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San Felice - Festa di paese

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    florentia89
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    00 17/08/2008 10:33
    San Felice, patrono di ... ah! quanti!
    Festa di paese

    Ho parlato in precedenza di un mega-pranzo in Umbria, che concluse una mietitura-trebbiatura del grano, e delle affinità che presentava con un quadro di Pieter Bruegel il vecchio, dedicato ad una tavolata di nozze, stupendo nel suo tocco di umorismo amaro, nonché figurazione di una società arcaica, tale da sempre per gran parte del genere umano.
    Dedico questo scritto ad un secondo lavoro del Bruegel, anch’esso pregno di spunti di vita unici, enigmatici ove, come in una scena mimata, gli effigiati, compunti, seri, mai liberamente sorridenti, si esibiscono in una delle tante ricorrenze di paese.
    Il quadro è dedicato per l’appunto a un flash di gaudio villico che, oltre l’eccellenza dell’opera, ha costituito per me un ritorno alle ricorrenze paesane alle quali fui presente nella fanciullezza.
    Ebbene, ne scelgo una fra tutte e di essa parlerò.
    Già dissi che, da parte materna, le mie origini sono umbre, per l’esattezza perugine. Orbene, a parte Perugia, capoluogo di Regione e Provincia, molti furono i centri minori che genitori, nonni, zii, ebbero modo di farmi frequentare al loro seguito.
    Un parente lì, un conoscente là, un camerata antemarcia in qualche frazione, un contadino amico di amici, un po’ di vita ivi trascorsa nel passato, voglia di frequentare una fiera o ricorrenza, comprare olio buono e vino idem, fatto è che bazzicai discretamente Giano dell’Umbria, Magione, Passignano, Pierantonio, Castiglione del Lago, San Feliciano, Ponte San. Giovanni, Tuoro, oltre cittadine maggiori come Assisi, Foligno, Spello, Cortona, Umbertide.
    A volte ci si spinse fino a Spoleto, Narni e Terni.
    Orbene, in una di queste località, Giano? toponimo dal Dio romano Janus, e in occasione della ricorrenza del Santo Patrono, mi sembra San Felice, uno dei tanti San Felice, beati loro, mia mamma mi condusse da parenti, memore sia della sua gioventù passata in loco, sia per l’originalità delle cerimonie che si sarebbero svolte il giorno seguente, degne di essere presenziate al pari delle carnevalesche nonché, ad abuntantiam, di quelle aggiuntesi di recente, le fasciste, visto che parecchi dei loro uomini avevano partecipato alla Marcia su Roma con Mussolini e all’occupazione di Fiume con D’Annunzio (e, malgrado ciò, diverranno presto comunisti duri e puri).
    Siamo così loro ospiti e dormiremo su un paio di materassi stesi in terra nel salotto buono, ove verrà spostato di lato il tavolo centrale..
    Un anticipo della kermesse l’avemmo già nella tarda sera quando, inaspettatamente, col pericolo d’infarto, un susseguirsi di colpi, peggio di cannonate, avvertirono l’approssimarsi della festività.
    Non erano fuochi d’artificio, solo botti, ma che botti benedetto Iddio.
    La casa, vetri e arredamento tremarono, tali e più come sarà fra non molto per le bombe vere che pioveranno dal cielo.
    Poi, onde evitare ci dimenticassimo dell’importanza del Santo protettore ecco, all’alba, un’altra scarica romperci i timpani e, volenti o nolenti, farci ritrovare in piedi per affrontare una giornata a dir poco impegnata nonché consumare una colazione variegata con latte, caffè vero e d’orzo, fette di torcolo, ciambelle secche, uova sode come a Pasqua. Per i grandi si aggiungeranno salsicce, capocollo, lonza, pecorino, bicchieri del rosso aspro umbro.
