FIORI DI PENSIERO: poesie, racconti, riflessioni... Fiori di Pensiero è nato per permettere agli autori dilettanti di pubblicare le loro emozioni principalmente con la parola scritta, ma anche con immagini e suoni, usando il supporto più moderna che esista: Internet. La poesia è la principale rubrica del forum, ma trovano posto adeguato anche racconti, pensieri, riflessioni, dediche, lettere e tutto ciò che il cuore può dettare ed il pensiero esprimere.

Considerazioni, prima di assentarmi per un po'

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    florentia89
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    00 14/03/2008 20:20
    La mia Università
    Secondo me: L’Università dei miei tempi e dopo

    Questo inserto avrebbe dovuto far parte, per ragioni di tempi, di Ragazzi di Portoria, il secondo volume del Trittico, e non Fiaccole di Gioventù, che è il primo. Tale scelta l’ho pensata però confacente in quanto esso viene a completare ii capitoli dedicati alla scuola dei tempi del Duce, che hanno trattato della mia scuola materna, delle elementari e Superiori di più gradi.
    C’è poi che il libro Fiaccole di Gioventù chiude con il 1945, quando avevo diciotto anni, e già da tempo i problemi universitari si presentavano, li trattavamo e conoscevamo nei dettagli, nonché li studiavamo nella scuola e GIL, in vista di un loro possibile obiettivo di vita. Allora:
    Ho parlato delle mie scuole, come le frequentai e conobbi, partendo dalla materna e, a seguire, delle elementari, della formazione di primo e secondo grado, dei licei, della maturità conseguita l’anno dopo la fine della guerra, pur sempre con gli indirizzi precedenti in atto, ancora non inquinati dal degrado che purtroppo verrà presto a rovinare tutto.
    In questo inserto tratto dell’Università dei tempi di Gentile e successivi, romana e italica, mentre sui livelli scolatici precedenti, per quanto possibile, non mi ripeto e rimando ai post specifici.
    Non è improprio io parli dell’Università di Giovanni Gentile, di Alessandro Pavolini, del Duce, di Giuseppe Bottai e altri, pur avendola frequentata e meglio conosciuta non nel periodo fascista, non ne avevo l’età, quanto nel primo anno del dopoguerra, 1946. Di essa ne discutevamo però nelle superiori e fra amici, invidiando i pochi che l’avrebbero potuta frequentare e concludere.
    Per noi di Roma, inoltre, c’è che fummo testimoni della nascita della nuova “La Sapienza”, alle cui cerimonie di inaugurazione, nel 1935, presenti il Re e le autorità, eravamo anche noi Balilla e Avanguardisti, in funzione di rappresentanza e presenza del Partito.
    C’ero anche io, inquadrato con gli altri, avevo otto anni o poco più.
    La positività ed efficienza della “La Sapienza” furono più che eccellenti tanto che, successivamente al decennio 1935 - 1945, ormai in periodo non più fascista, per vari anni di essa non cambiò nulla nei suoi ordinamenti di facoltà, di corpo docente, salvo ritocchi di facciata, quali l’eliminazione dei simboli del regime, non sempre attuata, l’adeguamento di alcuni programmi, il reintegro del Lei al Voi, qualche rettore e professore cambiati, spostati, aggiunti.
    Man mano la situazione perse però l’iniziale indirizzo, sino alle astrusità del 1968 e seguenti, della Rivoluzione Culturale, che la sviliranno in ogni limite, lasciando un’eredità ancora presente.
    Inizio a dire delle “Università degli Studi” e di quella romana in particolare, a valere specularmente per ogni altra del paese.
    Anzitutto le Università nacquero nel medioevo come unioni di Studenti che si associavano per meglio gestire la loro preparazione nei singoli indirizzi di Studio, oggi diremmo Facoltà, cercandosi e scegliendo i migliori professori allora disponibili.
