00 23/12/2005 22:49
un brano tratto da un romanzo in via di composizione, romanzo che forse non finirò mai tante sono le cose che vorrei irridere con il ottocentesco fuori tempo massimo. a voi la meditazione:

Se il maledetto vistomi perso nell’oscura ironia del pagliaccio non mi avesse distolto dalla lettura, probabilmente i vermi avrebbero dovuto far un bel moto per raggiungermi fin sopra la torre!
Ripresosi il suo manoscritto il vecchio saggio disse che suo desiderio era narrarmi d’una parabola ch’aveva udito nella sua florida giovinezza: “ V’era un dolce bimbo sulla spiaggia, prediletto di Dio, che giocava giocondo con la nera sabbia e pareva che l’onde del mare cullassero melodiose i suoi infantili passatempi. Il bimbo costruì per diletto un grande castello di sabbia, e lo popolò per ischerzo di pazzi giullari, bellissime dame e temerari cavalieri; stanco per l’aver dato forma ai suoi piccoli sogni, s’addormentò felice. Mentre il creatore dormiva, i piccoli pupazzi presero vita: dapprima cominciarono a muoversi impacciati poi sempre più disinvolti fino ad essere totalmente padroni del proprio agire; i cavalieri s’accostarono alle dame e per rispetto al personaggio lor assegnato dall’Architetto si vantarono con largo uso di rime poetiche d’aver sconfitto draghi grandi come montagne e d’aver salvato povere principesse dalle losche mani di luridi briganti: le dame a tanto sfoggio di coraggio rimasero inizialmente stupite, rapite dall’ammirazione, poi al continuo ripetersi dei medesimi racconti infiorettati con sempre maggiori iperboli il loro sguardo si fece annoiato e poi cinicamente canzonatorio. I cavalieri non accorgendosi di nulla e dovendo far breccia nel cuore di dame sempre più vogliose di imprese eroiche, avendo limitata fantasia cominciarono ad azzuffarsi fra di loro per dar solida base di sangue ai loro racconti; i giullari nel frattempo ridevano giulivi al comico spettacolo dei loro compagni di ventura, ma con il passare delle stagioni il loro riso si spense e la noia dipinse di tristezza il loro volto. Al fine d’animar un po’ la routine ch’affliggeva il castello si decise d’indire una gran festa: dame e cavalieri avrebbero danzato, i pagliacci avrebbero divertito gli innamorati con le loro burle e gli innocenti lazzi. Alla gran festa i cavalieri si presentarono ornati di stemmi d’oro e armature di platino, le dame di graziosi vestiti di seta ed i giullari tessero costumi colorati come mai se n’eran visti; cibi prelibati e vini squisiti alimentarono adeguatamente la festa, le danze innocenti si fecero sempre più vorticose e le fanciullesche burla divennero sempre più mordaci fino a rasentare la perfidia, tuttavia persi nella girandola di giochi, amori, odi e beghe i partecipanti non s’accorsero che quel che doveva esser un’ allegra ricorrenza lentamente si stava trasformando in un amara, pazza trasposizione del nulla quotidiano da cui tutti volevan fuggire.
Il bimbo svegliato dal frastuono si destò, con lo sguardo ancora sfuocato per l’improvviso rapimento dalle braccia di Morfeo, si recò fino alla fonte di tanto rumore: trovò il castello che tanto meraviglioso aveva plasmato in macerie, vide alcuni cavalieri ridotti a mendicar in lacrime, altri ricoperti di sangue correr appresso alle strappate sottane di dame urlanti, osservò i giullari piangere cantando strofe tristi e lascive, ma notò soprattutto che tutte le ricchezze con cui aveva ornato la sua costruzione eran andate bruciate e dissipate. Come fu comico l’alternarsi in un sol momento di tutte l’umane emozioni in quel giovine volto! Stupore, meraviglia, rabbia, disincanto e poi un impercettibile sorriso malinconico trasfigurarono il volto del bimbo nel viso d’un uomo.