FIORI DI PENSIERO: poesie, racconti, riflessioni... Fiori di Pensiero è nato per permettere agli autori dilettanti di pubblicare le loro emozioni principalmente con la parola scritta, ma anche con immagini e suoni, usando il supporto più moderna che esista: Internet. La poesia è la principale rubrica del forum, ma trovano posto adeguato anche racconti, pensieri, riflessioni, dediche, lettere e tutto ciò che il cuore può dettare ed il pensiero esprimere.

storie di mici

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    florentia89
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    00 10/03/2008 20:38
    Picchio, il regalo di nozze
    Picchio è stato il mio secondo gatto. Non è che nei dieci anni trascorsi dalla prima passione felina, da Ado, non abbia avuto a che fare con altri mici, però l’abitare con mio padre che non li voleva, lo studio, il lavoro, il dopoguerra, non mi avevano consentito di elargire più di una grattata o una carezza a qualcuno degli ospiti del cortile.
    Nel 1953 mi sposo e con questo ho chiuso la prima parte di Diari di Vita. Gli eventi dopo il matrimonio non li ho trattati, almeno per ora. Ho fatto eccezione per Picchio e alcune vicende che costituiscono la parte restante di questa parte di volume, ed espongono una panoramica di ciò che sarà la mia vita nei tempi non più “remoti”.
    Allora, fra i tanti regali, modesti e modestissimi che riceviamo, ci troviamoun mattino mio padre, accompagnato da mia madre, che si presenta nella nuova casa con una scatola e dice: “visto che ora abiti per conto tuo e ti piacciono gli animali ecco, ti ho portato un micetto della gatta dell’officina ferroviaria. Ne ha fatti diversi, ce li siamo divisi e ho scelto per te questo, è maschio, non vi riempirà di figli”.
    Mia moglie è affatto entusiasta, avrebbe voluto essere avvertita e ha anche delle riserve in merito. Poi ci vede una prepotenza dei miei con l’imporci un micio che loro non accetterebbero mai. Anche io sono sorpreso e mi chiedo com’è che mio padre si sia stranamente convertito alla causa felina. Prendo la scatola e mi trovo con un frugolo che mi guarda con due occhioni chiari e sembra ascoltarmi con le due enormi orecchie. Tenta una zampatina e un piccolo morso.
    Lo prendo in mano. Sta quasi nel palmo, poco più.
    Sembra buono, simpatico e, in quanto a colore, non è come il variegato Ado, o tenebroso come il futuro Nerone, bensì rosso, con striature più accentuate, che ne confermano la parentela e la somiglianza con i fratelli maggiori linci, leopardi, tigri.
    Dico a mio padre: “ma chi l’ha partorito, la gatta del deposito vetture o quella della vostra sezione comunista? Non può essere più rosso di così! non ce n’era uno di un bel nero che a me piace tanto?
    Poniamo il micio in terra e lui si adatta immediatamente a noi, tenta buffamente di rincorrere una mosca, scivola sul piancito, si mette a giocare con la coda, cercando di acchiapparla ogni volta che l’apice si muova, per sua volontà o meno.
    Nel far ciò compie continue giravolte, tanto che quel paravento di mio padre se ne esce dicendo che somiglia in tutto a un picchio, non l’uccelletto dal becco battente, bensì a una di quelle trottole di legno per ragazzi allora in voga, che si lanciavano con uno spago (sparacina) e giravano vorticose a lungo. Accetto questo termine come una specie di battesimo e lo chiamerò e chiameremo Picchio.
    Poi mia mamma apre una borsa, ne esce una vecchia teglia per fare le torte e dice: …”Prendete, non la uso più, mettici della terra, ne ho portata un po’, l’altra te la darà il cortile, cambiala ogni paio di giorni”. Non facciamo in tempo a disporre il contenitore sul poggiolo che già Picchio lo collauda, spargendo terriccio attorno. Sarà più conveniente usare sabbia, ce n’è di sotto, residua di lavori passati.
    Da quel momento Picchio entra a far parte della famiglia, accettato anche da mia moglie più per compiacere me che per convinzione, dimostrandosi più che soddisfatto di ciò che il destino, o il protettore dei gatti, abbiano pensato di elargirgli.