    Solo successivamente gli insegnanti si affiancheranno a loro e, gradualmente, sarà per le Corporazioni, i Comuni, Entità sociali, religiose, civili, finché si giungerà alla forma odierna delle Istituzioni Pubbliche, rientranti nelle politiche dei singoli Stati. Ciò è detto senza nulla togliere alla coesistenza di analoghe Istituzioni Private, laiche o religiose, riconosciute o meno dallo Stato. Comunque, qualsiasi forma di gestione esse abbiano avuta, resta che la loro caratteristica sia rimasta, o dovrebbe essere, quella dell’ assoluta libertà di pensiero.
    Per quanto riguarda Roma e l’Università “La Sapienza”, fra le tre maggiori nazionali e di rilievo fra le europee, sorsero anche qui, inizialmente, i gruppi di studenti che, tali i colleghi italici, si associarono onde gestirsi un apprendimento confacente.
    Avvenne però che, anticipando le impostazioni future, il Papa Bonifacio VIII, con bolla del 20 Aprile 1303, si assunse l’onore e l’onere di istituire lo “Studium Urbis” progenitore della “La Sapienza”, nome assunto nel XVII secolo, prima che Alessandro VII ne trasferisse la sede nell’edificio costruito nel rione Sant’Eustachio, che prenderà il nome di “Palazzo della Sapienza”.
    Di recente, anni sessanta, il nome è stato variato in: “Sapienza Università di Roma”, pressoché identico al primitivo.
    L’Università romana, oltre una gestione laico-ecclesiastica, ebbe anche una conduzione Municipale durante i decenni dello spostamento Papale ad Avignone, per tornare nella sfera Vaticana con il ritorno della Santa Sede a Roma, e tale resterà fino al 1872, quando il governo dell’Italia unita la incluse nella sua legislazione, nominando rettore il professor Clito Carlucci.
    Ci saranno pure due brevi intermezzi “laici”, il primo quello napoleonico, che sposterà la sede nel palazzo del Collegio Romano, nell’omonima piazza, il secondo nella esperienza della Repubblica Romana, rientrando poi nella impostazione e sede consuete dopo i declini di Bonaparte prima e Mazzini poi.
    Ed eccoci agli inizi del secolo scorso e del regime fascista. Ne verrà che, grazie alla volontà del Duce, e all’eccezionale competenza del ministro Giovanni Gentile, il riformatore della scuola e fra i maggiori filosofi del tempo, ne venne disposto il potenziamento e l’ampliamento, rendendola pari o superiore alle altre nazionali e estere.
    Si decise così la creazione della “Città” Universitaria, centro moderno, avveniristico, per la formazione dell’intellighentia romana ed italica, progettato e realizzato dai teams guidati dall’architetto del regime Marcello Piacentini, al quale dobbiamo il rinnovo di tanta parte pubblica e privata d’Italia, nonché il sorgere dell’E42 a Roma.
    Ebbene, al pari delle altre iniziative, essa venne realizzata in tempi brevissimi e inaugurata, come detto, nel 1935. La sede precedente, in Corso Rinascimento, verrà lasciata libera e utilizzata da uffici di Stato.
    Ricordo ci dicevano: …”Il Duce ha voluto questa città degli studi per voi, per l’Italia, per tutti. Pensate, è prevista per più di diecimila studenti!! (una esagerazione, rasentante la millanteria) e non è escluso che alcuni di voi, i più in gamba, con l’aiuto del Partito e delle famiglie, non possano frequentarla”. Quanto ai diecimila, numero che ci spaventava, pensavamo: ”e che ci faremo con diecimila dottori in qualcosa sfornati ogni anno? Assieme poi alle altre università del Regno? Si sommeranno negli anni divenendo centinaia di migliaia! se non milioni! E a che serviranno tanti laureati? E come vivranno?”…
    Ciò senza considerare che oggi alla Sapienza gli iscritti sono centocinquantamila, più le altre di Stato che si sono aggiunte (Roma due, Roma tre ..) e le private (Gemelli, Campus Biomedico, Luiss, Immacolata, Vaticane e altre) di tutto rispetto,
    In totale una diecina, poco più che meno. E la domanda che ci ponevamo è tornata in auge: perché tanti laureati? che faranno poi? E che livello di formazione, maturità, sarà presente in loro?
