FIORI DI PENSIERO: poesie, racconti, riflessioni... Fiori di Pensiero è nato per permettere agli autori dilettanti di pubblicare le loro emozioni principalmente con la parola scritta, ma anche con immagini e suoni, usando il supporto più moderna che esista: Internet. La poesia è la principale rubrica del forum, ma trovano posto adeguato anche racconti, pensieri, riflessioni, dediche, lettere e tutto ciò che il cuore può dettare ed il pensiero esprimere.

L'Italia contadina

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    florentia89
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    Registrato il: 27/02/2008
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    00 17/08/2008 10:40
    Mietitura, trebbiatura, battitura, spigatura.
    L’Italia contadina

    Prima della guerra, nell’anno X (che importa?), si svolgeva in estate in Umbria una festa e un evento al quale partecipai alcune volte con genitori e parenti. Si trattava della “trebbiatura” del grano, susseguente alla mietitura, e della “spigatura” cioè la raccolta delle spighe sfuggite alla mietitrice. Ovviamente ciò si ripeteva in tutta Italia.
    Avevamo dei parenti che possedevano una fattoria nella campagna perugina, con casa colonica, stalle, animali, magazzino, silos.
    Questi, tutti fascistissimi, erano collegati sia con lo zio Federale e la zia Fiduciaria, del paesino ove lei insegnava e lui lavorava in una vicina fabbrica di aerei, sia con lo zio squadrista e milite lacustre, che mi portò alla Mostra della Rivoluzione a incontrare il Duce.
    Parlo così di uno degli anni in cui fui partecipe a questa “festa” di lavoro, di spirito e… stomaco..
    Arrivo nella fattoria con lo zio Federale, che usufruisce del furgone di una cooperativa di pescatori del Trasimeno sul quale ha accanto la zia Fiduciaria e dietro, seduti su due assi interne, due suoi figli, io e i genitori. Non c’è mio fratello, non so perché. Mia madre ha preparato una valigia con qualcosa di cambio e la mia divisa da balilla.
    C’è anche la camicia nera di mio padre, per lei invece nulla di “nero” in quanto la zia-cugina gli appunterà sul vestito un distintivo delle donne fasciste (lei ne preferirebbe uno di Sant’Antonio).
    Si svolgerà infatti una cerimonia importante, iniziata proprio dal Duce, che partecipò ad una trebbiatura nell’area pontina.
    Da allora, in ogni dove italico, questo evento viene ripetuto, almeno nelle fattorie maggiori, su invito delle Federazioni rurali, per esaltare il lavoro dei campi affinché l’Italia raggiunga e superi i novanta milioni di quintali annui di grano necessari per la sussistenza del suo popolo.
    Sono sistemato con i miei in uno stanzone al piano superiore del casale-fattoria. I miei genitori dormono in un letto ampio e alto, sopra materassi in sacconi di fibra vegetale, io sono piazzato in terra, su uno inzeppato di foglie e barbe di granturco, che fanno un continuo rumorino di accartocciato ogni volta mi giri.
    Al piano non c’è luce, abbiamo un lume a petrolio che poi, in seguito, regaleranno a mia madre e lei a me (l’ho ancora).
    Io sistemo i capi da balilla su una sedia, pronti per il giorno dopo.
    Sono visitato subito dai cugini e loro amici che ammirano i “pezzi” della divisa, il cinturone, il fez, il medaglione.
    Di questi ne ho portati alcuni, in argentone, col Duce stampato sopra, che regalo loro, dicendo di averli avuti dalla GIL del Foro Mussolini, con tutti che li stringono gelosamente in mano.
    Come ogni anno devo rispondere a quante volte ho visto il Duce, come se Lui abitasse sotto di noi, e poi delle Colonie, quelle lontane, lunghe, non le loro, vicine di paese e limitate di giorni e trattamento (che balle! sempre uguale, ma ormai ci sono abituato).