    Poi tutti fuori, restare in casa sarebbe stata un’offesa al Santo e al Fascio visto che, per il Concordato recente fra il Papa e il Duce, si doveva andare d’accordo anche coi preti. Noi ragazzini sciamiamo per primi e io, con due cugini, affrontiamo le tante attrazioni che poi, per molte di esse, si protrarranno anche nel dì seguente. Avevamo qualche lira, elargiteci da genitori e parenti, così la fantasia lavorava per il miglior utilizzo del piccolo capitale.
    L’uno – due giorni furono più che gratificanti e per essi, anziché redigere un pedante diario, ho pensato di esporre ciò che più s’impresse nella mia mente, tanto da esser ricordato ancor oggi.
    Nella piazza del Comune era un palco ove una compagnia di guitti diede uno spettacolo drammatico (moglie insidiata berrà un innocuo veleno e il turpe figuro punito, con plauso specie delle donne) nonché di esibizione di forza, con rottura di un masso sul petto della loro donna supina, oltre sfide di braccio di ferro fra l’energumeno direttore e i prestanti locali, senza che nessuno vincesse mai qualcosa.
    Poi il “taglio della vecchia” ove si mimava una donna divisa in due con un segaccio, finendo il tutto con la nascita di un bambolotto-bambino, la cui motivazione non capii allora e seguito a non comprendere. Non dico poi di un allampanato che ingoiava una spada, o sparava dalla bocca fiammate pericolose.
    Nelle non molte sedie paganti destinate al pubblico le prime erano per le autorità, comprese mia nonna e una zia, entrambe ostetriche condotte, nonché mio zio, milite guardia del Lago Trasimeno.
    Nello spiazzo antistante la chiesa, oltre una giostra antidiluviana di cavalli scalcinato, svettava la lunga asta ingrassata dell’albero della cuccagna, sulla cui sommità erano appesi più salumi e un prosciutto.
    I tentativi di salita, scivolate, rinunce, non si contarono finché un mingherlino, con l’aiuto di un sacchetto di cenere appeso al collo, raggiunse la vetta trasformato in un feticcio africano, e lancerà giù il pantagruelico premio, fra urla e applausi scomposti.
    E come omettere la gara delle pentolacce, ove giovani bendati tentavano di rompere con un asse quella giusta, contenente un premio mangereccio o una busta dal contenuto misterioso? Solo che il più delle volte sul capo finiva uno scroscio d’acqua o una nube di polvere, fra l’ilarità degli osservanti. In giornata si svolsero poi corse nel sacco, coi contendenti che saltavano e cadevano buffamente.
    Ad una riservata ai piccoli partecipammo anche noi e un cugino ricevette in premio un libretto sul Duce e sull’Impero.
    Non dico poi quante postazioni di venditori di dolci e delicatezze stazionassero attorno e nelle vie adiacenti, tutte con prodotti coloratissimi, troppo, senza un minimo di igiene espositiva.
    Io comperai una saccocciata di girelle di liquirizia e caramelle gommose che s’attaccavano feroci ai denti.
    Molti erano i banchetti ove si friggevano ciambelle e bomboloni, si vendevano tranci di torta, pinoccate, tortiglioni, pere cotte, zucchero filato, nonché mucchietti di sorbe e fichi secchi.
    Poi, fra le incitazioni dei presenti che lo seguivano, un clown di paese, piazzato sul retro di un asino condotto da un contadino, gli alzava la cosa e, miracolo, mostrava venirne fuori un piatto con spaghetti che divorava fra lazzi e frizzi.
    Ai margini della campagna una gara ciclistica per i più grandicelli era diretta da un esponente fascista in camicia nera.
    Ovunque bambini e bambine, paghi dell’aria aperta, giocavano a modo loro; cerchi di legno, biglie sottomuro, picchi lanciati magistralmente, partite pericolose alla nizza, salti cavalluccio e quanto di possibile sfornavano le infanti menti agitate.
