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Firme apocrife dei padri

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    florentia89
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    00 06/07/2008 08:18
    Rimembranze scolastiche remote

    Firme dei padri (tre parti)

    Problemi a scuola (parte 1 di 3)
    Ebbene sì, lo ammetto, anch’io in gioventù misi qualche firma falsa di mio padre. Per l’esattezza tre. E’ chiaro che mi viene ilarità al pensare quante ne abbiano messe i miei figli sui libretti della scuola o, per stare ad oggi, le nipoti. Però ai miei tempi esse erano “sacre” e escludevamo l’idea di sotterfugi. Vi espongo il primo caso.
    E’ il 1941. In una delle cavolate che ci inventavamo noi balilla per fare casino, un giorno decidiamo di fare un’incursione nell’ultimo piano della scuola, ove era la sezione femminile, rigidamente separata dai maschi, peggio che in clausura.
    Volevamo arrivare li, in cinque o sei, durante la ricreazione, per consegnare ad una caposquadra (era Letizia, ne ho parlato) un libro giunto al Comando in palestra, indirizzato alla capo-manipolo, una esterna, ma Letizia era la vice e aveva titolo a ritirarlo. E’ chiaro che volevamo solo farci belli con le ragazzine. Poi noi, per via di un’adunata pomeridiana, eravamo già in divisa, quindi predisposti a fare i bulletti virili. C’è da dire che, pur sapendo di non poter entrare nel sancta-sanctorum femminile, lo decidemmo quale prova di coraggio, scegliendo i pochi minuti della ricreazione, nella speranza che i professori stessero lontani per un po’.
    Così arrivammo sottecchi al piano, il volume sotto il mio braccio, puntammo con un certa ufficialità verso la porta e entrammo nel corridoio. Poi, dandoci un contegno, ci dirigemmo verso la classe di Letizia, superandone alcune ove era in atto un modesto baccano, roba da suore, con alunne che vennero ad affacciarsi alla porta per vedere noi temerari e ammirarci! Raggiunta Letizia lei mi guardò sgomenta per l’intrusione e le possibili conseguenze, comunque mi trattò con gentilezza (non era in divisa, non si mise sull’attenti), prese il volume, gli dissi che giaceva da giorni in deposito e mi confermò che l’aspettavano. Era evidente anche per lei trattarsi di una scusa banale.
    Fatta l’incombenza e scambiati sguardi significativi, sbattemmo i tacchi, facemmo dietro-front e ci allontanammo, fieri del nostro ardire e del loro stupore. Successe però che nell’entrata opposta al corridoio apparve la vice-preside e ci vide. Noi accelerammo l’uscita, quasi fuggendo, fra i lazzi delle alunne fuori dalle aule.
    Quello di noi più spilungone, riconosciuto e chiamato (mannaggia!), si fermò ad aspettare, mentre noi scendemmo facendo gli scalini quattro a quattro (uno si storse pure la caviglia).
    Poco dopo ci fu il processo in direttissima per quel qualcosa che non era stato nulla di nulla e aveva provocato solo un po’ di trambusto.
    In un batter d’occhio ci trovammo davanti al preside, c’era anche il comandante dei balilla-professore di ginnastica, con la solita faccia feroce, tanto per cambiare.
    Ci venne imputata un’incursione provocatoria, incivile, vietata dalle regole scolastiche, con l’aggravante che eravamo in divisa, presente addirittura un caposquadra (io). Finita la filippica del preside attaccò il nostro comandante-prof, che si disse indignato per questo atto inqualificabile. Entrambi rifiutarono la scusa del libro da consegnare.
    Poi il comandante-prof chiese cinque giorni di sospensione per tutti, nota di biasimo da far firmare al padre o chi per lui, e il ripresentarsi accompagnati da un genitore.
    Allora il preside, ferme le pene “accessorie”, decretò tre giorni di sospensione. Indi alla sovietica, ove tutti dovevamo dichiararci colpevoli, chiese se eravamo coscienti del nostro agire e ritenevamo giusta la punizione. Io mi ero velocemente accordato con gli altri. Faccio un passo avanti, saluto a braccio teso e rispondo:
    …“siamo spiacenti di aver infranto una disposizione che conoscevamo. Riteniamo giusta la decisione ma chiediamo di partecipare alle lezioni. Per assolvere la punizione proponiamo di andare per tre pomeriggi ad aiutare i militi delle postazioni antiaeree dietro la scuola (c’erano tre batterie a meno di duecento metri). Così non saremo danneggiati nello studio e risulteremo utili a qualcosa”….
    Il preside ci guardò meno gelido: “sta bene caposquadra, mi congratulo con voi e il comandante, andate, saluto al Duce”.
    Il comandante-prof per poco non mi abbracciò, anche se mostrava il viso duro, affermando che, fosse stato per lui…. potevamo ringraziare il cielo di aver avuto a che fare con quel babbione del preside.
    Fu così che ci presentammo con un foglio della GIL al comando delle batterie, già preavvertito. e per tre pomeriggi svolgeremo servizi di sistemazione, pulizie, piccole commissioni, comunque quasi niente.
    Dimenticavo, il vero timore era mio padre, duro su queste cose, così misi la firma falsa sulla nota di biasimo.
    Mia madre invece, senza dirgli nulla (che brava!), verrà lei a parlare con la vice-preside, combinandomi il guaio di dirgli, presenti le altre madri, che io ero “buono”, “rispettoso”, “andavo pure in chiesa”, “forse si sbagliavano”, “ero stato trascinato da compagni vassalli”.
    Porca miseria che vergogna! e la mia dignità di duro, di caposquadra, di balilla, di ammirato dalle Piccole Italiane, che fine faceva? ah le madri che ci vedono sempre come pulcini implumi!
    Poi tutto passò e non se ne parlò più. Nell’insieme è una scemenza, ma anch’essa fa’ parte dei miei ricordi del tempo del Duce.

