Io sono stato ricercato da Scotland Yard.
La storia risale all’agosto 1971, quando io e quel mio cugino andammo in vacanza a Londra. Alloggiavamo in una pensioncina di un paesino a pochi chilometri dalla capitale.
Andavamo spesso a casa della signora Ernestina, amica di parenti di San Giorgio a Cremano, che ci ospitava a pranzo. La figlia, Annamaria, era del tutto inglese. Quando non andavamo a Londra, Annamaria ed Elain, la sua amica, ci portavano il pomeriggio in giro per pub, bar, chiese e a ballare.
Io parlavo molto con tutte e due ma, per rispetto nei confronti di mio cugino più grande (vitto, alloggio, trasporto in treno e divertimenti, pagati da mio padre), quando ballavamo o stavamo in Bus, io stavo “vicino” a Elain (lui aveva “scelto” Annamaria, la più carina delle due).
Una sera, al rientro – fuori la sua villetta, – fui così trasportato dalla freschezza e dalla genuinità anglosassone di Elain, che la baciai. In realtà “ci” baciammo, perché il sentire era reciproco. I suoi stavano dormendo, io non volevo lasciarla. Ci baciammo di nuovo, stavolta lei fu più “intensa”. Io salii di giri. Non avevo “quasi” mai avuto una ragazza (una sola, e m’aveva piantato dopo nemmeno due mesi – senza “averci mai fatto niente” – intenda chi può). Diciamo che non avevo conosciuto donna in senso biblico. Nonostante ciò non nutrivo nessuna intenzione precisa (anche perché se premedito qualcosa vengo assalito da tremori, mi si blocca il tronco, batto i denti, quindi tutto era – per forza – spontaneo) ma non riuscivo ad accettare che la cosa finisse lì. Arrivai a baciarla anche dentro la sala d’ingresso della casa, buia. Non accese la luce.
I richiami allarmati, urlati sottovoce da mio cugino e Annamaria, mi fecero tornare bruscamente alla realtà. Non potevo rischiare, soprattutto non era giusto far rischiare Elain di essere beccata in flagranza di reato dai suoi cattolicissimi genitori. Con un immane sforzo di volontà e profondissimo dolore, mi staccai da lei – incarnazione della dolcezza celeste in terra – e ci demmo appuntamento per il giorno dopo (il dolore di cui avanti è da intendersi in senso fisico: rimasi tanto eccitato quella sera che ebbi dolori al basso ventre per un paio di giorni, ed ero troppo orgoglioso per “provvedere da me”). Avremmo avuto più tempo. Queste cose, chissà perché, succedono sempre alla fine. E la fine fu.
Non so perché, ma la presenza di mio cugino mi pesava. A casa della signora Ernestina mi ripigliava dicendo che ero inopportuno parlando troppo dell’Italia (ma Ernestina era avida di notizie, era il suo paese natale!) e chiedendo sempre aiuto ad Annamaria per tradurre cose divertenti da una lingua all’altra. Poi diceva che si stava facendo troppo tardi (ma non stavamo in vacanza?).
Ma il colmo fu il giorno dopo, quando, bisognosi di ragazze (almeno io), con la bellissima aria di rinnovamento rivoluzionario in una grande capitale europea come Londra dei primissimi anni ‘70, sulla scia dei Beatles, dei Rolling Stones e del ‘68 francese, ci vennero incontro due ragazze alte e bionde che ci chiesero indicazioni per Piccadilly Circus. Da tener presente che noi non avevamo ancora deciso l’itinerario per quel giorno. Non mi limitai a dare loro l’informazione, mi sembrò naturale chiedere di dove fossero. Erano danesi (quanto amavo quel popolo i cui giovani sono i più aperti al dialogo). Io dissi loro che eravamo di Napoli. Non potrò mai dimenticare con che tono piacevolmente incredulo, con quali occhi pieni di meraviglia, risposero “Naples?”.
“Yes,” confermai, “we come from Naples!” e lo dissi indubbiamente nella peggiore forma d’inglese, come fossimo stati a Napoli e non “di” Napoli. Ma tant'è, capirono lo stesso.
Chiesi a mio cugino se non era più opportuno accordare il nostro itinerario con il loro, in virtù del fatto che non avevamo ancora deciso dove andare – e, soprattutto, in virtù delle “loro virtù”.
Niente, decise che dovevamo andare altrove: Hide Park. Cxxxo, un parco! Allora feci due cose, in un negozio comprai il casco per moto che volevo, e ad Hide Park mi feci fotografare a cavallo di una sedia a sdraio con indosso il casco.
Poi adocchiai una bruna con una minigonna spaventosa e tacchi alti, e dissi a mio cugino che andavo ad abbordarla, che mi aspettasse lì senza muoversi.
Le chiesi il mezzo più veloce per andare a Victoria Station. Nel giro di venti minuti stavo già sul treno per l’Italia. Per oltre due giorni fui “ricercato” da Scotland Yard (famosa per il suo acume e la prontezza a capire); seppi poi che si diede molto da fare nel vano tentativo di cercarmi, le ricerche furono estese a tutto il Regno Unito, finché i miei, presentatomi a casa, avvisarono la signora Ernestina che ero a Napoli.
Ed è così che sono rimasto “schedato” nei loro archivi come “Persona indesiderata, responsabile di aver provocato disordine e disservizio fra le Forze dell’Ordine di Sua Maestà Britannica”.
[Modificato da ELIPIOVEX 30/04/2008 21:10]