    Quanto al vitto nessun problema, mangia ogni cosa nostra e diviene un perfetto onnivoro. Gradisce un po’ di minestra, pasta, rifilature di carne, qualche sarda o alice. Per bere gli diamo latte e acqua, poi solo acqua, gradisce leccare anche il brodo tiepido.
    I miei genitori gli portano a volte un cartoccino di polmone e rigagli che lui gradisce, ma non ne fa’ un problema, è abituato al nostro menu’ e, alla fine, tornerà sempre a quello.
    Inutile dire che nel 1953 non c’erano scatolette, croccantini, graniglie, cose che non solo rovinano i mici ma, costando pure un bel po’, quei soldi potrebbero essere indirizzati a esseri umani bisognosi.
    Picchio cresce, diviene di taglia consistente, dimostra sviscerato affetto per me, mentre è neutro con mia moglie, pur se è lei a nutrirlo (ad accudirlo penserò anch’io). Parenti e amici dicono: “chi ve l’ha regalato, Togliatti?” (il capo del P.C.I.), oppure: “ma che gli date da bere, inchiostro rosso?”, ancora: “vi foste messo in casa un diavoletto in carne e ossa?”, e per finire: “forse chiederà la tessera di partigiano (rosso) tanto l’hanno data a tutti!”. Con Picchio che capisce ogni cosa.
    Noi abitiamo in un palazzo il cui il terrazzo è composto al centro di un’area per stendere il bucato, e tutto attorno una copertura spiovente in tegole. Così un giorno che Picchio segue mia moglie con i panni da stendere, come fa’ a volte, si avventura sulle tegole, si introduce nella sporgenza di una canna fumaria e non riesce ad uscirne, rischiando di cadere nel cunicolo verticale. Si mette a miagolare disperatamente.
    Accorro e mi avventuro sul pericoloso piano inclinato, senza protezione ai bordi, con il rischio di fare un salto di cinque piani (non sono i tempi che i pompieri si scomodino per un micio). Mi lego con una corda, arrivo dal terrorizzato amico, che ora è pure mezzo fascista con tutto il nerofumo che gli si è appiccicato addosso, e lo tiro fuori.
    In casa ci becchiamo da lui proteste, contorsioni, graffi, perché, lo sottoponiamo a un duro lavaggio.
    E che dire di quando sentiamo dietro l’ingresso il miagolare della gatta della famiglia sottostante che, evidentemente, aveva percepito la presenza di un maschio e voleva socializzare? Trovo Picchio pietrificato dietro la porta, schiacciato al suolo come una sogliola e, se avesse insistito, sarebbe passato sotto lo spiraglio di base. Senza preamboli spalanco l’ingresso e lui si trova naso a naso con una realtà sconosciuta, una micia. Lanciò un miagolio-urlo, arruffò il pelo, e corse a rintanarsi sotto il letto, lasciando insoddisfatta e perplessa la candida femmina, un po’ mignotta, che aveva tentato l’approccio.
    Penso: “non è che abbia un gatto finocchio?”.
    Mia moglie dice che tornando io dal lavoro lei sa già quando abbia imboccato l’ultimo tratto del cortile, in quanto Picchio si porta dietro la porta, immobile, ad attendere il suo socio di vita, cioè io.
    Avverrà poi che mia moglie attenda un figlio, anzi una figlia, e avrà una bella crisi di stomaco quando Picchio, che aveva rubato alcune sarde, ingollate con troppa fretta, le rimetterà tutte sui suoi piedi.
    Lei ci si sentirà male e io inizierò a pensare che il micio potesse essere un problema per la nostra convivenza.
    Verrà la televisione. E’ il 1954, spendo un patrimonio per un Philips 17 pollici enorme e pesantissimo, oltre una antenna tv che per installarla sembrava dovesse intervenire una equipe di ingegneri (ho l’abbonamento nazionale sul 75.000, eravamo proprio pochi). La casa di sera si trasformerà in un piccolo cine, con invitati e autoinvitati.
    Picchio ne è felice e si stende su un cuscino, interessato a quella luce vibrante, ove si vedono cose strane, mai gatti e gatte, e niente odori.
