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Africa, addio!

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    florentia89
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    00 25/07/2008 19:59
    Anzi, Affrica, come si diceva un tempo.

    Secondo me - Africa addio

    Vissi la perdita dell’impero etiopico con dolore, costernazione, rabbia. Provo a parlarne per come sentii e percepii la dura vicenda, ne tratterò come sempre liberamente, come la vedo io.
    L’Africa Orientale Italiana, A.O.I. è perduta. Il Duca d’Aosta ha ottenuto l’onore delle armi dagli inglesi, dopo la cessazione degli scontri sull’Amba Alagi, altre resistenze ci saranno per poco, infine il sogno africano nel Corno d’Africa si chiuderà definitivamente.
    L’Etiopia ritorna al Negus Hailé Sellasié, l’Eritrea e la Somalia italiana non si sa a chi, per ora saranno sotto i britannici.
    Inglesi e francesi riprendono le loro Somalie. Tutto torna al 1935.
    Mia zia Anita vive da sei anni ad Asmara, in Eritrea, ove si trasferì con il compagno dopo la proclamazione dell’Impero, promettendomi che, finiti gli studi, mi avrebbe preso con lei e l’avrei aiutata nella conduzione dell’Hotel-Pensione avviato in città.
    Asmara, dopo il 1941, non più italiana, è sempre una bella città, di non elevate dimensioni ma non un piccolo centro, sta per raggiungere i centomila abitanti, all’incirca metà nazionali e metà indigeni, contro le poche migliaia della fine del 1800 quando fu occupata dalle truppe del generale Baratieri. La popolazione eritrea ci è favorevole, parla italiano, si è adeguata a un discreto livello di nostra vita coloniale.
    Però inglesi e comunisti fomentano giovani e giovanissimi, prospettando un futuro libero, sociale, avanzato, forse democratico, magari da loro controllato e indirizzato, magari sfruttato. Influiscono all’instabilità del momento le infiltrazioni dei tanti abissini delle terre limitrofe, site negli incerti confini di sempre, e quelli mandati da Addis Abeba per cercare di promuovere una unione con l’Etiopia la quale, tentata parecchi anni dopo, risulterà impossibile e sarà fonte di guerre lunghe e sanguinose. Mia zia è rimasta sola, il compagno è ora prigioniero in Kenia. Ha già subito prepotenze e attacchi dai guerriglieri eritrei e abissini che hanno attaccato le nostre sedi istituzionali. Il suo Hotel comunque è salvo in quanto gli inglesi l’hanno destinato ad accogliere i loro ufficiali. Lei continuerà così a curarne la conduzione, assistendo i militari di Sua Maestà Britannica e non più i Pavolini, Starace, Ciano, Farinacci, Muti, Teodorani, altri, sia militari, sia soprattutto dell’entourage fascista.
    Un maggiore inglese, suo ospite, gli dice che il crollo etiopico accelererà la disgregazione degli imperi coloniali e che loro, a guerra finita, se la dovranno vedere coi problemi dell’India, Egitto, senza ciò che potrebbe avvenire in Sud-Africa, Canada, altrove. E’ convinto che anche i francesi, olandesi, belgi, portoghesi, spagnoli, vedranno la fine delle colonie e protettorati Africani e in aree asiatiche.
    Passata la prima emergenza, conseguente alla occupazione della città, vari eritrei a noi fedeli rassicurano mia zia di stare tranquilla, in quanto provvederanno loro a proteggere la sua persona e i beni, almeno quelli che restano. Il suo fidato assistente ne fa parte e ne diviene l’ombra. Con questo simpatico collaboratore lei avrà più volte a ridire in quanto, oltre a trovarselo incollato nei luoghi e momenti più impensati, egli non intenderà togliersi mai i … guanti bianchi con i quali serviva in casa e a tavola, nemmeno in cucina, quando trafficava con piatti e pietanze, tanta era l’importanza che gli attribuiva, come status-simbol della sua posizione riconosciuta dagli altri dipendenti.
    Il Negus nel frattempo ha ripreso il potere e ordinato che gli italiani non abbiano a subire ritorsioni. Ciò contribuirà a migliorare un po’ la vita. Peggiorerà invece quella degli eritrei somali in quanto, noi fuori, con inglesi amorfi o taciti istigatori, si accenderanno subito scontri fra tribù, etnie, gruppi religiosi, banditismi vari.
    Tutte le nostre attività sono per ora sotto controllo o sequestro inglese o del governo centrale, non verranno però smantellate. Ad Asmara la vita riprende un barlume di normalità, con gli italiani che hanno potuto scampare la prigionia o l’internamento. Mia zia spera di essere autorizzata a un soggiorno indeterminato, ma la commissione rimpatri inglese e della Croce Rossa Internazionale stabilisce che lei, pur se la guerra è in corso, dovrà rientrare in Italia con una delle prossime navi a ciò addette. Motivazione determinante sarà il suo stato di “nubile”, di “single” (il compagno ora prigioniero era già sposato e diviso da tempo, ma allora il divorzio non c’era).
    Lei avrà il sospetto, e l’ho anch’io, che alla decisione abbia influito sia l’essere donna, sia che si decise di allontanare una persona notoriamente di fede fascista, battagliera, decisa, concreta.
    Addio fresca Asmara, distesa a oltre duemilatrecento metri di altitudine, quasi alla sommità dell’altura massima di 2800, addio hotel che tanto impegno personale e finanziario avevi richiesto e accogliesti i massimi livelli del tempo, addio collaboratori, addio a tutto e a tutti.
    Mia zia affiderà l’albergo a una famiglia di amici che per il momento resteranno e poi, dopo la guerra, saranno rimpatriati coattivamente.
