Rientrò ancora annichilita attraverso il balcone socchiuso della cucina: nella casa violata e silenziosa regnava il disordine: armadi lasciati aperti, indumenti e valige per terra e nel corridoio un pezzetto di carta ciclostilata, scritto in italiano, perché questa volta erano soltanto S.S. che in due, con baionette innestate facevano immediatamente indietreggiare chi apriva la porta ed entrando come cavallette, urlavano come cani arrabbiati in tutte le stanze: “Kommt! Kommt!” presentando quel foglietto dove c’era scritto: “Sarete trasferiti altrove: tempo venti minuti per lasciare la casa. Portatevi da mangiare per otto giorni, una valigia con indumenti personali, danaro, gioielli, carta d'identità. Chiudete la porta di casa e portatevi le chiavi. Nessuno può rimanere, anche gli ammalati più gravi devono uscire, perché al Campo c’è un’infermeria”.
Dopo attimi di stupore durante i quali nell’osservare intorno Alberta cercò di ricostruire i gesti e le azioni dei suoi cari prima di essere portati via, si precipitò alla porta e la trovò chiusa a più mandate, le occorrevano dunque le chiavi che non aveva. Pensò subito di annodare due lenzuola matrimoniali per calarsi nella grande terrazza sottostante. Ormai aveva il terrore che ritornassero le S.S. ed a tutti i costi sentiva di doversi allontanare. Realizzò d’essere ancora in camicia da notte per cui rientrò in camera da letto per vestirsi in fretta e fra gli indumenti lasciati la sera prima sulla sedia, trovò le chiavi di casa. In quei momenti drammatici la zia, sollecitata da Piera, aveva lasciato furtivamente scivolare quelle chiavi tra i suoi vestiti e la mamma allo stesso modo aveva nascosto una borsetta portata da Ferrara con pochi danari e i gioielli di famiglia. Alberta dunque riuscì a scappare, suo primo pensiero, correre da suo padre. Gli telefonò ma giudicò imprudente parlargli della tragedia, lo pregò soltanto e con tono deciso di lasciare repentinamente la casa insieme all’anziana signora che lo ospitava. Il signor Levi preoccupato suppose che la famiglia avesse a sua volta ricevuto una telefonata di avvertimento da parte di amici. Alberta lo raggiunse sotto l’abitazione dell’amico che gli aveva proposto il lavoro. Nemmeno per strada ritenne prudente parlargli e gli chiese subito di salire in casa dell’amico. “Ma non si va a quest’ora a casa della gente” obiettò il signor Carlo “Io attenderò che scenda il mio amico” aggiunse, ma Alberta fu perentoria: “ Papà dobbiamo salire”. Il suo viso sconvolto fu molto persuasivo: quando furono soli in ascensore la tremenda verità venne fuori e stranamente anche per lei solo in quel momento la realtà si fece avanti in tutta la sua crudezza: “Papà, siamo soli, tu ed io. Le S.S. hanno portato via tutti.” Tutta la forza che l’aveva sostenuta fino a quel momento, improvvisamente l’abbandonò per dar posto ad una estrema spossatezza che la lasciò in bilico tra infelicità ed inquietudine profonde.
Dopo aver raccomandato all’ottima signora D. S. che la ospitava, di non lasciare uscire la figliola per nessun motivo, il signor Carlo andò a telefonare ed avvertire tanti amici in pericolo. Riuscì a farsi anche ricevere da un ministro italiano il quale si strinse nelle spalle sentendosi impotente ed aggiungendo: “Non siamo più noi che governiamo Roma. Sappiamo che ne hanno presi tanti e li hanno portati al Collegio di via della Lungara”.
Con queste notizie rientrò a casa della signora D. S. poco prima del coprifuoco e decise insieme alla figliola che per mantenere la famiglia unita si sarebbero andati a presentare insieme in polizia, questa parve loro la decisione migliore. Gli amici tuttavia dissero subito che il problema andava ulteriormente discusso, magari durante la notte, al momento era necessario studiare il comportamento da tenere durante le ore del coprifuoco, dato che non potevano fornire le loro generalità al portiere, che per legge doveva registrare tutti gli abitanti, sia pure temporanei, che dormivano nel palazzo. In cucina venne accostata una scaletta ad una botola che portava in soffitta, perché nell’eventualità di una suonata di campanello durante le ore del coprifuoco, si sarebbero nascosti rapidamente ritirando la scala. Solo a botola chiusa avrebbero aperto la porta.