    A conferma c’è che, a parte la preparazione personale, il mercato del lavoro e professioni, oltre il mare dei disoccupati, è oggi sommerso da “praticanti”, “apprendisti”, “borsisti”, “tirocinanti”, “precari”, “aggregati per qualcosa”, “sottoccupati più o meno eterni”, retribuiti sovente con un quasi nulla di concreto.
    E alcuni di loro, i più fortunati, li ho trovati oltre che in Polizia, più che giusto, addirittura fra gli assunti stabili del Servizio di “Pulizia” Urbana, frammezzati a svogliati operatori ecologici.
    Con due di loro, giovani donne, ci ho parlato negli scorsi giorni mentre svolgevano blandamente i servizi nelle centrali via Condotti e Piazza di Spagna; erano entrambe laureate.
    Come non ricordare allora la mia esperienza di gioventù quando, con tre titoli conseguiti, di cui due maturità, svolsi per più di cinque anni mansioni operaie come facchino, cuoco, pastaio, mugnaio, con turni notturni che occupavano due terzi dei lunghi orari di lavoro?
    Ora passo al particolare, coinvolgendo l’esperienza da me avuta, esemplificativa di una realtà più generalizzata.
    L’Università del mio tempo era un’istituzione esigente e affidabile.
    Non aveva bisogno di numeri chiusi data la limitazione dei suoi iscritti. Era regolata da norme di accettazione rigide, chiare, facenti parte delle disposizioni della riforma Gentile. L’ammissione principe nelle facoltà era data dalla maturità Classica, costituendo essa il maximum della nostra istruzione superiore. Già con la maturità scientifica le possibilità di scelta erano minori, mentre con le maturità tecniche, commerciali, geometri, magistrali, artistiche, specialistiche, le ammissioni erano ristrette ad alcune specifiche facoltà.
    Inoltre l’Università, pur non costando poco, poteva anche affrontarsi, con sacrifici notevoli, da chi vivesse in città, non così per i molti foranei il cui maggior onere derivava dalle spese del “fuori casa”, visto che provenivano dalla provincia o città prive di Atenei.
    Ne conseguiva una certa discriminazione di fatto, sia per i diversi livelli delle maturità conseguite, sia per ovvii motivi finanziari.
    E ciò in un’epoca in cui della prole ne esisteva a iosa, s’iniziava a lavorare a dieci anni, nonché l’indigenza portava a far studiare i figli nella misura minima sufficiente per un veloce inserimento nel lavoro.
    Il paragone con oggi è impossibile. Attualmente una qualsiasi maturità consente l’accesso a tutte le facoltà, salvo il superare l’ostacolo, in alcuni casi, dei numeri chiusi, comunque superabile, vista l’abbondanza delle offerte didattiche e dei relativi candidati.
    Inorridisco al pensare a futuri avvocati e magistrati, laureati in Legge senza aver ben studiato filosofia, latino, greco, così per Medicina-Chirurgia, Psicologia, come esempio.
    Ben fece Gentile che per la mia duplice maturità commerciale previde l’accesso solo a Economia, Scienze Statistiche, Scienze demografiche e attuariali, le più rispondenti alla formazione avviata e consolidata, pur se studiai più che seriamente il latino, oltre filosofia-mistica nella GIL. (contestavo però l’accesso alle mie facoltà da chi provenisse dai licei, specie classico, senza un po’ di studi precedenti in economia, diritto, amministrazione privata e pubblica).
    L’abnorme inflazione di presenze odierna l’ho constatata con mio figlio, impossibilitato a frequentare lezioni di rilievo nella facoltà di matematica in quanto le due aulette “magne” disponibili, sui duecento posti ognuna, in rapporto ai diecimila e più iscritti, traboccavano già ore prima dell’inizio (e lo dovetti trasferire alla Statale di Milano).