    Infine giunge mia figlia, che lui accetterà con naturalezza. Annusa lei, le manine, la carrozzina, i pannolini stesi ad asciugare (Pampers e simili erano cose future). Mia figlia crescerà nel felice connubio con il gattone rosso che mai ebbe a fargli sgarbi, pur se lei, appena giravamo la testa, gli strappava ciuffetti di peli e gli tirava la coda con energia.
    Per il mangiare era la stessa cosa, lei, a un paio d’anni di età, mese più, mese meno, la troveremo spesso, con mani e ginocchia in terra, a mangiare qualcosa dal piatto di Picchio, infilandosela svelta in bocca, con le paturnie del gatto che si vedeva sottrarre le vettovaglie le quali, almeno questo, erano le stesse nostre.
    Avvenne poi che la piccola si ammalò un po’, gola, febbre, inappetenza, forse un po’ d’asma, e il pediatra di famiglia, igienista maniaco, oltre un po’ checca e altrettanto un po’ pedofilo, emette le sue sentenze, redarguendo duramente mia moglie:
    …“Come signora! Mi meraviglio di lei! Tenere con una figlia piccola un gatto in casa! Certo che ha un po’ d’asma, è conseguenza dei peli ingeriti” … (forse non aveva tutti i torti)” …
    “non sa che l’alito dei gatti è infetto? che le unghie possono portare tetano e infezioni, che potrebbe aggredire? E la sporcizia? E poi sua figlia che ha mangiato roba del gatto, anche se è la stessa vostra! il colmo! da farla ricoverare al Bambin Gesù”…
    E così via, seguitando nelle accuse verso l’innocuo, pulito, troppo buono Picchio. Mia moglie allora è inflessibile.
    La bambina e Picchio sono incompatibili, anche se io non sono d’accordo in quanto una figlia che cresce con un gatto ha tutto da guadagnare e nulla da perdere.
    Stavolta è lei che impone di non avere Picchio in casa. Parte con la bambina per un periodo di villeggiatura in un paesino di collina, nulla di eccezionale, erano quelle spartane degli anni cinquanta, e mi invita a non farglielo trovare al ritorno. Il cuore mi si stringe, che faccio?
    Sistemare un gatto adulto è un problema che rasenta l’impossibile, comunque qualche inutile prova la tento.
    Infine, su consiglio di una vicina, decido per un allontanamento assistito, pur sempre nell’ambito della crudeltà dell’abbandono.
    In casa, aiutandomi con le strutture di uno sgabello e un pesante sacco vuoto, creo una specie di piccola grotta, ove pongo un piattino di carne trita. Cerco così di farci entrare Picchio. E’ inutile io pensi di sequestrarlo con la sua approvazione o con le maniere cattive, sarebbe assurdo, pericoloso. Lui capisce qualcosa, è diffidente, infine entra e in un baleno lo chiudo nel sacco. Non potevo usare le valigette odierne, allora non c’erano o chissà dove si trovavano. Poi chi sarebbe riuscito a ingabbiare quel bestioncino recalcitrante e spaventato?
    Mezz’ora dopo, con le ombre serali, Picchio si troverà fra le rovine romane dei trofei di Mario a Piazza Vittorio Emanuele (parlo di Roma), ove vive una bella comunità felina, di cui parecchi sono anch’essi in una forma di abbandono-assistito.
    Il vitto non manca, per la presenza del circostante mercato e di macellai che gettano loro gli scarti della giornata, c’è poi, oltre noi, qualche donnetta per curare i mici malati e controllare i neonati.
    L’insaccamento, le lamentele, le giravolte nel sacco, l’uscita dal medesimo, sono stati piccoli drammi, ma la cosa è fatta. Picchio esce frastornato, impaurito. Si fa’ prendere in braccio, lo metto in un cunicolo già scelto prima, che sembra una piccola suite. Gli pongo accanto della carne e gli dico che verrò a trovarlo l’indomani, e così di seguito, finché sarà necessario, illudendomi mi possa capire.
    Lui la notte non avrà dormito, ma non dormirò anch’ io dal dolore, tensione, rimorso. Il mattino mi alzo un’ora prima, vado in moto a Piazza Vittorio, compero del polmone. Picchio è sempre al suo posto.
    Lo accarezzo, mi saluta debolmente, forse mi chiede che avesse fatto di male per meritarsi un così ingiusto trattamento.
