00 17/02/2015 15:07
Leggere è ferirsi con chi scrive

"Dicon che fingo o mento / quanto io scrivo. No: / semplicemente sento / con l’immaginazione, / non uso il sentimento. // Quanto
traverso o sogno, / quanto finisce o manco / è come una terrazza / che dà su un’altra cosa. / É questa cosa che è bella. // Così,
scrivo in mezzo / a quanto vicino non è: / libero dal mio laccio, / sincero di quel che non è. / Sentire? Senta chi legge"
(Pessoa)


Chi legge si rivede in uno specchio,
osserva lineamenti
ancora vivi
che il tempo ha scolorito
in una foto:
sembianze che apparivano lontane
rinnovano allo sguardo l'emozione
e pare quasi muovano il respiro.

Chi legge
qualche volta si distrae,
non libera lo specchio
da quel velo
che offusca come nebbia
il volto vero.

Nel dubbio che la vista
del lettore
difetti di luce
o di diottrie
chi scrive scende fino
in fondo al pozzo, prepara
la carrucola col secchio
calando palmo a palmo la sua fune.

Ma chi berrà quell'acqua
avrà un sussulto, un brivido
di freddo
per la schiena,
confonderà con l'altro il suo profilo
come chi sovrappone due colori,
oppure resterà
senza parole,
con gli occhi abbacinati
dalla luce

infine
salirà sulle pareti
scoscese e a picco
di quei monti antichi

saltando su crepacci
di dolore

funambolo
con lui
su corda tesa




R.