Lieto d'aver sollevato una discussione, mi dispiace d'aver offeso involontariamente la tua sensibilità. Nelle mie intenzioni, per come interpretavo le canzoni, il fatto di paragonarle a testi notoriamente più alti non voleva essere offensivo, anzi, il concetto che tentavo d'esprimere, penso che sarai d'accordo, è un concetto nobile.
E' nobile, e di difficile espressione, anche a questo servono la poesia e la religione.
Tentare di liberare gli uomini dal senso di colpa per la disobbedienza compiuta col venire al mondo, questo è il concetto che a parer mio accomunava Vangelo, Dante, De Andrè, ma anche filosofi come Michelstaedter, Stirner, lo stesso Leopardi che prova a dare un senso a questo deserto col suo profumo di ginestre, di poesie. Il senso di colpa deriva, a parer mio, perchè esistendo così, noi, in questo modo concreto e unico, annulliamo, violentemente, ontologicamente, tutte le altre possibilità di esistenza di quel qualcosa che ci ha messo al mondo (es: Tra milioni di spermatozoi, ha vinto solo uno.) Ci sentiamo in colpa, quindi, per essere noi, e quindi per essere ontologicamente dalla nostra parte, ognuno dalla propria parte. Per esprimere ancora meglio il concetto, citerò Emily Dickinson, da una nota poesia dove parla della figura del poeta, dice: "della sua parte ignaro, tanto che il furto non lo turberebbe, è per sè stesso un tesoro inviolabile al Tempo".
Della sua parte ignaro, il poeta. Ma non è neanche dalla parte degli altri: "è per sè stesso un tesoro". In generale, quindi, ignaro di qualsiasi parte, perchè il suo sguardo abbraccia tutto, e di questo tutto ci restituisce l'essenza in poche parole. "Non al denaro, non all'amore, nè al cielo" diceva ancora De Andrè citando Lee Masters. Se il poeta ha il dono di questa immensa imparzialità, chi è parziale? ti stupirà, ma è parziale lo stesso Dio: ecco una terzina di Dante: "La Gloria di colui che tutto move, per l'universo penetra e risplende, in una parte più e meno altrove", cioè, nell'ottica dantesca medievale Dio divide tra beati e dannati. De Andrè la riprende in questi termini: "Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi, ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi". In entrambi i poeti, Dio è "parziale", per motivi diversi. Ma questo dio è un dio da vecchio testamento. Era, possiamo dirlo, parzialissimo. Però la storia vuole che Cristo abbia riaperto le porte del paradiso, col battesimo, la purificazione dal peccato originale. Questo in termini teologici. In altri termini, Cristo è arrivato e ha perdonato tutti per esistere in qualsiasi modo. "Non giudicare e non sarai giudicato". Persino l'adulterà meriterà il perdono, o chi lo uccide in croce. Perchè non sa quello che fa. Ma l'adultera, lei lo sapeva che tradiva. Quindi il perdono non è subordinato alla coscienza della delittuosità dell'azione nell'agente. Non è "perdonali perchè non sanno quello che fanno", ma semplicemente "perdonali". Il perdono è la chiave della sua fede, che ci apre al regno dei cieli. Il regno dei cieli che è un luogo dove nessuno giudica nessuno. Avrai già colto cosa intendo dire, il cielo "sempre più blu", come un abisso, non come una volta piatta, ma come un colore profondo che contiene i nostri parzialissimi "chi". Rino, secondo me, ci invita a guardare, con una canzonetta, a quanto siamo piccoli se visti dal cielo, quanto siamo parziali, eppure comici, ridicoli, piccoli peccatori o piccoli santi. "Beati sono i santi, i cavalieri e i fanti" recita sempre in un'altra canzone. Cioè, non importa dalla moralità dell'azione, non importa chi tu sia: non c'è selezione sotto il cielo. E' un qualcosa che sovrasta tutti allo stesso modo, legge unica per tutti. E' come un inno alla varietà dell'esistere.
PS:
Dici che non ci sono predicati, quindi non c'è espressione in senso proprio. La gente, tuttavia, capisce la canzone. Quindi, direbbe Croce, essa già esprime. A parte questo, secondo me "chi vive in baracca, chi suda il salario" è un'espressione, perchè "vive" e "suda" sono predicati. Quasi tutti i "chi" hanno dei predicati.
E potrai benissimo ammettere che in italiano esiste un uso, quello del verbo sottointeso. Per cui possiamo intendere, e anche tu penso che l'abbia inconsapevolmente inteso, come un: "c'è chi, c'è chi".
Dici poi che non c'è predicato che leghi i "chi" al ritornello del cielo.
Il ritornello è "ma il cielo è sempre più blu". "Ma" è una congiunzione avversativa, quindi congiunge le parti che davi per disgiunte.
Allora il discorso è ricostruibile come "c'è chi vive in baracca e chi suda il salario, ma il cielo è sempre più blu". Quando tutto è esplicito, però, la poesia, che è allusione e suggerimento, perde molto.
Noterai, poi, che molti "chi" sono in opposizione tra di loro: "chi canta Prévert, chi copia Baglioni". Frase colma di senso. Se neghi che sia "una espressione", neghi di capirla. Ma siccome la capisci...
Alla prossima