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I due sommergibili, i due miei amici d'un tempo

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    florentia89
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    Registrato il: 27/02/2008
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    00 26/07/2008 10:40
    Qualche post in più in vista di una mia assenza ferie-salute.

    I due sommergibili

    Al piano sottostante ove abitavamo viveva una famiglia del nord, trasferitasi a Roma, con tre stupendi figli maschi di cui uno, Giorgio, era mio amico per ragioni di età, scuola, balilla.
    Gli altri due, un po’ più grandi, erano anche loro con me disponibili al saluto, al dialogo, ai rapporti normali fra ragazzi maggiori e minori.
    Venne la guerra e il fratello più grande partì in marina, ove divenne sottufficiale. Si chiamava Rino, diminutivo di che non so.
    Col mio amico Giorgio parlavamo del fratello marinaio, dell’altro in procinto di leva, di noi per l’eventualità che, durando più le ostilità, fossimo chiamati alle armi, cercando magari di stare assieme.
    Lui non aveva dubbi, il sogno di giovane libero ed entusiasta era di pilotare un aereo da caccia, magari un patetico Falco CR42.
    In famiglia si crucciavano del fatto che Rino evitasse di parlare della sua assegnazione e del mezzo d’imbarco. Forse si confidò con il padre, imprenditore edile, ma con madre e fratelli sorvolava sempre. Si sapeva che era sommergibilista, che svolgeva missioni anche lunghe e lontane, che arrivava in brevi licenze preannunciate si e no da una telefonata, che a volte ripartiva dopo uno squillo di avvertimento.
    Da qualche cosa detta dal padre si sapeva che il sommergibile ove era imbarcato aveva avuto a volte problemi sia di natura tecnica, sia per scontri, e con loro erano imbarcati sovente elementi candidati a missioni pericolose e particolari.
    Inutile dire che ogni volta il Giornale Radio annunciasse“un nostro sommergibile non è rientrato alla base” ciò era un colpo per Giorgio e famiglia. Rino però alla fine telefonava onde attestare la sua presenza.
    C’erano dei periodi di silenzio, anche lunghi, corrispondenti alle missioni ma, alla fine, il contatto rassicurante giungeva.
    Un giorno Giorgio disse: “E’ un po’ di tempo che non sentiamo Rino, mamma è preoccupata, speriamo chiami presto”.
    Rino non telefonò e non venne in licenza. Giunsero invece due ufficiali della marina annunciando con tatto che il sommergibile “non era rientrato alla base”. Lasciarono aperto uno spiraglio affermando che avrebbero potuto esserci dei superstiti e dei prigionieri.
    La mamma quasi impazzì e si attaccò disperatamente a un lume di speranza. Il padre si ammutolì. Sapevo e sapevamo che non era favorevole al fascismo, al Duce, alla guerra in corso. Era persona di buon livello di cultura, positiva, non estremista, diceva però, con convinzione, che Mussolini avrebbe rovinato se stesso, noi e l’Italia.
    Il suo modo di pensare era per noi, Giorgio compreso, solo un esternare teorico e intellettuale, che finiva per confermava la regolarità dello status del momento (insomma qualche dissenziente c’è sempre, senza che gli eventi ne siano troppo influenzati).
    In effetti non fu così, il padre a breve andrà al nord e farà parte di una formazione partigiana, credo di “Giustizia e Libertà”.
    Poi finì la guerra, finirono le speranze di ritrovare Rino, oltre le nostre illusioni e aspettative in un’Italia potente e ordinata.
    Il papà si aprì e disse che Rino era imbarcato in un sommergibile addetto a missioni speciali, poteva essere lo Scirè, e che i personaggi a bordo erano incursori della marina che avrebbero portato a destinazione i siluri pilotati, sistemati in cassoni sulla tolda.
    Giunsero pure notizie dalla marina inglese che un sommergibile da loro affondato nel basso mediterraneo, per data, zona, circostanze, poteva essere quello ove si trovava Rino. Era infatti lo Scirè; un nostro mezzo recuperò una parte dello scafo con una botola, che oggi si trova nel museo della Marina al Vittoriano (altare della Patria) assieme a altri cimeli e alle bandiere delle unità della marina militare.
    Ogni volta che vado lì saluto Rino, rimasto con i suoi compagni nel sacello metallico sul fondo del Mediterraneo, sia fosse con lo Scirè, sia su altro mezzo subacqueo, e gli dico: “lo so, siamo stati coinvolti in cose più grandi di noi. Non potrò mai capire quello passato quando le torpedini hanno lacerato il vostro scafo e portato via tante giovani vite. Speriamo che tutto non sia finito e tu possa essere rimasto in qualche modo vicino ai tuoi e agli amici d’un tempo".
    Si vede poi che il destino della morte “liquida”, non pago, pretese un sacrificio ulteriore. Subito dopo il 1950, come se la guerra non fosse bastata, venne l’alluvione del Polesine che sommerse mezza Italia nord-orientale. Il mio amico Giorgio lavorava per la radio e partì per un servizio nelle zone alluvionate.
    Acqua, acqua, acqua, dal cielo, dalla terra, a cateratte, a fiumi.
    Dov’è la strada? dove sono i campi d’una volta? dove sono i canali? è solo acqua, acqua. Sotto una pioggia torrenziale, che lascia vedere poco o niente di una via solo intuibile, l’automobile di lavoro sbanda, manca qualcosa sotto le ruote, si capovolge e scompare in un invisibile canale.
    Così il mio amico è andato a incontrare il fratello nel suo mondo, anch’egli chiuso con i suoi compagni nel sommergibile tascabile Fiat1100, varato nella “Fabbrica Italiana Automobili Torino”.
    I genitori e il fratello restante non piansero più, le lacrime le avevano finite, si ammutolirono fra loro e con gli altri, chiedendosi perché il destino li avesse tanto ferocemente colpiti.
    E’ dura per chi legge e per me che scrivo. Spero che Rino e Giorgio si siano abbracciati nel loro mondo oscuro e in qualche modo siano rimasti accanto alla madre, al fratello, a noi. Solo come aneddoto di chiusura, estraneo al fatto riportato, aggiungo che mia madre, malata di cuore, morì in piedi mentre abbracciava la mamma di Giorgio andata a fargli visita, e che la famiglia abbandonò l’appartamento sotto di noi per trasferirsi in un’altra scala, stesso palazzo, prospiciente il nostro.
    Non potevano sopportare di vivere negli ambienti che li videro uniti e felici prima della tempesta materiale e morale che li colse.
    Concludo ricordando che fu Giorgio ad avvertirmi nel Gennaio 1944 che un primissimo mattino una pattuglia fascista venne ad arrestarmi, bussando per errore da loro, abbandonando al momento l’operazione in quanto ritennero di aver raggiunto l’ultimo piano del palazzo, confermati in ciò dal mio amico. Senza lui chissà? Potrei essere oggi in un sacello delle fosse Ardeatine (ne ho parlato in altro inserto).

  • ariadipoesia
    00 26/07/2008 13:53
    ...Potrei essere oggi in un sacello delle fosse Ardeatine ...
    e chi ci avrebbe regalato i nostri buongiorno e raccontato tutte queste storie di vita così interessanti?


    Grazie di esistere [SM=x142842]