    Il mattino c’è la cerimonia. Mi metto in divisa, rivedo mio padre in camicia nera (uno–due volte l’anno, oltre il 28 ottobre che è d’obbligo), osservo titubante mia madre sul cui petto spicca una coccarda del Fascio. Mio zio è pomposamente vestito in orbace, mia zia in severo abito d’ordinanza. Sistemo meglio le divise dei cugini mancanti di tante cose, soprattutto della “classe” dei balilla romani.
    Lo zio Federale sale poi su una pedana e con voce imperiosa, lui che è di una pacatezza e calma proverbiali, attacca un breve discorso, e si capisce che è scritto dalla zia maestra e da lui imparato a memoria.
    Noi balilletti, una diecina, siamo in prima fila e rispondiamo col saluto a braccio teso e con “A Noi!” al “Saluto al Duce”.
    Non manca un pretone che benedice tutto e tutti. Poi lo zio, imitando penosamente il Duce, lancia l’urlo “Sauro! camerata macchinista, inizia la trebbia, avvia il motore!” e il trattore agricolo collegato alla trebbiatrice parte con uno sbruffo di fumo nero. Allora gli uomini si rimboccano le maniche, parecchi restano a torso nudo, e tutti si collabora in qualcosa, portando fasci di spighe, accantonando il grano trebbiato, riunendo la paglia, portando da bere ai lavoranti.
    La trebbiatura durerà un paio di giorni, anche tre, perché giungono, o sono già arrivati, grossi carri trainati da buoi o trattori di contadini vicini, tutti componenti una specie di consorzio-cooperativa.
    Ogni tanto girano fiaschi di vino rosso e brocche d’acqua, a cui pensano le donne, le quali poi, in un paio di intervalli, portano ruote di pane e piatti con formaggi e salumi. E’ già tanto, ma viene considerato un assaggio, un anticipo del pranzo finale.
    Poi, finito l’ultimo carico, la trebbia finisce. Non ricordo cerimonie di chiusura. Qualcosa di più dimesso ci sarà stato di certo.
    Il giorno dopo le donne si alzano all’alba (lavoravano in cucina già da prima) e, agli ordini dell’anziana di casa, predispongono l’unico pranzo-cena che durerà sino alla sera. Gli uomini approntano sull’aia una tavolata per più di cento posti, poi si seggono.
    Ci sono i miei parenti con figli, mogli, nipoti, i “vecchi”, che allora vivevano in famiglia, noi foranei, le famiglie dei contadini, il pretone che berrà e mangerà per quattro. Mio zio rappresenterà il Partito.
    I preliminari sono i brindisi per il buon raccolto, al Duce, al Federale (tutto è buono pur di bere), col risultato che le brocche devono essere riempite di nuovo. Infine il prete borbotta qualcosa, fa un segno di croce e benedizione, e arrivano le donne con spianate di pasta fatta in casa, condita con abbondante e fitto ragù.
    Giungono pure pentoloni di brodo di gallina (consommé) per chi ritenga di assaggiarlo o preferirlo alla pasta, col risultato che tutti vogliono provarne un mestolo. Poi focacce (schiacciate) tagliate a rombi, fette di pane fresco, nuovo giro di rosso (ci sarà anche il bianco col pesce), e poi carne di tanti tipi, stufata, arrosto, polli, oche, salse, catini con insalate e verdure cotte, patate al forno. Non dico la ripetizione dei brindisi alla padrona di casa, all’ultimo nato, al nonno rincoglionito, alla memoria di qualcuno che non c’è più, al Duce, il prete ci mette il Papa. Infine, sul tardo pomeriggio, giunge in quantità il pesce di lago, dono gratuito o pagato poco dei pescatori del Trasimeno, quelli controllati dallo zio squadrista. Così ci sono persici, lucci, tinche. Pensate sia finito? e i piatti coi formaggi umbri, tanto per gradire, e i dolci di casa non disdegnati? amaretti, torcoli, torte?
    Poi frutta e caffè con cicchetti di mistrà, perché ognuno lo vorrà corretto. Girano pure bottiglie con grappe e digestivi fatti in casa, con gli zii di città che chiudono un occhio in quanto è proibito farseli da se.
