Cuncetta e Turi, nati e cresciuti insieme nel cortile di quel Paese là, ricco di molta pace e d’altrettanti affanni, predestinati erano a sposarsi, sin da piccoli.
Turi, conseguito il diploma di seconda elementare, provò diversi mestieri e apprendistati: aiutante di figaro, “con il gradino”; poi, a tempo perso, apprendista cuturié, col “cu salute”*; addetto alla forgia d’assai rinomato maniscalco di tutte le razze equine e quadrupedi nitriraglianti.
In sostanza, fece tanti mestieri per poi trovarsi…. senza professione.
Sposato che fu con la saggia Concetta, tosto divenne padre di uno, due,…quattro bei pargoletti e per Turi assai dura divenne l’opera del tirare avanti la famigliola, benché non scansasse il lavoro, che, anzi, alacremente cercava ed eseguiva, qualunque fosse.
Ma, purtuttavia, avvertiva d’essere come scarafaggio in viscida stoppa.
Certo, se si fosse affrancato dall’esosa pigione, allora sì che avrebbe potuto respirare!
Ma stante così le cose, quel fazzoletto di terreno in centro, di loro proprietà, di sicuro, mai sarebbe diventato la loro casa.
Notti insonni trascorse a meditare, senza costrutto; poi, si risolse a seguire la via dei padri: l’emigrazione.
Trovò lavoro in una miniera di “cucco in Doicciland”; una piccola stanza, servizi annessi, e tante, ma proprio tante, rinunce e privazioni per far gonfiare, a più non posso, le sue rimesse in terra di Sicilia.
Cuncetta, dal canto suo, spendeva per il necessario, mentre s’adoperava nel calcolo di quanti anni di vita occorressero per risparmiare il denaro necessario a costruire casa.
A conti fatti, Turi avrebbe dovuto prestare lavoro nella miniera almeno altre tre vite.
Da quel momento Cuncetta non ebbe più pace, né sonno, né dolce riposo.
Eppure, un modo doveva pur esserci che risolvesse!
Pensò tanto che lo trovò.
Scrisse al suo caro Turi che qualunque cosa sarebbe successa non avrebbe dovuto mai dubitare del suo amore, sempre vivo e fedele, nell’intimo cuore, a lui e lui soltanto.
Turi, afflitto, dette risposta disprezzando la vita che è lenta morte e che hanno fortuna quelli che la perdono in un sol colpo!
Passò del tempo e Cuncetta aprì “cantiere” e chiamò i muratori. In un niente la fabbrica crebbe a vista d’occhio e nel volgere di un anno fu finita.
-Torna Turi del mio cuore- scrisse Cuncetta al suo amato- Abbiamo casa. E’ tutta nostra!
Il giorno del ritorno, stava Cuncetta, alle viste, sul balcone del primo piano fuori terra.
Quando Turi spuntò nello slargo della bella piazza, i figlioletti gli corsero incontro gioiosi, festanti.
Si caricò i più piccoli in braccio ed avanzò, con gli occhi sgranati, verso la sua dolce e cara Cuncetta.
Incredulo e da lontano le chiese: “Ma chi fu cinchina?”
Scosse il capo in segno di diniego la bella Cuncetta e ripeté quel gesto alla domanda: “Fu allora una quaterna?
Ora Turi era quasi sotto il balcone. Ritornò a chiedere: “Allora, fu ternu?”
Non tardò molto la risposta che la Cuncetta, occhi bassi, gli dette: “Sì,sì, futtennu, futtennu!”
- fine –
*"cu salute"= con salute.Era l’augurio che i garzoni di bottega rivolgevano alla committenza che lo ripagava con la mancia.