    Voglia di fare l’eroe (parte 2 di 3)
    Dopo aver parlato della prima firma apocrifa di mio padre, ora tratto della seconda, apposta sempre con un bel magone in corpo.
    E’ il 1943. Malgrado le promesse di vittoria le vicende belliche vanno malissimo. Cominciano ad andare non bene anche ai tedeschi pur se loro, con i mezzi e organizzazione di cui dispongono, si difendono meglio, attaccano o contrattaccano. Sono finiti però i tempi delle vittorie lampo, direi che sono quelli delle ritirate.
    Per tornare all’Italia, a casa nostra cioè, è rientrata l’ARMIR dalla Russia decimata e sfiduciata, abbiamo perso la Libia, gli alleati sono in Algeria e Tunisia a un passo dalla Sicilia. Ci affondano parecchie unità navali e sommergibili, l’aviazione, molto ridotta, fa’ quello che può, le incursioni martellano le città. C’è rassegnazione, dignitosa povertà, speranza per molti che la guerra finisca presto, in qualsiasi modo, in quanto alle illusioni esse sono finite da un pezzo.
    Io sto conducendo un anno scolastico difficoltoso per i problemi che ho elencati, inoltre nella GIL, ove ora sono avanguardista, c’è aria d’abbandono, impensabile pochi mesi prima.
    Perfino la mia vecchia legione si è ora trasferita con il comandante in un appezzamento agricolo nella zona Casilino-Tuscolano, creando una specie di kolkoz o kibbuz fascista, condotto dai balilla, che svolgono le più disparate funzioni agricole, con i precedenti impegni quasi assenti.
    Che è successo o sta accadendo? Io vorrei fare qualcosa, ma cosa?
    Nel palazzo c’è un amico, di un anno maggiore di me, che è aviere volontario ed ora si trova a Pisa, ove hanno base i nostri pochi quadrimotori Piaggio P108. Lui venne arruolato a 16 anni, lo scorso anno, la mia età di oggi, quindi potrebbe essere possibile imitarlo.
    L’amico mi sprona e avverte che stanno cercando avieri semplici e c’è un centro reclute a Capodichino, base anche dei corsi ufficiali.
    Lui parte, torna, mi da notizie più precise e dei moduli di arruolamento. Mi dice che conosce qualcuno e non dovrebbero sorgere problemi insuperabili per l’età .Prendo lo stampato, lo riempio, indico la data di nascita, precisando anche che “vado per i diciassette anni” e poi viene la grana. Deve essere apposta la firma del genitore esercitante la patria potestà, vidimata in Delegazione. Che fare? mio padre non la metterebbe mai, non perché antifascista, ma per i miei pochi anni e perché aveva capito cosa sarebbe accaduto a breve.
    Allora rifaccio prove su prove e infine l’appongo io (questa volta più appariscente di quella della scuola). Non faccio vidimare nulla, mi invento però l’applicazione di una marca da bollo annullata con un datario, una pena a vedersi. Spedisco la richiesta con una raccomandata, allegando una lettera di accompagno in cui esprimo il mio amore per la patria e la speranza di essere accettato.
    Passano un po’ di giorni, quasi non ci pensavo più, quando un carabiniere si presenta dal portiere con un plico da consegnare “personalmente” a me. Il portiere mi chiama e consegna la lettera.
    Da non credere! la domanda era stata accettata senza problemi per la firma di mio padre non autenticata (potenza della marca da bollo sostitutiva della vidimazione) e mi si comunicava dal Comando Aeronautico che sarebbero seguite istruzioni. Mi preparo a partire. Lo comunico all’amico che da’ probabile la “chiamata” per il successivo ottobre. In tale attesa arriveranno gli alleati in Sicilia, due bombardamenti su Roma, cadrà Mussolini, infine l’8 settembre cadrà addirittura l’Italia e del mio tentativo di fare l’eroe non se ne parlerà più. Peccato! Oggi avrei rotto ai ragazzini con qualche racconto tipo “Il tamburino Sardo” del Libro Cuore di De Amicis.