    Prima di chiudere, era già quasi buio, non mancava chi tentasse di lanciare l’idea di farsi, perché no? due altri fili di fettuccine.
    Poi abbracci, saluti al Duce, grazie reverendo, una volta o l’altra invitiamo Mussolini, a quando una festa per la Casa del Fascio? e via.
    Non ricordo alcunoindisposto di stomaco, me compreso, sarà stata l’aria fine, gli intervalli, gli stomaci di allora abituati a ricevere saltuariamente robuste quantità di cibi e bevande.
    Il giorno dopo, per tradizione e accordo, le donne, i ragazzini e ragazzine, tutti a fare la spiga (la raccolta era cominciata in sordina già da prima, ora è ufficiale). Il raccogliere quanto sfuggito alla mietitrice è un lavoro faticante, sempre chinati per ore.
    A fine giornata c’è chi ha fatto pure venti-trenta chili di spighe, che poi vengono ”trebbiate” battendole sull’aia o sfregandole fra le mani, ricavandone un sacchetto di grano portato via dalle raccoglitrici (solo donne e bambine. Tollerato qualche ragazzo). E’ un piccolo guadagno sia economico, sia per tradizione e buon augurio, in quanto ricavato con le proprie mani. Poi cominceranno a usarsi le mieti-trebbiatrici che faranno tutto sul campo, e ogni cosa finirà.
    Un peccato in tutti i sensi per la vita contadina e il senso comunitario, oltre per la politica fascista agricola e lavoratrice.
    Come aneddoto ricordo che ricevetti un piccolo morso da un cagnetto da guardia scatenato, e la mia preoccupazione al pensarmi già morto infettato dalla rabbia, forse in paradiso o forse all’inferno, salvo il fare una quantità spaventosa di iniezioni antirabbiche sulla pancia.
    Espongo il problema allo zio agricoltore il quale sorride e dice “non ti preoccupare, da noi succede spesso, disinfettalo da te, vai in un angolo e pisciaci sopra”. Lo feci e tutto passò.
    Aggiungo che ci sarà pure l’opera d’un folcloristico fotografo d’altri tempi il quale, con una mastodontica camera e attrezzatura, flash a magnesio con scoppio e fumo, un treppiede da Cinecittà, oltre un drappo nero che copriva il capo nel retro del suo scatolone misterioso, fermò più volte tutti noi sulla lastra, con tempi non da istantanea, e immortalò sia la trebbiatrice, sia la pantagruelica tavola con tanti volti inebetiti, e qualcuno pure nell’atto del saluto romano.
    Le immagini, ovviamente in bianco-nero, finiranno ancor più incomprensibili e ridotte, nel giornaletto della Federazione Fascista di zona oltreché in un ingrandimento esposto nella casa degli zii Federale e Fiduciaria, e farà bella mostra di se nella parete del salotto, sfrattando il solito quadro di qualche parente dimenticato.
    Io lo rimiravo e, più grandicello, ci vidi il tocco delle composizioni pittoriche del Bruegel, in particolare quella dedicata alla “Festa di nozze”, che descrisse, con dovizia di particolari, un’orgia mangereccia del suo tempo, ripetibile in cento occasioni nei secoli passati e venire.
    Avrò la stessa impressione dell’estro Bruegeliano nel ricordo di una kermesse carnevalizia di paese, parlo sempre dell’Umbria, ma di ciò parlerò in altro inserto. Ah! la semplicità oggi dimenticata, alla quale sono rimasti legati un po’ di agro-turismi odierni, almeno di facciata, non sempre imprese complementari alla terra, ma solo speculative.


  • ariadipoesia
    00 17/08/2008 11:15
    Belli questi tuoi ricordi delle feste sull'aia.

    Grazie per averceli partecipati Francesco.
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    ELIPIOVEX
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    Registrato il: 23/11/2005
    Sesso: Femminile
    00 01/09/2008 17:15
    Ma allora hai ricordi di mangiate non solo di fame di quel periodo!
    comunque sia metto a posto l'immagine.
    Ecco qui il quadro di Bruegel...