    Poi il clou della giornata, la processione, protetta e seguita da carabinieri e fascisti in camicia nera, ove il simulacro del Santo, ieratico, bello, tanto da sembrare un gay odierno, veniva ballonzolato per le strade preceduto dal prevosto, dal Podestà, dal Federale e eminenti locali, più chierichetti, figlie di Maria, angioletti da carnevale, un po’ di balilla con divise accroccate, e in coda un corteo orante di donnette con veli sul capo.
    Il corteo si apriva con la banda del paese che intonava gli inni avviati dai cantori e dal prete poi, terminata la cerimonia, si esibirà in chiassosi pezzi da concerto, inclusi gli inni ufficiali del momento: Giovinezza, la Marcia Reale, La Canzone del Piave.
    E che dire di un enorme palco, almeno per noi ragazzini, ove con poco si partecipava ad una “pesca” fornita di premi sontuosi, perfino una bici, con risultati ridotti a caramelle o burrattinetti di terracotta?
    Nella piazza, assieme a indovini con pappagallini distributori di predizioni e numeri del Lotto, stazionava pure un fotografo il quale aveva con se due quadri raffiguranti il primo un soldato in divisa coloniale, mancante di testa, sostituita da un foro ove i giovanotti facevano la fila per infilarci la propria e trasformarsi in militi ardimentosi; il secondo un aeroplanino destinato alle coppie che si celavano nel retro, sporgendo solo di testa.
    E c’era il cantastorie che si esibì per il gaudio di tutti, donne in primis, avide di risentire del rapimento del figlio del pilota Lindberg, o di Sacco e Vanzetti, i due italiani “esecuzionati” sulla sedia elettrica. Il tutto con l’aggiunta di poster naif illustranti quanto cantato.
    Fu la penultima volta che lo vidi, l’ultima sarà prima della guerra. Poi spariranno o, almeno, non ho più avuto modo di notarli.
    Al cronista-cantore della fanciullezza mi sono riferito nello scrivere una ballata sull’Unità d’Italia, presente alla fine di questo volume.
    E come omettere un imbonitore che decantava un miracoloso elisir guarente pressoché tutte le malattie, che garantiva un secolo di vita?
    Quanto potrei continuare e quanto ho omesso in particolari minori, specie sui passatempi dei grandi, come partite a carte, alla morra, “schiaffo del soldato”, l’ingurgitare piatti di pasta o altri generi mangerecci in tempi fulmineamente brevi!
    Penso però che il più l’abbia accennato e, se altro dovessi rammentare, non mancherò nel caso d’aggiungerlo.
    Giunse poi l’ora dei pasti, pur se la giornata fu tutta un pasto. E allora vidi tavoli con figuri che ingurgitavano quantità spaventose di cibi fin troppo pesanti. Paste asciutte, primi piatti, secondi, terzi, quarti, carni umbre e pesci del Trasimeno, e così a proseguire, come se un’intera umanità fosse digiuna da secoli. E quanti animali sacrificati allo ieratico San Felice! Polli, anatre, oche, piccioni, maiali, agnelli, vitelli, conosceranno cosa conseguisse alla religiosità di una ricorrenza patronale. Aggiungo i rivi di vino d’ogni tipo in brocche, mentre per noi ragazzini giravano gassose, aranciate e, tramite gli zii, anche due dita di Birrini o Peroncini (così si chiamavano le birre minori, in attesa delle canadesi che verranno con gli americani nel quarantaquattro, a seguito della guerra che, in mille sfumature, già cominciava a far capolino). E questa umanità villica era fervente, frizzante, indaffarata in tutto e niente, specie a imbastire rapporti fra ragazzi, ragazze, oltre adulti e adulte bramosi di mal celate voluttà.
    E così la giornata vide il suo termine, in attesa di una lunga notte per i sensi, le voglie, paga che avrebbe avuto una coda nel dì successivo.
    Io ed i miei rimarremo qualche giorno dai parenti, e di ciò ho ricordi mangerecci sodi, che non mi hanno abbandonato, pur se nei tempi successivi siano stati relegati in inferi culinari da cui star lontani.
