S. & W.; Zeno annuisce silenziosamente; Angelo alza le spalle, lui non si sbaglierà di certo. Il Barone ha ancora qualcosa da dire:
    - Ad Angelo non è successo nulla, a lui i proiettili lo passano da parte a parte come ogni altra cosa senza lasciargli un segno né fargli solletico. Ma mio fratello Octavius, scambiato per me da quel cretino, è stato spinto in un barile di acido e si è sciolto completamente! Dov’è finito adesso?
    - Tranquillo Occlavius, si è già ricomposto. Però è meglio che non si faccia vedere in giro per un pezzo, e anche tu stai nascosto: i congregati del cavolo ti credono defunto, cioè non sanno che lo eri già anche prima, loro non credono a queste cose… sniff sniff… ma che razza di profumo ti sei messo Occlavius?
    - Eh? Ah…ehm…no…non è un profumo…uff…
    - E meno male! Dalla puzza si direbbe che tu sia appena uscito da un bidone della spazzatura!
    - Lasciamo stare…un piccolo spiacevole contrattempo, anzi….posso andare a cambiarmi, Woland?
    - E non chiamarmi Woland!!! Per la miseria!!!
    - Scu…scusa Jovall…l’abitudine…
    - Basta perdere tempo, datti una lavata e travestiti, ché il Barone deve sparire per qualche tempo. Anche tu, Angelo, devi cambiare identità. Lasciamo che quegli idioti pensino di avervi eliminati davvero. Avvisate le ragazze del Club del pericolo degli Aritmetici, per il momento non posso occuparmi di loro. Non perdiamo altro tempo, domani si parte per la Marsica.

    Di primo mattino, un’automobile avanza nella nebbia degli appennini, fatta di nuvole basse: alla guida c’è un uomo alto coi capelli grigi, al suo fianco una ragazza coi capelli rossi, dietro un uomo vestito di scuro con un cappello nero calato sugli occhi di ghiaccio; al suo fianco un cane dobermann dagli occhi infuocati, con il muso appoggiato sul suo ginocchio. Ad un certo punto l’auto entra in un’area di posteggio, qui una figura esce dalla nebbia, l’auto si ferma. Il dobermann salta nel portabagagli retrostante. L’uomo con il cappello calato sugli occhi apre lo sportello.
    - Buona sera, dottor Campanal, scusa il ritardo.
    - Ormai pensavo di avere sbagliato l’area di parcheggio. Si va?
    - Si va.

    Durante il viaggio verso la Marsica i cinque personaggi trovano modo di fare un po’ il punto sulla situazione. Angela, la ragazza dai capelli rossi che prima era Angelo, aveva contattato le ragazze e saputo che stavano pensando di rivolgersi agli esperti di filologia, Walko e Rei Rider. Jovall avverte che costoro non sono tipi molto raccomandabili, per cui le ragazze potrebbero avere noie e potrebbe rendersi necessario intervenire in loro aiuto, visto che ormai sono complici. Interviene il dobermann, Cornelius IV, che prima era il Barone Occlavius.
    - Amici, ho già sentito parlare di Walko & Rei, ma non ricordo esattamente chi sono…
    - Nessun problema – è Jovall a parlare – Carlos sa tutto di loro: so che si è scritto una piccola biografia, così tutti sapremo con chi abbiamo a che fare. Vai Carlos, leggici le tue note.