    Io rinuncio alla mia ora di sonno e ogni mattino torno, trovandolo nel suo hotel o negli immediati paraggi. Noto che, dopo alcuni giorni, egli mi attende, si è abituato alle visite e sorge un rapporto da adulti.
    Mia moglie rientra e Picchio non c’è più. Lacrimoni della figlia che non si rende conto di quanto accaduto, finché un giorno, piccola com’è, la porto a Piazza Vittorio, ove lei riabbraccerà il suo Picchio quasi a strozzarlo, e lui sempre disponibile con le sue testate, strofinamenti, leccatine sulle mani. Mia moglie ha gli occhi lucidi.
    Il servizio di assistenza sociale durerà un bel po’, qualche mese, fra l’altro nel periodo freddo dovetti curargli le zampette che, sia per il clima rigido, sia per le asperità del terreno, si erano piagate. Poi un giorno … trovo accoccolata fuori dalla tana una bella gatta color champagne, capii subito che era la femmina di Picchio. Gli dissi:
    …“complimenti birbante, hai fatto conquiste, eh? Vuoi mettere su famiglia? Bene, domattina vi porterò del polmone in più”…
    Anche la gatta, dolcissima, mi dimostrerà affetto, come mi conoscesse al pari del suo fulvo compagno.
    Poi qualche volta Picchio non si farà trovare. Si era ben inserito, era divenuto un leader e portava qualche segno sulle orecchie di baruffe affrontate con gli altri capi rissosi. Mi avvidi anche che il vitto non era più indispensabile come i primi tempi. Fra l’altro i macellai del mercato gettavano sempre i loro scarti, più che sufficienti per nutrirli.
    Infine per più giorni non lo trovai.
    Lo andai a cercare scavalcando la recinzione dei resti romani e arrampicandomi di sopra, con qualche pericolo. Ritrovai lui e lei in un anfratto più riparato, preparato da qualche signora “gattara”, con la micia champagne che … allattava vari micetti un po’ chiari, variegati, ma un paio stupendamente rossi. Lei miagolò affatto impaurita. Picchio si strusciò, si sentì importante nel mostrarmi la figliolanza.
    Gli dissi: …“Tornerò a trovarti, ma è l’ora che per le visite del mattino ci lasciamo. Vivi felice, hai la famiglia, una moglie, anzi, certo di più, i tuoi figli. Questi traguardi non li avresti raggiunti in casa nostra. Che la fortuna ti assista. Ti dico ciao, non addio”...
    Tornerò a vedere Picchio trovandolo e non trovandolo, così per anni.
    Poi in un inverno rigido non lo vidi più.
    Non posso sapere cosa sia accaduto, forse una malattia, anche se non era ancora anziano, forse un incidente; data l’età e lo stato brado escludo una diversa sistemazione familiare.
    Fatto è che in tutto questo tempo, che lo abbia potuto vedere o meno, ammirerò una fiorente colonia di felini di un bel rosso fuoco, sempre più folta, che bazzicherà Piazza Vittorio fino ai giorni recenti.
    Ci saranno poi i lavori della metropolitana, il trasferimento del mercato nella vicina ex centrale del latte, e i mici spariranno (si saranno trasferiti in qualche altra parte, magari nel nuovo mercato).
    Per i discendenti di Picchio penso che parecchi di loro, data la loro bellezza, intelligenza, vivacità, abbiano trovata una sistemazione come il loro avo, fermo però che la loro epoca più bella resterà quella della libera repubblica di Piazza Vittorio, del villaggio sui ruderi di Mario, di quelli che li seguivano e assistevano.
    Per quanto concerne mia figlia, cresciuta felicemente col micio scarlatto, gli rimarrà il trasporto e l’affetto per il loro mondo. Così nella sua casa giungeranno Paolina, che ci mostrava i micini man mano nati, Bottino, il simpatico pazzoide che ci elimineranno con un boccone avvelenato, Matisse, splendido gattone bianco un bel po’ a modo suo, e Clementina, gatta salvata da mio figlio, dolcissima e mini-moglie di Matisse, la quale decise di scasare quando subentrò il cagnetto cavaliere di sua maestà britannica, tanto impegnativo come razza quanto semplice e affettuoso, cioè Mozart, di cui parlerò nel racconto successivo. Ciao Picchio, ovunque tu possa essere.