    Altrettanto dico per un mio nipote il quale, nella facoltà di Scienze della Comunicazione romana, credo ventimila iscritti (che faremo con tanti comunicatori! bah!), viene sballottato non in aule universitarie, ma in sale cinematografiche e parrocchiali impegnate per l’occasione!
    Ed ho visto esami di Laurea in Architettura svolti in serie, senza domande specifiche, bensì con un veloce passaggio della commissione davanti gli scanni ove erano esposti i lavori dei laureandi, con loro accanto ai quali, per lo più, non venne chiesto nulla. Ho assistito ad esami di Economia troppo routinali, in ambienti e strutture fatiscenti e sciatti, con esaminatori di livello non eccelso.
    E non dico degli esami collettivi del sessantotto e successivi, quelli del “diciotto” politico, che non si rifiutava a nessuno purché di indirizzo rosso o rossastro, nei quali si laureò in Economia un mio congiunto su cui non mi dilungo, nel timore mi legga e mi affronti in malo modo il quale, malgrado la laureetta, seguiterà a fare il mezze-maniche di sempre, andandosene in pensione semi-baby per le difficoltà dell’azienda ove lavorava (rifiutai di usufruire del titolo facile, comportante uno schieramento fra gli scarlatti che aborrivo).
    Non posso dire altrettanto per la mia prima figlia, oggi medico primario, e il suo più che eccellente Ateneo di Pavia.
    Per l’Università come la concepivo, e la concepisco tutt’oggi, mi iscrissi a Scienze Economiche nel 1946. Era sempre quella dei tempi del Duce, con un numero non eclatante di studenti, la frequenza ferreamente d’obbligo nelle materie principali, i professori e gli studenti che si conoscevano. Aggiungo un insegnamento eccellente, testi del periodo di Gentile, serietà ed applicazione da parte di tutti.
    Per il 1947 e 1948 le cose andarono bene, ne ho parlato in Diari di Vita, e superai vari esami principali e minori.
    Poi giunse il 1948, con il servizio di leva che decisi di svolgere e l’emergenza imprevista dell’attentato a Palmiro Togliatti, il capo dei comunisti italiani, che scatenò l’Italia del centro-nord, Toscana e Emilia in particolare, ove mi trovavo, in una nuova guerra civile, cosa che ci impegnò al massimo come esercito, e mi impedì di sostenere alcuni esami nei quali mi ero preparato.
    Finito il militare eccomi da operaio a impiegato, cosa per me eccelsa, ma con il risultato che gli orari partivano dalle otto e trenta mattutine per cessare alle diciannove, sabato compreso, salvo un lungo e incongriente intervallo di pranzo.
    Con ciò dovetti dire addio al frequentare le lezioni mattutine obbligatorie, sarebbe stata la stessa cosa per le pomeridiane, mentre le serali non esistevano (come operaio, per frequentarle, ottenni di svolgere solo turni notturni e pomeridiani).
    A nulla valsero sotterfugi meschini escogitati per superare ciò, scoperti puntualmente dai professori di esame. I tempi però stavano cambiando e si diceva che gli odiosi bolli sui libretti sarebbero stati aboliti. In effetti ciò avvenne, con il risultato che una notevole massa di studenti si trasformarono di colpo in coloro definiti “Sapienza e Volontà”, intendendo con Sapienza l’Università di appartenenza, e per Volontà non le qualità personali, bensì l’Istituto per corrispondenza Volontà, imperante nel campo delle preparazioni alle maturità, onde sottointendere che le lauree erano conseguite con il “fai da te” di sempre, per quanto concreto o controproducente esso sia stato.
    I momenti però erano duri e una laurea prevedeva in primis fini di lavoro e impiego, più che una formazione e soddisfazione personali.
    Per quanto mi riguarda, con le mie maturità, avevo già raggiunti nel lavoro livelli di tutto rispetto, compatibilmente con l’età, ed era ovvia la mia intenzione a migliorarli tramite il dottorato in economia.