    Campanal estrae un manoscritto tutto stropicciato dalla tasca interna del suo impermeabile, tutto stropicciato anche quello, si schiarisce la voce e poi comincia a leggere:
    “ Walko e Rei sono nati in due città diverse, ma a non molta distanza fra loro: non se ne conoscono i nomi perché i cittadini di quelle città li bandirono alcuni secoli fa e si è persa ogni traccia anagrafica, presumibilmente bruciata, dei due loschi figuri. Non si sa neppure la loro età esatta, ma pare fossero giovani durante il periodo del Terrore seguito alla Rivoluzione Francese, durante il quale essi furono attivissimi come falsi testimoni in processi politici e come ghigliottinatori. Cresciuti in perfetta armonia con un ambiente sporco e volgare, da anni vivono in un sinistro maniero protetto da armigeri violenti, maleducati e ignoranti, circondato da un fossato pieno di pirañas e coccodrilli. Si sono dedicati alle più disparate discipline, convinti come sono d’essere essi la sintesi vivente fra Leonardo, Dante, Machiavelli, Platone e Beethoven: dunque discipline artistiche, filosofiche e scientifiche, in ciascuna delle quali hanno conseguito risultati vomitevoli. Entrambi hanno dedicato mezzo secolo della loro vita allo studio: hanno infatti ripetuto la prima classe elementare per quarantanove volte e si sono ritirati dopo un disastroso anno di seconda. Ricchi da fare schifo, dedicano gran parte del loro tempo ad aumentare un patrimonio liquido e fondiario accumulato in decenni di duro lavoro, fatto di sacrifici altrui e dei propri raggiri, truffe, sequestri, taglieggiamenti, scippi, rapine e saccheggi. Attivamente dediti al commercio degli schiavi, alla tratta delle bianche e all’import-export su vasta scala di organi umani di incerta provenienza, sono amici di molti potenti e praticamente in confidenza con Osama bin Laden, nonché fratelli di sangue del Conte Vlad detto Dracula. Nella loro lunga vita hanno litigato tra di loro una sola volta, quando si trattava di stabilire a chi dei due spettasse il diritto di mangiare l’unico occhio di un loro servitore, morto di stenti e per le ripetute percosse: risolsero la questione cavando un occhio all’anziana madre del servitore e degustandosi in tal modo un bulbo al forno a testa. Hanno un vero e proprio debole per i bambini, che amano torturare con metodi raffinati e stravaganti, e adorano i cuccioli di tutti gli animali, specialmente i gattini siamesi, che usano cucinare personalmente, particolarmente in umido con contorno di patate bollite e ramarri scottati. Riguardo i loro scritti (poesie, romanzi, saggi, commedie), i critici letterari più dubbiosi non possono resistere alle loro argomentazioni: chiunque osi muovere il più piccolo rilievo o appunto alle loro opere, viene da loro personalmente demolito a colpi di ascia o di scimitarra, poi dissolto in botti colme della loro orina, notoriamente corrosiva. Per tutti questi motivi essi amano definirsi un po’ eccentrici, ma sostanzialmente buoni. Incrollabilmente democratici, tolleranti e persino femministi, giurano di non avere mai violentato o sventrato o impalato una donna, né pugnalato o impiccato o arso vivo qualcuno, senza prima avere ottenuto il loro consenso sottoscritto e firmato, che viene regolarmente estorto attraverso la somministrazione di supplizi inenarrabili. In realtà, non hanno mai torturato qualcuno senza prima avergli chiesto se era d’accordo: ovviamente la sua risposta non viene tenuta in nessun conto, e d’altra parte non bisogna nemmeno esagerare con le concessioni democratiche. Sono in moltissimi ad attendere con ansia il momento in cui verrà finalmente il loro turno di trapassare, ma corrono sinistre voci circa la presunta immortalità di entrambi. Le voci corse, invece, a riguardo di un loro patto col diavolo, sono state seccamente smentite dall’interessato che ha dichiarato: “non tratto con certa gente, quando è troppo è troppo!”. Quando un disgraziatissimo giornalista li accusò pubblicamente di essere mafiosi, prima di scomparire nel nulla, fu querelato per diffamazione e calunnia aggravata. Dalla mafia. La loro cartella clinica, infine, è sconvolgente: sono portatori sani di peste, malaria, vaiolo, colera, cimurro, scorbuto, ballo di san vito, leptospirosi, colite, orticaria, vene varicose, forfora, smagliature, cellulite, mal di denti e unghie incarnite. La loro saliva provoca a chi ne viene a contatto il tetano fulminante o, nei casi meno gravi, insopportabili dolori addominali, con scariche di diarrea, sproloqui, miraggi e perdita irreversibile della memoria e d’ogni possibile attività sessuale. Una loro occhiata può far invecchiare di cinquant’anni sul posto. Le loro opere letterarie vanno a ruba, specie da quando si è sparsa la voce, per altro assolutamente fondata, che su chi non legge le loro opere graverebbe un’orrenda maledizione. Ah, un’ultima cosa: nelle comprensibilmente rarissime occasioni in cui ricevono visite da donne giovani e piacenti, come le nostre amiche per esempio, usano intrattenerle amabilmente, legandole e frustandole durante il corso di tutta la conversazione, ma lasciano poi che se ne vadano dal loro castello vive e vegete. Qualche volta. Quasi mai.”

