Quella della sinalefe non è una regola, bensì una
figura metrica. Esiste anche la possibilità di separare le vocali tra due parole consecutive, nella figura della
dialefe, la quale, a differenza della dieresi (separazione all'interno di una parola), generalmente non viene indicata da segni grafici (comunque non saprei come inserire i due puntini).
E' un esempio la terzina
I' cominciai: "Poeta, volentieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri".
Utilizzando sinalefe ovunque possibile, gli ultimi due versi sarebbero decasillabi:
Par-le-rei_a - quei - due - che 'n-sie-me - van-no,
e - pa-ion - sì_al - ven - to_es-ser - leg-geri
La sillabazione corretta prevede invece due dialefe:
Par-le-rei - a - quei - due - che 'n-sie-me - van-no,
e - pa-ion - sì - al - ven-to_es-ser - leg-geri
e così son due endecasillabi.
E' l'autore a scegliere quali figure metriche adottare, chiaramente non tutte le scelte sono ugualmente felici e la loro opportunità può essere oggetto di critica.
Per quanto riguarda gli Haiku, sospetto che l'uso della dialefe sia più fedele alla forma originaria, in quanto nella lingua giapponese le sillabe sono entità a sè stanti e non esiste la possibilità di legarle insieme (ogni sillaba corrisponde a un simbolo e a un preciso suono), ma questo è un fatto di interpretazione e siamo liberi di adattare lo schema alle possibilità della nostra lingua.
Si conti dunque
Fo-glie - d'au-tun-no.
Se-gn-ano - il - sen-tie-ro
del-la - par-ten-za.
Per quanto riguarda i titoli, non conoscevo la consuetudine, avrò premura di rispettarla in futuro.
P.s. Tanka, non tanga
.