    Due eventi mi posero però in aspettativa imprevista, per riprendere la conclusione in momenti successivi e in forma diversa. Ho detto più volte che ci trovavamo in periodi duri di luci, ombre, pericoli, delusioni, e ne venne che da due filoni particolari della vita d’allora vennero chieste, a me ed altri, prestazioni particolari, anche molto, coinvolgenti una discreta parte della mia e nostra disponibilità.
    Uno di questi, non proprio alla luce del Sole, riguardava il mio datore di lavoro, cioè i preti, e non mi tirai indietro, l’altro, ancor più anomalo e indirizzato, si riferiva ad una entità politica diciamo “nera”, più concreta, spicciativa, e di una certa riservatezza. Questi impegni, non senza rischi, contribuirono, assieme ai miei orari balordi, a mandarmi un po’ fuori corso.
    Al loro cessare mi trovai con una situazione universitaria diversa, cambiata in meglio per la libertà delle frequenze, e in peggio per tanti motivi anticipatori delle nubi che si addensavano.
    Frattanto erano sorte nuove esigenze nell’Azienda. Così il Direttore:
    …”Sò che sta riprendendo gli studi e ha intenzione di concludere per la laurea in tutta velocità. Parliamone un po’, se vuole”…
    …”sappiamo che l’Università romana è in degrado e, meglio di noi imprenditori non può dirlo nessuno, tanto che se ci serve qualcuno in gamba lo prendiamo alla Bocconi di Milano. Nell’ufficio ci sono quattro che stanno portando avanti esami con poco entusiasmo, aggiungo scarso anche per la Società e me, che non so cosa farci quando s’illuderanno di essere diventati chissà chi”..
    …”non si aggiunga anche lei a loro, perché l’azienda di amministrativi più o meno bravi, ma senza vèrve, ne ha fin troppi. Mi serve invece un dirigente commerciale sul quale puntare, a cui farei iniziare da subito uno specifico percorso di lavoro, senza attendere oltre, e ho pensato a lei. Le faccio una proposta, la valuti”..
    …“Fra le nostre Associazioni Industriali, d’accordo con il Dicastero della Pubblica Istruzione (quello per l’Università non c’era), abbiamo creato da tre anni a Torino, col patronage Politecnico, un Istituto Universitario dedicato alle necessità che noi Aziende stiamo avendo in questo dopoguerra, sia nel campo nazionale che internazionale”…
    …”Il Ministero rilascerà i diplomi in “Scienze Aziendali” per gli indirizzi specifici che si sceglieranno. Soldi non ne darà e non li aspettavamo. A quelli penseremo noi, oltre le rette dei partecipanti, che non saranno quelle delle Università di Stato”…
    “Partirà a Ottobre un corso basato su un triennio applicato al Marketing, Promozione, Immagine, e un biennio alla Organizzazione Industriale, Commerciale, Amministrativa. Il numero è chiuso e le sessioni due, una per i giovani delle maturità, un secondo per funzionari, dirigenti, capi-uffici, che destineremo noi, questo con svolgimento dal Venerdì pomeriggio alla Domenica compresa. Le ore di studio saranno le stesse, solo che il training in società voi lo risparmierete, in azienda ci siete già, e per gli esami già sostenuti vedranno se riconoscerne alcuni, potrebbe risparmiarsi pure un anno”
    …”Se lei accetta, e io in tal senso mi sono sbilanciato, valuti che dovrà essere una sua decisione. Non potremo riconoscergli rimborsi, li chiederebbero tutti, né altre facilitazioni. Ciò non vuol dire che io non possa chiudere un occhio, anzi due, su ciò che è possibile fare. Quanto al lato economico farò in modo che guadagni di più, con qualche incarico e gratifica non correlati allo studio. Come benefit, lo avevo già deciso da tempo, gli assegneremo uno dei venti appartamenti, che stiamo approntando all’interno dello stabilimento, ad un fitto del tutto simbolico, praticamente gratis, e non è poco; ciò la faciliterà senza problemi per me e altri (mi ero sposato da poco)”…
    …”Se ci vuol pensare vada qualche giorno a Torino a dare uno sguardo. Interessa anche a me saperne di più; sul colloquio la prego di mantenere riservatezza. Sappia che sull’iniziativa ho sentito solo lei”...