    I cinque amici proseguirono per un po' il viaggio in sbigottito silenzio. Angela ristabilì il contatto con le ragazze, che la aggiornarono sugli ultimi avvenimenti. Jovall uscì dal silenzio.
    – Non so dove le ragazze abbiano attinto l’informazione circa la sapienza filologica dei due orribili personaggi: si è evidentemente trattato, come si dice in quel di Roma, de 'na sòla. Angela, avvisa le ragazze dell'abbacchio...ehm...volevo dire dell'abbaglio, e mettile in guardia riguardo ai due loschi figuri, riassumendo quel che ha detto poc'anzi il dott. Campanal. Io mi faccio una dormita, svegliatemi quando saremo in prossimità della magione dell'alchimista Jammarcus.

    Di lì a pochi minuti, uno dopo l'altro, si addormentarono tutti e cinque i passeggeri, compreso Zeno che guidava l'auto. Tanto la vecchia 600 multipla celeste c'era abituata, e conosceva a memoria tutte le strade.




    Gio Girisper

    11.

    Mentre i cinque misteriosi personaggi viaggiavano verso la Marsica guidati dalla vecchia 600, le dieci ragazze del Club arrivarono davanti al castello diroccato e sperduto di Walko e Rei Rider. In effetti il maniero faceva una certa impressione, aggravata dai nuvoloni neri che ne disegnavano lo sfondo, e che erano solo lì, visto che tutto intorno era una splendida giornata di sole. Prima ancora di annunciarsi in qualche modo, si abbassò il ponte levatoio, come se i due le stessero aspettando. Entrarono con il pulmino, notando che dal fossato circostante emergevano diverse pinne di squali tigre e i dorsi di alcuni coccodrilli. Parcheggiarono nel cortile interno e salirono le scale, ritrovandosi in un salone spoglio che poteva ricordare una palestra dove però, anziché attrezzi sportivi, erano visibili macchine di tortura e pendevano dal muro catene. Dopo pochi minuti la sala fu riempita da armigeri in divisa un po’ zuava un po’ zulu, che immobilizzarono le ragazze e poi sotto la minaccia delle lance acuminate le invitarono a spogliarsi, concedendo loro di tenere solo mutande e scarpe, poi le incatenarono a braccia sollevate, nel bel mezzo del salone, alle catene che pendevano dal soffitto. A questo punto le lasciarono sole. Prisca fu la prima a parlare.
    - E adesso?
    - Sarà l’usanza del luogo… - tentò Kate che cercava di farsi perdonare di aver avuto l’idea di andare lì.
    - Strane usanze - rilevarono un po’ tutte le altre, tranne Gio che commentò:
    - Però non è male questa usanza, la trovo, come dire… eccitante!

    La fulminarono con lo sguardo, proprio mentre due figuri fecero capolino nel salone, ritirandosi subito dopo.
    - Sono loro! – disse sicura Blondie – ora ricordo di averli già incontrati tempo fa!

    Gio ancora una volta si sentì in dovere di esprimere la sua opinione.
    - Sono loro i due? Per essere vecchi come er nonno de Matusalemme sono molto ben conservati. E poi non mi sembrano affatto brutti come si dice in giro, anzi, sapete che vi dico? Quasi quasi mi intrigano. Anzi, sapete che vi dico? Mi piacciono. Anzi, sapete che vi dico? Me li farei!
    -Gio!!! – la richiamò severamente Esmeraldas – niente intelligenza col nemico!

    Le altre approvarono gravemente. Fiore ed Esmeraldinhas erano sul punto di piangere, Kate, Prisca, Esmeraldas e Philia sprizzavano rabbia da tutti i pori, Lola si sentiva imbarazzatissima, Blondie e Luba erano concentratissime nella ricerca di una possibile soluzione per trovare una via d'uscita, ma al momento non trovavano nulla di praticabile; non rimaneva che aspettare la prossima mossa dei due loschi figuri. Gio ruppe il silenzio.
    - Io comincio ad annoiarmi. Cosa ci faranno? Ci tortureranno? Ci faranno violenza carnale?

