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Epigrammi dal Libro Decimo
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SINCERO AFFETTO PER L'AMICO MANIO

Se mi richiama il celtibero Salone
verso le aurifere sue sponde,
se provo un profondo desiderio
di riveder sui miei nativi colli
le case pendule e sparse,
la causa di questa nostalgia
sei proprio tu, Manio, diletto
sino dagli anni puri dell'infanzia
e a me legato d'amicizia schietta
per tutti i giorni dell'adolescenza,
tu, di cui nessuno nelle terre ibere
è più caro al mio cuore
ed è più degno di sincero amore.
Io in tua compagnia
potrei amare le getule capanne
dei Cartaginesi sitibondi
o abitar nelle scitiche casupole.
Se il tuo animo ha questi sentimenti,
se ugual premura hai tu di me,
Roma potrà esser per noi due
in un luogo qualunque.


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CRUDELTÀ D'UN MANGIONE


Per la più lauta cena della tua vita
uno schiavo ieri hai tu venduto
per mille e duecento nummi, o Calliodoro,
ma tu non hai cenato mica bene:
il pasto principale e l'ornamento
della tua cena è stata
una triglia da te comperata
di quattro libbre.
Mi viene la voglia di gridarti:
«O gran dissipatore, non è un pesce,
non è un pesce cotesto, un uomo è:
tu mangi, Calliodoro, carne umana».

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IN DIFESA DELLA SUA POESIA


Munazio Gallo, dai semplici costumi
più di quelli dei Sabini antichi,
che superi in virtù
il vecchio saggio d'Atene,
così la casta Vener ti conceda,
pel matrimonio saldo di tua figlia,
di mantenere sempre viva
l'illustre parentela del consuocero,
come tu, se un tristo invidioso
dirà per caso che sono da me scritti
alcuni versi intinti
di un verderame velenoso,
che tu li tolga via, come fai,
e voglia confermare a viso aperto
che non c'è poeta alcuno
che versi componga di tal genere,
quando viene letto in tutto il mondo.
Dirai che i libri miei
appresero a serbare questa norma:
smascherare i vizi apertamente,
risparmiare sempre le persone.

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A GIULIO MARZIALE


Son queste, o mio diletto Marziale,
le cose
che rendono la vita più felice:
un patrimonio
non con fatica procacciato,
sibbene ereditato;
un campo redditizio,
un focolar che non sia spento mai,
nessuna lite mai e in nessun luogo,
visite rare e un animo tranquillo,
forze d'uomo compito ed elegante
in un corpo pieno di salute,
saggia semplicità, amici uguali,
ospiti che non siano schizzinosi,
semplice la mensa,
serate senza alcuna ubriachezza,
ma libere da ansie e da pensieri,
a letto con una donna gaia,
e tuttavia pudica,
un sonno che le notti renda brevi;
essere contento di te stesso,
altro non bramare,
non temere e neppur desiderare
il giorno estremo della vita.

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PERCHÉ MI CHIAMI FRATELLO?


Giacché ti vanti d'esser cittadino
di Corinto - e nessun te lo contesta -
perché tuo fratello chiami me,
che dai Celti discendo e dagli Iberi
e sono del Tago un cittadino?
Forse sembriamo simili nel volto,
o Carmenione?
Tu sei uno splendor quando passeggi
con quella tua chioma inanellata,
io ostinato
porto ispidi peli da spagnolo;
tu hai le membra lisce lisce
per l'uso quotidiano del dropace,
io invece son tutto peloso
dalle gambe alle guance;
tu balbetti ed hai una voce fioca,
con gran vigore al bisogno
proromperà dai fianchi la mia voce.
Non è tanto diversa la colomba
da un'aquila rupestre,
né una gazzella fuggitiva
da un torvo leone.
Ora cessa di chiamarmi tuo fratello,
se vuoi che io, Carmenione,
non ti chiami sorella.

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UN DONO PER SABINA D'ESTE


Se tu, Clemente, vedrai prima di me
le terre euganee di Elicaone
e i colli che rosseggiano di pergole,
reca a Sabina d'Este
questi miei versi non ancora noti
e sol da poco in porpora legati.
Come piace la rosa che si coglie
con la punta delle nostre dita,
così ci fa piacere un libro nuovo
non ancora sporcato da un barbuto.

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IL NATIO LOCO


Tu ti sorprendi, o Avito,
che spesso io ti parli
di genti che da noi sono lontane,
io, già invecchiato a Roma,
e che provi una profonda nostalgia
per il Tago dalle sponde aurifere
e pel fiume Salone dei miei padri
e ch'io voglia tornare al campo incolto,
dove s'ergeva una povera casetta
piena di prodotti di quel suolo.
Mi piace quella terra in cui felice
mi rende un esiguo patrimonio
e le magre risorse mi fan ricco.
Qui il campo lo devi tu nutrire,
lì nutrisce te;
qui poco tepore ha il focolare,
lì risplende d'un'immensa luce;
qui l'appetito richiede troppa spesa
e il mercato ti manda alla rovina,
lì la mensa è coperta
dei prodotti del proprio campicello;
qui quattro toghe o più
si consumano in una sola estate,
lì una sola mi ricopre
per quattro lunghi autunni.
Va, ora venera i padroni,
quando, Avito, v'è il natio luogo
che ti potrà fornire
qualunque cosa un amico non ti dà.

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A UN ARRUFFONE


Perché, o grande scemo,
mescoli i tuoi con i versi miei?
Che hai tu da spartire, o sciagurato,
con un libro che con te contrasta?
Perché cerchi di raggruppare insieme
le volpi coi leoni
e di volere render le civette
simili alle aquile?
Anche se tu avessi, o sciocco,
uno dei piedi di Lada,
tu correresti invano
con una gamba di legno.


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[Modificato da Cobite 13/06/2003 8.30]