    Sai che non ti ho abbandonato, anche se una carognata te l’ho fatta.
    Sei sempre nel mio cuore e posso assicurarti che non ti ho dimenticato, anche oggi dedicandoti questo scritto.
    [Modificato da florentia89 10/03/2008 20:44]
  • auroraageno
    00 11/03/2008 08:59
    Una storia commovente ed edificante, caro Francesco! Grazie d'avere postato questo scritto.

    Sì, è fuor di dubbio che tu non abbia dimenticato Picchio.

    Partecipo ai sentimenti che hai espresso in questo bellissimo racconto.
    Amo anch'io gli animali... Per pochi giorni ho ospitato una gattina che non si sapeva da dove venisse, purtroppo una mattina, uscita di casa, è finita sotto le ruote di un'auto. Un ricordo che mi fa ancora male...

    Ho avuto, invece, a più riprese, e a volte per molti anni, la compagnia di cani. L'ultimo dei quali è stata una cagnolina abbandonata che ho accolto in casa, tra la felicità del mio figlio più piccolo e il disappunto, a livelli diversi, del resto della famiglia.
    Mi ha lasciata dieci anni fa... e anch'io non dimenticherò mai l'affetto ricevuto e donato a quella cara bestiola.

    Grazie, Francesco, ancora, per aver raccontato questa parte della storia della tua vita.

    aurora

    [Modificato da auroraageno 11/03/2008 09:00]
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    00 11/03/2008 21:41
    Un bel racconto. Ci sono però diversi salti di tempi verbali anche nella stessa frase che confondono un po' il lettore.
    Ho comunque goduto la storia fino alla fine [SM=x142874]
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    florentia89
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    00 12/03/2008 08:51
    Ciao Michela
    Ciò che dici è vero ma ha una giustificazione (l'ho detto in apertura del mio primo volume "Fiaccole di Gioventù), cioè per mia tendenza, aggiungo età, io sia portato ad usare molto più il presente, ad esempio, anziché l'imperfetto, il passato remoto, aggiungo il futuro e condizionale.
    Ritorno sull'età, non per pietismo, ma i miei ottanta mi consentono di vedere una lunga vita come si trattasse di un perenne presente, tutte cose cioè che per me sono avvenute non ieri o l'altro ieri, bensì oggi stesso, e ciò in omaggio ad una memoria che madre natura e un discreto esercizio hanno mantenuto direi eccellente.
    Da ciò ne viene che parlando della struttura nuda di un evento io usi i tempi passati, restando poi che alle descrizioni, colloqui, esternazioni, considerazioni, io passi più o meno disinvoltamente al presente.
    Non so se ciò possa considerarsi opinabile, ma è la linea che ho seguito da tempo.
    Pensa che una volta, a quattordici anni, nel 1941, vinsi un modesto premio, di puro riconoscimento, con una composizione poetica dedicata alla Via Appia, la Regina Viarum, adottando per allora un orrore di impostazione e esposizione, cioè nessuna rima forzata, solo assonanze, nessuna lettera maiuscola, nessunissima punteggiatura. Mi aspettavo una bocciatura e invece la Gioventù Italiana del Littorio (leggi scuola fascista) mi diede addirittura un riconoscomento di cui andai orgoglioso.
    Resta però che io sia anche una persona modesta e di una moderata umiltà, pertanto il tuo suggerimento mi spinge a provare di migliorare il tutto, pur restando dell'idea che sarebbe per me una profonda tristezza di parlare tutto al presente per gli eventi di oggi, tutto all'imperfetto per quelli di ieri, tutto al passato remoto per quelli più remoti, a valere sia per descrizioni , particolari, verbali e espositive.
    Comunque ci metterò più buona volontà e vedremo, ok?
    Di nuovo e grazie dell'attenzione.
    [Modificato da florentia89 12/03/2008 08:55]
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    ELIPIOVEX
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    00 12/03/2008 22:33
    ti ho risposto nell'altra discussione [SM=x142888]
    [Modificato da ELIPIOVEX 12/03/2008 22:36]