    E così dicendo sorrideva e le brillavano gli occhi. Luba esplose:
    - Insomma! Silenzio! Lasciatemi pensare!

    In quel momento rientrarono i due padroni di casa. Parlò Walko per primo:
    - Vi ringraziamo per la vostra visita, belle fanciulle. Dobbiamo confessare che siamo rimasti un attimo sconcertati nel vedervi: dieci ragazze in un sol colpo!
    - Dici bene, cugino! Ora dovremmo frustarle a sangue per bene, come da usanza, ma anche ammettendo di prendercene cinque a testa, sarà comunque una faticaccia. Voi, ragazze, proponete qualcosa?

    Intervenne Gio:
    - Io di queste cose me ne intendo, ascoltate: secondo me, che soddisfazione c’è a stancarsi per poi fare la stessa cosa cinque volte? E poi comunque dovreste limitare i colpi: nel momento in cui alla prima dareste trenta colpi di frusta, che è il minimo, il braccio comincerebbe a stancarsi. All’ultima fareste solamente solletico. Quindi dovreste limitarvi a non più di una decina di colpi a testa, cinque sulla schiena e cinque davanti. Poca roba davvero. Ne vale la pena?

    I due si guardarono con aria perplessa e un po’ sgomenta. Rei Rider annuì gravemente.
    - La ragazza non ha mica tutti i torti, cugino.
    - E allora, cugino, come risolviamo la situazione?

    Intervenne nuovamente Gio:
    - Io un’idea ce l’avrei: frustate solo me e lasciate perdere le altre. A me piace! Potrete frustarmi contemporaneamente, uno davanti e uno di dietro scambiandovi di posto ogni tanto, fino a stancarvi.
    - Però! Non male questa ragazza, vero Walko?
    - Sì, Rei, ma… mi chiedo: che soddisfazione c’è ad infliggere un tormento a una persona che prova piacere ad essere sottoposta a questo supplizio? Praticamente le faremmo un favore!
    - E’ vero cugino! Non ci avevo pensato. Eh no, non è da noi! Schiavi! Slegate questa ragazza e fatela rivestire!

    In quel momento Luba Zadora ebbe un’illuminazione delle sue e si mise a urlare, fingendo di non avere ascoltato gli ultimi commenti dei due:
    - Eh no! Sei la solita ingorda e sfrontata! Mica solo a te piace essere frustata! E io? Voglio avere la mia parte, ne ho diritto!
    Blondie fu la prima ad accodarsi:
    - Ma sentitele! Se vi ho insegnato io il perverso piacere del sado-masochismo! Pretendo almeno un centinaio di frustate! Mi spettano.
    Kate intervenne a sua volta:
    - Ricordate che vi ho portate io qui, conoscendo l’usanza del luogo di frustare le ospiti! Quindi la prima devo essere io, finché la forza delle braccia dei fustigatori è ancora al massimo!

    E via via si unirono tutte le altre, provocando infine una bolgia infernale in cui tutte urlavano di avere diritto di essere frustate, con forza e a lungo. Finché ai due crudeli anfitrioni scappò la pazienza.
    - Bastaaaaa! Slegatele tutte, che si rivestano e ci raggiungano nella sala del caffè!
    - Ma noi odiamo il caffè! – protestò Prisca – ci fa schifo, quasi quanto i pasticcini! Vero ragazze?
    - Sìììììììììììì! Che schifooooo! – fu la risposta corale.

    Rei Rider aveva gli occhi fuori dalla testa, al pari del cugino; diede con tutta la forza un colpo di frusta sul pavimento e urlò:
    - Tra cinque minuti al massimo tutte nella stanza del caffè! Schiavi, preparate caffè, tè, caffelatte e portate un quintale di pasticcini alla crema e al cioccolato, e torte alla frutta e gelati e tutto il ben di dio che trovate in casa!