    Peripezie 1944 (parte 3 di 3)
    Gennaio 1944, alcuni di noi ex GIL decisero di aiutare il Duce in difficoltà. Ci sparpagliammo nella Monterosa, X°MAS, G.N.R., esercito di Graziani, Battaglioni M. Nessuno pensò ai tedeschi, anche se era stata costituita la 29° Waffen SS Italianische Grenadiere Division (riservata per lo più a gente veterana e scafata).
    Comunque con i tedeschi ci finii io, incredibile! come lo dirò poi.
    Per quanto mi riguarda mi presentai alla caserma M, al Foro Mussolini, mi consegnarono dei fogli di arruolamento da far firmare anche a mio padre, come prevedevo. Dissero di pensarci su e diedero appuntamento dopo un po’ di giorni. Qualcuno, alle mie perplessità circa la firma del padre, mi fece capire che il comando era di manica larga e poco importava chi l’avesse apposta effettivamente, bastava ci fosse, poi tutto si sarebbe sistemato. Al che io misi la terza e ultima firma falsa paterna. Questa tolleranza in fatto di firme generò in alcuni casi che il padre di qualcuno, incavolatissimo, si presentò nei reparti portandosi via il figlio, anche con qualche sberla.
    Mi dissero che avrei dovuto far parte delle “Fiamme Bianche”, reparti non di linea (il mio sogno era la Decima, ma ero piccolo per i marò, grande per le mascotte, vedremo!).
    E qui avvenne il “giallo!” Quei giorni di attesa li avevo utilizzati soprattutto per scrivere una lettera pallosa a mia madre, ove parlavo di Duce, Patria e piagnucolerie varie, come fossi un condannato a morte.
    Poi improvvisamente, alle prime ore di un mattino, venni arrestato e portato al comando milizia di via Brenta (a Roma, ne parlo altrove).
    Mi crollò il mondo addosso! che era successo? Perché nessuno mi diceva nulla, salvo che dovevo attendere un funzionario che non arrivava mai? Mi misero in camera di sicurezza (vergogna!). Sul tardi mi portarono di fronte a un sottufficiale un bel po’ panciuto, svogliato e scocciato, che mi accusò di diffusione di stampa comunista (alle fosse Ardeatine ci finirono ragazzi con imputazioni minori).
    Io mi inquietai un bel po’ e strillai che c..zo stava dicendo, ricevendo un manrovescio seguito da: “te le cerchi, ti conviene dire tutto!”. Feci allora presente il mio attaccamento al Duce, la fede fascista, che ero uno dei primi iscritti al Fascio repubblicano, in procinto oltretutto di partire volontario al Nord, mostrando il modulo che avevo con me (non lo degnarono di uno sguardo).
    Il sottufficiale mi rispose che, per quanto gli risultava, ciò che dicevo erano solo ca...te e che di ardenti come me se ne sbatteva i co...ni (scusate il gergo, ma questi termini furono usati e sono necessari per dare l’idea della situazione in cui mi trovai).
    Poi, sicuro di avermi incastrato, fece entrare uno degli amici della GIL (e della Parrocchia) che dovevano partire assieme a tutti e non partì più, il quale confermò l’accusa.
    Capisco allora il perché dell’arresto. Andò così: io abitavo in un palazzo di ferrovieri (rossi) e capitava, spesso, di trovare un giornaletto o foglio clandestino-resistenziale infilato sotto la porta, o nello stipite, o nella buca delle lettere. Orbene, un paio di questi li mostrai incautamente al mio amico per fargli notare che c’era chi era contrario al Duce e, forse, anche per darmi un po’ di arie da “scafato”.
    Quell’imbecille ne parlò con qualcuno della milizia, questi con qualche altro, finché mi trovai arrestato io e lui testimone.
    Il maresciallo seguì passivamente le mie repliche, poi telefonò al centro arruolamento comunicando che ero da loro e si stavano facendo accertamenti su di me per una denuncia in corso.
    Tornai in camera di sicurezza ove trovai il mio ex amico, che non potei “pestare” come si doveva, avrebbe aggravato la situazione.
    Questi cercò di accampare scuse pretestuose per il suo operato, e forse era lì per farmi dire qualcosa di più.