Pochi minuti dopo il campanello trillò. Si guardarono in faccia sbigottiti: In silenzio, come convenuto, Alberta ed il padre si nascosero, rimanendo con l’orecchio teso verso la fessura della botola, con lo smarrimento e la preoccupazione di aver potuto procurare guai alla famiglia ospite. Con inattesa, commovente e gioiosa sorpresa udirono la voce della signora D.S. esclamare: “Uh! La Piera!” Piera e la mamma erano alla porta. Si ritrovarono stretti tutti e quattro, in un abbraccio indimenticabile: non credevano alla realtà e si sentirono protagonisti di un miracolo. Durante il giorno la signora D. S. aveva più volte ripetuto: “Ieri ho conosciuto Piera e sento che si salva” ed Alberta ribatteva disperata: “No signora, io ho abbandonato la mia mamma, Piera non l'abbandonerà”.
Ma come era successo questo miracolo? Dalle case avevano prelevato tutti quelli che trovavano, perché le S.S. non sapevano una parola d’italiano, e potevano essere capitati tra questi dei cattolici. In quel Collegio Militare a Roma venne fatto ciò che non fu mai ripetuto in nessun’altra città. Certamente fu in virtù della presenza del Vaticano. Si è saputo in seguito, da documenti, che i nazisti temevano una reazione del Papa, purtroppo anche il Papa temeva le reazioni dei nazisti! Che cosa dunque avvenne quel giorno dell’arresto dei Levi e di tanti altri ebrei? Ad un certo momento un portavoce disse: “Tutti i cattolici che si trovano qui, passino nell’altra sala”. Ne passarono duecento. La signora Alba, incitava la sorella, madre di Alberta ad andare con Piera: “Nessuno vi conosce a Roma, siete qui da tre giorni, strappate le vostre carte d’identità, non avete scritto in fronte che siete ebree!” Erano quasi convinte ma, subito di seguito venne detto ben forte: “Per ognuno che dice il falso, dieci ebrei verranno fucilati al momento”. E la madre di Alberta non volle andare: “Voglio essere vittima io, ma non sopporterei che qualcuno lo fosse per colpa mia”. Riuscì soltanto a consegnare furtivamente, un biglietto ad una signora che si apprestava ad uscire, un pezzetto di carta che Alberta conserva ancora in cornice e che le è molto caro, con la preghiera di consegnarlo al portiere di via Flaminia, 21. Vi scrisse per lei queste parole: “Siamo tranquilli, siilo anche tu e fa’ cosa puoi. Ti abbraccio, ti bacio, sicura di rivederti presto. Dio ti benedica”. Alberta ebbe questo biglietto quando già si era riabbracciata con la madre e la sorella.
Furono liberate quindi duecento persone che si dichiararono cattoliche ed intanto la zia Alba continuava incessantemente ad incitare la sorella: “Potevi salvare tua figlia e te, io non posso, tutti ci conoscono! In queste circostanze bisogna avere coraggio, bisogna rischiare…” Il portavoce ritornò: “Tutti i cattolici di matrimonio misto possono passare nell’altra stanza”. A questo punto e per merito della zia che le ha letteralmente spinte ad oltrepassare quella porta, insieme ad altre cinque persone, sono passate la madre e la sorella. Quando ebbero l’interrogatorio per spiegare il loro caso, avevano già concertato la storia da raccontare. Poco prima riuscirono a mangiare nomi e foto delle loro carte di identità. Ricordarono che il 25 settembre a Bologna c’era stato un grande bombardamento alleato e su quell’evento costruirono una credibile storia: dichiararono, madre e figlia di essere cattoliche, che erano di Bologna ed in seguito al bombardamento avevano perso la casa e tutto, per cui erano anche prive di carta d’identità. Del marito(e padre) ebreo non avevano notizie. Non sapendo dove andare dopo il bombardamento, si erano rifugiate a Roma in casa del fratello del marito, perciò si trovavano in una casa ebraica. Le S.S. con un calcio alla loro valigia, le lasciarono andare.
Lili (CONTINUA-domani)
Oh WALTER, mi hai fatto venire le lacrime agli occhi!
Che magia questo internet, che ci permette di comunicare
in tempo reale,in sì grandi distanze...ti abbraccio!
GIANCARLO, ELIPIO, grazie per l'attenzione e l'empatia...
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