    Siccome poi c’era davvero troppa roba, era impossibile consumarla tutta ed era un peccato sprecarla, a Fiore venne un’idea, così disse che se c’era una cosa che le metteva disgusto era quella di vedere schiavi che mangiavano i dolci e sorbivano il caffè al tavolo dei padroni. Subito tutte le ragazze si dissero d’accordo con lei e così finì che gli schiavi di solito tenuti a stecchetto quel giorno si fecero una panciata di squisitezze. Infine, prese la parola Luba.
    - Comunque se veramente qualcuno volesse farci soffrire in modo insopportabile, ci sarebbe un solo mezzo.
    - Quale?
    - Ah no, non lo diciamo, altrimenti sareste capaci di farlo. Siete troppo crudeli! Per oggi, tra paste, torte e gelati abbiamo già sofferto abbastanza.
    - O ci dite qual è questa cosa insopportabile, o mandiamo gli schiavi a comprare altre prelibatezze in quantità!
    - No, basta, basta! Però fra le due cose… non saprei che scegliere.
    Intervenne Kate:
    - Potremmo fare un patto. Noi riveliamo il segreto, voi ci infliggete quest’ultimo supplizio e poi ci lasciate andare via, anche perché poi, più male di così non potreste farci.
    - Veramente pensavamo di trattenervi qui come schiave, ma tutto sommato… non vi potremmo torturare perché vi piace, dovremmo spendere un patrimonio per infliggervi dolci e caffè tutti i giorni. Ma sì, possiamo stringere questo accordo, però senza niente di scritto e senza dare la parola, perché in questo caso ci vedremmo costretti a non rispettare i patti. Ne va del nostro onore.

    Riprese Luba:
    - Tranquilli, niente di formale, anzi: giurate che non ci lascerete andare per niente!
    - Lo giuriamo.
    - Benissimo, così potrete macchiarvi anche della nefandezza di avere spergiurato.
    - E’ un vero piacere fare affari con voi, dannate ragazze. Che ne dite? Se ci mettessimo in società?
    - Magari, qualche giorno ne riparliamo. Ma ecco la triste questione: questo manoscritto contiene un testo scritto in antico Gaelico, nessuno mai è riuscito a tradurlo e questa per tutte noi è una ragione di grande godimento. Se mai qualcuno vi riuscisse, come per esempio due noti studiosi come voi, per noi sarebbe la rovina, la disperazione, la dannazione permanente.
    - Dai qua – la interruppe Walko – a noi nulla è impossibile. Sappiamo ogni cosa.

    I due cominciarono a studiare le carte, discutendo animosamente fra loro e arrivando a tratti anche a darsi qualche sberla e alcuni calci negli stinchi e pestoni sui piedi. Dopo oltre due ore restituirono il manoscritto, visibilmente delusi e affranti.
    - Tenete. Quell’ignorante di mio cugino, con tutta la sua inutile cultura non è stato in grado di tradurre una sola frase.
    - Invece quell’analfabeta di mio cugino, con tutto il suo insulso sapere non è stato capace di tradurre una sola parola. Una cosa però possiamo dirvela, sperando che possa infliggervi una sia pur piccola sofferenza. Questo testo non ha nulla a che vedere col Gaelico, nemmeno il più antico. Ne conosciamo le basi e in questo testo non ve n’è traccia. E ora andatevene e non fatevi più vedere o vi daremo in pasto alle formiche!

    Gio aveva ancora una piccola cosa da chiedere:
    - Scusate, ma davvero non volete frustarmi nemmeno un pochino? Così, tanto per divertirvi un po’ e tirarvi su il morale…
    - No! Via! Andate via tutte subito e lasciateci soli con la nostra delusione!

    Le ragazze non se lo fecero ripetere, raggiunsero di corsa il pulmino e partirono facendo fischiare le gomme. Solo quando furono abbastanza lontane dal castello Luba volle complimentarsi con Gio:
    - Sei stata grande con l’idea di dire che ti sarebbe piaciuto essere frustata! Hai recitato alla perfezione, sembrava che stessi dicendo la verità!
    - Ma io dicevo la verità! Qualche frustata l’avrei presa volentieri, magari si sarebbero eccitati e ci sarebbe pure scappato qualcosina. Da quando sto con voi si va sempre in bianco!
    - Ma Gio!!!
    - Ho capito: nessuna intelligenza con il nemico. Vabbè. Chissà se i nostri strani amici sono arrivati a casa dell’alchimista marsicano. Speriamo che almeno loro concludano qualcosa!
    - In che senso?

    Scoppiarono tutte a ridere, finendo fuori strada. Per fortuna senz’altra conseguenza che un altro attacco di ridarella ancora più forte.


    continua >>>