    Poi qualcuno si mosse. Intervenne per me il comandante della PAI (Polizia Africa Italiana, di servizio in città), che era stato interessato da un nostro conoscente, vicino di casa Egli chiese il mio rilascio e fui rinviato a casa, con l’ordine di ripresentarmi su loro richiesta perché la cosa non finiva li (la milizia vedeva male la PAI, dicevano che erano tutti carabinieri badogliani fedeli al re).
    In via Brenta c’era pure una presenza tedesca, con alcuni militi, per lo più sud tirolesi, che seguirono incuriositi la vicenda. Il loro sottufficiale comandante parlava l’italiano correntemente.
    Egli mi avvicinò e mi disse che quel nostro pallone gonfiato non aveva capito un cavolo o non voleva capire delle mie motivazioni, e che quelli della milizia lui purtroppo li conosceva bene e non erano migliorati affatto da quando ci ebbe pessimi rapporti in Iugoslavia e altri siti ove era sottufficiale nell’esercito italiano.
    Accennò a quanto dovettero fare per tamponare le prepotenze dei militi per cose che l’esercito non si sarebbe sognato mai di compiere.
    Per sbloccare la situazione mi offrì la sua copertura, ne avrebbe parlato al superiore, e chiese benestare a farlo, che io diedi.
    Così quando dovetti tornare dal ciccione, mentre lui concionava e voleva riaprire tutto, il tedesco si avvicinò, salutò e, in perfetto italiano e impostazione militare, gli disse che io, membro apprezzato della Mussolini-Jugend, come avevano accertato (loro si, la milizia no), ero stato inserito in una loro unità di Commissariato militare (Sussistenza) e quindi ero sottratto ad ogni indagine e azione da parte italiana.
    Mi strizzò l’occhio (un accenno) mentre il nostro corpulento sottufficiale, in evidente stato di inferiorità materiale e morale, mandò giù il rospo e “chiuse” la pratica. Io gli dissi che il Duce per fortuna poteva contare ed era appoggiato da ben altri che quelli come lui.
    Il giorno dopo mi presentai alla Caserma Bianchi in via Nomentana, sede del reparto di commissariato Wehrmacht di appartenenza (Sussistenza), e iniziò il mio breve periodo “germanico”.
    L’ex amico, spione o delatore per leggerezza, almeno lo spero, non l’ho più cercato, visto o saputo che fine abbia fatto.
    Avrei voluto rifilargli una sonora crocchiata, ma questo lo avrebbe in parte soddisfatto per aver potuto pagare in qualche modo la sua vigliaccata. L’ho voluto lasciare con il suo rimorso, se ne ebbe.
    Il racconto forse è lungo, D’altronde ho pure detto com’è che apposi la terza e ultima firma di mio padre e com’è che, più o meno volenieri, finii con i tedeschi. E non proverò più a falsificare la sua firma..
    Che si vuole di più?
    [Modificato da ELIPIOVEX 06/07/2008 21:27]
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    ELIPIOVEX
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    Registrato il: 23/11/2005
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    00 06/07/2008 21:27
    Ma tuo padre non sospettò mai niente?
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    florentia89
    Post: 182
    Post: 182
    Registrato il: 27/02/2008
    Sesso: Maschile
    00 07/07/2008 07:16
    Ciao Eli
    Mio padre nei primi due casi non sospettò nulla, in quanto tutto si fermò a mia madre nel caso della scuola, e nel crollo generale dell'Italia quando tentai di fare l'eroetto (piccolo eroe, se è concesso).
    Quanto al terzo caso, quello che mi condusse sei mesi a fare il militare infante con i tedeschi vennero delle complicanze, ne ho parlato in altre parti, non in questo inserto. Anche in tal caso però mio padre, pur sospettando molto, non giunse alla spiegazione finale, logica, della conferma della presenza di qualche sua firma apocrifa.

    Ovvio, parlo di tempi in cui credevamo a qualcosa.

    Ciao Michela
  • fiordineve
    00 03/08/2008 18:47
    Ovvio, parlo di tempi in cui credevamo a qualcosa.


    Credere in un dittatore amico di un boia? [SM=x142831] [SM=x142828]


    Da non credere ai miei occhi. [SM=g27812] [SM=x142818] [SM=x142859] [SM=x142858]