    Venderanno tutto a quattro soldi in quanto le nostre attività non troveranno più compratori normali, solo speculatori ebrei, indiani, asiatici, che se le accaparreranno per una manciata di spiccioli.
    Questa famiglia poi, anch’essa in difficoltà, spenderà tutto per la sopravvivenza e il ritorno, così a mia zia non resterà nulla.
    Poi la nave del rimpatrio giunge nel nuovo porto di Assab, quasi terminato, con i suoi ottocento metri di banchina, a quattrocento dalla riva, fiore all’occhiello del nostro lavoro coloniale assieme alla nuova Massaua, passata da niente a venti-trentamila residenti, e divenuta centro di lavoro, commercio, stoccaggio, collegata alla sovrastante Asmara da una ardita funivia e dotata di stupende strade che la collegano all’interno eritreo e etiopico.
    Addio Eritrea, il mal d’Africa stringe il cuore di mia zia mentre la nave si dirige verso il nord, ove imboccherà il canale di Suez. Come dire a lei e ai tanti italiani a bordo, muti e angosciati, che il Duce ha detto “in Africa torneremo”? Così il mar Rosso, Suez, il Canale, Ismahilia, Porto Said, Mediterraneo, in una navigazione comunque pericolosa, infine Napoli, sotto un bombardamento che risparmierà la nave, contrassegnata e evidentemente segnalata.
    Mia zia giunge a Roma, si presenta da noi, e non possiamo fare altro che sistemarla provvisoriamente in una stanza assieme a me, e a volte anche mio fratello, ora militare, di meglio non potevamo.
    Mio padre gli costruisce una specie di box in compensato così lei, proprietaria di un albergo di livello elevato finisce, almeno per ora, in una condizione abitativa che non hanno nemmeno in Russia.
    Andrà meglio in seguito, finita la guerra.
    Poi Roma verrà bombardata di nuovo, è il 13 Agosto 1943, e sui binari fra le stazioni Tuscolana e Termini un convoglio di rimpatriati dall’AOI è centrato dalle bombe. I morti e i feriti non si contano.
    Così molti di loro sono passati direttamente dall’Africa all’eternità, senza rivedere le loro città e tornare alle loro case, forse anche ignorati dagli uffici anagrafici di destinazione.
    Quanto al motto “in Africa torneremo” il Duce non poteva sapere che non solo non torneremo, ma dopo non molti anni un colonnello libico butterà fuori dal paese ventisettemila ex coloni, quelli giunti ai tempi della nostra stupenda colonizzazione.
    Per la verità è bene precisare che in Etiopia i nostri connazionali non ebbero e subire vessazioni o espulsioni significative, anzi direi che restarono ben accetti dalle autorità e dal popolo etiopi.
    Dall’Africa saremo usciti si, ma essa pagherà caro il nostro abbandono. La Somalia, pur affidata brevemente al nostro controllo, conoscerà sommosse e massacri ancora non terminati.
    L’Eritrea se la vedrà con decenni di lotte per l’indipendenza dalla confinante e immensa Etiopia, ove ammazzeranno il Negus, diverranno comunisti, oggi non so cosa, dimenticando del tutto il progresso che potevano raggiungere con noi. Sono tornati alle divisioni di sempre facenti capo ai loro Ras fieri, indipendenti, obbedienti al potere centrale solo se di loro gradimento, decisione, tornaconto.
    A un cameriere eritreo conosciuto in Italia, in un Hotel di Varese, che tornava ad Asmara per le ferie, ho chiesto di controllare l’esistenza e lo stato dell’Hotel di mia zia. Egli mi ha confermato che esso è sempre li, le tracce dell’insegna ci sono, e ora è occupato da una ditta di import-export di prodotti orientali, gestita da indiani, tutto in una città dimessa, con una gioventù poco propensa verso noi, e i vecchi però che parlano italiano, ci ricordano, percepiscono le loro pensioni di guerra. Cara zia, la tua fede e affetto per il Duce e il partito fascista erano per noi proverbiali. Da tempo non ci sei più, ma rimani sempre nel cuore mio, di mia moglie, dei nostri figli.
    Ci amasti e aiutasti tantissimo. Fosti l’unica a sapere che stavo per partire volontario con la Repubblica Sociale, e mi approvasti e appoggiasti segretamente, nascondendolo irresponsabilmente ai miei, affatto favorevoli. Dopo la nostra infelice accoglienza (avevamo in tutto due stanze, non più, lo sapevi), passata la guerra ti sistemasti più che decorosamente in una grande famiglia, signorile in ogni senso, come direttrice di casa (se eri uomo ti avrei qualificato “Maggiordomo”), con cameriere e autisti ai tuoi ordini, che gestivi come facevi nella lontana Asmara. Hai avuto dalla vita tutto e nulla, illusioni e disillusioni, ricchezza e miseria, ma sei rimasta sempre fedele al Fascismo, e con l’inestinguibile mal d’Africa nella tua anima.
    Potessi farlo ti trasferirei volentieri dal cimitero di Terracina a quello della tua amata Asmara ove, sono certo, ci sarebbe ancora qualcuno, magari di una certa età, che potrebbe portarti un fiore.
    Ciao zia, la tua Africa, la nostra Africa, in un certo senso è rimasta anche entro me e non mi abbandona. Già, perché Impero e Duce a parte, avevo fatto già il pensiero a trasferirmi da te nella tua Asmara.
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    ELIPIOVEX
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    Registrato il: 23/11/2005
    Sesso: Femminile
    00 25/07/2008 23:08
    Leggo la nostalgia di un tempo che non tornerà più... conosco anch'io dei conterranei che sono tornati a casa con la coda tra le gambe dall'Africa.
  • ariadipoesia
    00 26/07/2008 00:45
    sempre interessante intrattenersi nei tuoi racconti