    Accenno come esempio degli ambiti fagioli con le cotiche, sia da cotenna suina, sia da prosciutti stagionati, degli ossi di prosciutto cotti, accompagnanti piatti più o meno poveri, a parte gli eterni fagioli. Proseguo con gli strangozzi, detti pure strozzapreti, una pasta povera (acqua e farina) ma quanto appetibile e gustosa.
    E venne la sera. Non si ripeterono i “botti” mattutini e precedenti, ma uno spettacolo pirotecnico, scenografico, costoso, deliziò i tanti che indugiavano in sua attesa col naso verso il cielo.
    Colori splendidi, giuochi d’ogni tipo, miriadi di “oh!” ogni volta che una immensa rosa di gocce lucenti riempisse il firmamento, o mazzi di razzi fruscianti si elevassero in alto, infine gli ultimi tre colpi, solo scoppi, da far sobbalzare ed avvertire che era giunta la fine della ricorrenza di un santo umile e misericordioso, che mai si sarebbe sognato di essere il patrocinatore di una festa solo pagana, licenziosa.
    E allora tutti a casa, anche per San Felice, la cui teca sull’altare verrà chiusa in attesa di un nuovo scatenamento patronale.
    Allora, tornando al primo quadro del Bruegel, quello del pranzo di nozze di cui ho detto, al quale ho collegato il racconto della cerimonia conclusiva di trebbiatura in un podere umbro, ecco a seguire il secondo, che mi ha ricondotto alle esperienze infantili..
    Nello stesso infatti, in chiave moderna, uomini, donne, anziani, piccoli, carabinieri, fascisti, umanità spicciola, si immortalano in una commedia senza fine, quella della vita, ove notai, sia nella tela originale, sia nella riproposizione successiva, la mancanza, in tutti gli attori e comparse di uno stato di gioia allo stato puro, come se essi recitassero una parte obbligata, ambigua, cioè correre, vociare, urlare, seguire riti che si perdevano nella notte dei tempi, comprare, arraffare, fornicare, sparlare, perdersi in azioni e passatempi futili e dannosi, mangiare di tutto, purché s’ingurgitasse qualcosa, sperare che il giorno non finisse mai e poi, questi terminato, lanciare già il pensiero al prossimo anno, quando il povero San Felice sarebbe tornato fra loro, complice dell’isteria collettiva che avrebbe colpito di nuovo gli odierni partecipanti, nonché di una vita ai livelli para-animaleschi, pur con discrete eccezioni, perché questa, lo si voglia o meno, è l’esistenza reale che coinvolge l’umanità, noi tutti.
    [Modificato da florentia89 17/08/2008 10:42]
  • ariadipoesia
    00 17/08/2008 15:04


    Pieter Brueghel il Vecchio - Banchetto di nozze - 1565


    grazie per avercelo proposto [SM=x142874]
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    florentia89
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    00 19/08/2008 09:01
    Festa di Paese
    Questo è un particolare del quadro di Pieter Bruegel il vecchio che ha ispirato questo racconto di festa villica. In effetti si tratta di "Giochi di bimbi" ma in quella ricorrenza alla quale fui presente, nonché in tutte, Santi o non Santi, la parte maggiore la svolgono proprio i bimbi.
    L'altro sovrastante è da riferirsi alla festività della conclusione della trebbiatura del grano in un podere umbro, come riportato nell'inserto postato assieme a Festa di Paese.
    Ciao a tutte - tutti.

    Francesco Mancini



    [Modificato da florentia89 19/08/2008 09:05]
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    ELIPIOVEX
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    00 27/08/2008 22:08
    Tornando alle tue considerazioni finali io penso che le feste di paese anche se come dici tu collimano in esagerazioni, hanno il pregio di riunire le persone in un particolare scopo, in questo caso il Santo patrono. Lo stare insieme, ritrovarsi per pregare, mangiare e anche per divertirsi è una tradizione che unisce tutti gli abitanti della zona, rinunciare a queste tradizioni è un po' come rinunciare alla nostra storia.