    Eccomi allora proiettato a Torino, ove conoscerò una realtà formativa e didattica di una serietà inconcepibile per noi romani o foranei, eccomi a tu per tu con valenti colleghi professionisti, tecnici, dirigenti, provenienti dalle maggiori realtà nazionali, rispetto le quali la mia entità di lavoro, pur la maggiore romana, è minima cosa, eccomi un abitué dei primi treni cuccetta che iniziavano a circolare, un assiduo dei voli notturni postali, solo o in pochi, fra pacchi, colli, sacchi di corrispondenza, che mi sbarcavano a Caselle in piena notte, con pernottamento finale nella sala sosta, in attesa del primo pullman-navetta del mattino, eccomi studiare dappertutto, nonché rinunciare alle ferie e festività per i Sabati che utilizzavo, allora lavorativi, oltre vari Venerdì aggiuntivi (non tutti), eccomi sostenere decine di esami impegnativi, con docenti all’incirca di pari età, a me accomunati con l’esperienza di un lavoro di media o alta dirigenza in atto.
    Alle due discussioni di tesi mi accompagnò mia moglie.
    Conseguii quasi il massimo della votazione e, con la loro esigente pignoleria, non è che si allargassero con alcuno; anzi devo dire mai lo fecero, sarebbe stato uno scopiazzamento degli inflazionati centiodieci e lode elargiti un po’ ovunque per manica larga o compiacere qualcuno.
    Venni poi invitato a ritirare una corrispondente laurea negli Stati Uniti, previo un colloquio di conferma, in quanto l’Istituto Torinese, tramite i suoi patron, era ilcorrispondente europeo della International University Top Executives – IUTE - (Università Internazionale Dirigenti d’Azienda). Il titolo USA non andai a ritirarlo, pur sollecitato a farlo, in quanto allora un volo-soggiorno USA costavano una fortuna e non una scemenza come oggi, altrettanto per la tassa di colloquio e titolo, e inoltre non mi era al momento necessario. Preferii acquisire i titoli di Stato Italiani.
    Che dire? Negli studi torinesi ritrovai tutta la serietà della scuola e dell’Università dei miei tempi, quella del Duce e di Gentile, che formò i quadri eccellenti che diressero l’Italia di prima e dopo la guerra, sino a che il cancro del sessantotto francese non ci colpì con le sue incurabili e inflessibili metastasi.
    Studi oltretutto i quali varieranno in meglio, e molto, la mia situazione di lavoro, presente e futura, specie quando dovrò cercarmi altra sistemazione in quanto la mia azienda, affermatissima, dovette chiudere i battenti a seguito di una insensata lotta sindacale, diretta soprattutto contro il Vaticano proprietario, il quale decise così di cederla a un gruppo USA che la manderà in dissesto in quanto i suoi veri interessi erano immobiliari e non industriali.
    Per quanto mi riguarda, grazie sia al Duce, sia a Giovanni Gentile, aggiungo Alessandro Pavolini e Giuseppe Bottai, oltre il mio intendimento ad uscire dal mondo delle necessità che ci avvolse quando tutto cadde, eccomi assegnato a incarichi sempre più elevati e responsabili, funzionario, dirigente, direttore settoriale, amministratore delegato, eccomi a lavorare con italiani, elvetici, americani, inglesi e, infine… eccomi in relativo riposo, non dico pensione, mi va’ storto (ah! gli anni), pur impegnato a scrivere per me, la mia famiglia, gli amici e lettori, mi auguro anche per un po’ di posteri! Perché escluderlo?
    Non avrei raggiunto nulla, però, se mi fosse mancata la spinta inculcatemi in gioventù dal Duce e Gentile, e non avessi trovata una sede prestigiosa cisalpina che mi riprese a balia di studi, ormai semiadulto e non ragazzotto speranzoso.
    No, cara “La Sapienza”, ti stimo, ti rispetto, mi rivedo balilla nel tuo piazzale con vicini il Re e altri, ma consentimi di riconoscerti poco per quella che dovevi essere nelle intenzioni del mio Capo e del mio ministro e filosofo di gioventù.
    E non ho toccato i tanti lati bui della tua vita interna, le sommosse rosse e rossastre, quelle altrettanto cupe del nostro nero, Paolo Rossi, Marta Russo, i tanti sprangati dai facinorosi, le contestazioni ai politici e sindacalisti di spicco, fino all’ultimo episodioveramente inconcepibile, di vietare cioè la parola al Papa professore e teologo Benedetto XVI, il successore nientemeno di quel Bonifacio VIII che ti fondò, e dei tanti Papi che curarono la tua conduzione e impostazione.
    No, non ti riconosco, pur se non posso dire tu mi sia estranea..
    E dove è la libertà di parola, garantita sempre e ovunque all’interno degli Atenei di ogni parte del mondo?
    Dove è la libertà di giudizio, il rispetto delle idee, la tolleranza e la socialità obbligate, non certo facoltative, per coloro che abbiano potuto godere di un certo livello culturale?
    Resta che, a parte le incongruenze scontate dei “nostri” facinorosi neri, magari per immaturità, contrapposizione, anche delinquenza, comunque con nessuna mia scusante, i cosiddetti rossi ti abbiano trasformata in un centro di intolleranza ed estremismo, ben lungi dalle intenzioni di chi ti diede vita, del Papa Bonifacio VIII, del ministro Giovanni Gentile, del Duce Benito Mussolini, dei tuoi rettori più illuminati e valenti.
    E non puoi immaginare quanto mi sia costato esprimermi così.

    ***







    ***
    [Modificato da Cobite 17/03/2008 22:47]
  • auroraageno
    00 16/03/2008 09:37

    Uno scritto da apprezzare e come testimonianza storica culturale e come testimonianza personale del tuo vissuto.

    Ti ringrazio, Francesco, per questa esposizione accurata che mi ha permesso di apprendere cose di cui nulla sapevo, essendo stata la mia formazione scolastica di livello alquanto inferiore.

    Un caro saluto (auguri vivissimi per le analisi di controllo cui ti devi sottoporre...)


    aurora [SM=x142903]


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    00 16/03/2008 23:34
    Un esposto molto interessante.
    Secondo me si tende sempre a vedere migliore il passato perché in qualche modo lo si associa alla propria gioventù, ai giorni più felici e le nostre considerazioni sono spesso falsate dai ricordi.
    Tutto questo per dire che potrai anche ammirare il rigore dell'istruzione fascista ma comunque era una istruzione di regime, il fascismo e il Duce hanno rappresentato un periodo di dittatura nel nostro paese, non di libertà e democrazia.
    Un altro piccolo appunto riguarda invece il tipo di educazione e istruzione odierno. Secondo me uno studente dovrebbe sapere un po' di tutto per poter "sopravvivere" nel mondo del lavoro di oggi. Leggendo il tuo brano mi è venuta in mente un'amica laureata in lingue orientali e che conosce un sacco di lingue straniere. Per aprire una sua scuola di lingue però ha dovuto mettersi ad apprendere per lo meno le basi dell'amministrazione d'azienda (al giorno d'oggi ci sono un sacco di commercialisti ma è molto meglio se tu sai cosa fanno) e così via. Di esempi ne avrei moltissimi (anche di colleghi ingegneri elettronici incapaci perfino di farsi l'ordine della mensa) e che mi dicono che la scuola prima di tutto dovrebbe insegnare a cavarsela...