00 17/10/2012 17:42
Il viaggio

A Maxime Du Camp


I

Al ragazzo di mappe, di stampe appassionato,
è vasto l'universo quanto è vasta la brama.
Ah, come è grande il mondo al lume di una lampada!
agli occhi del ricordo come è piccolo il mondo!

Un mattino partiamo col fuoco nel cervello,
col cuore traboccante di rabbia e voglie amare,
e ci affidiamo al ritmo dell'onda che addormenta
il nostro infinito sul finito del mare.

C'è chi fugge felice una patria obbrobriosa
e chi l'orrore della propria culla;
altri, astrologhi a picco negli occhi di una donna,
la tirannica Circe dai rischiosi profumi.

Per non mutarsi in bestie s'inebriano di spazio
e di luce e di cieli fiammeggianti;
il gelo che li morde, il sole che li cuoce
cancellano adagio il marchio di quei baci.

Ma i veri viaggiatori partono per partire
e basta: cuori lievi, simili a palloncini
che solo il caso muove eternamente,
dicono sempre "Andiamo", e non sanno perché.

I loro desideri somigliano alle nubi;
e come il coscritto sogna il cannone, loro
sognano vaste, ignote, cangianti voluttà
di cui nessuno al mondo ha mai saputo il nome!

II

Imitiamo, che orrore! la trottola e la palla,
danziamo, rimbalziamo come loro; anche in sogno,
Curiosità ci volge e ci assilla, crudele
Angelo che a frustate fa vorticare il sole.

Sempre, in questo destino singolare,
cambia posto la meta: è ovunque, e non c'è mai!
E l'Uomo - mai si stanca la speranza -
corre come un matto per trovare il riposo!

È l'anima un veliero che cerca la sua Icaria:
"Occhio!" s'ode sul ponte; e dalla coffa
un'altra voce ardente e dissennata:
"Amore... gloria... gioia!" - Dannazione, è uno scoglio!

Ogni banco sperduto che la vedetta avvista
è un Eldorado offerto dal Destino;
la Fantasia, che subito si scatena, non trova
che un frangente alla luce del mattino.

Guai a chi s'innamora di terre di chimera!
Dovranno metterti ai ferri o rotolarti in mare,
marinaio ubriaco, scopritore d'Americhe
il cui miraggio i gorghi fa più amari?

Così il vecchio barbone si trascina nel fango
sognando, naso all'aria, paradisi di luce;
e là dove un tugurio rischiara una candela
al suo sguardo stregato una Capua si svela.

III

Che nobili storie, viaggiatori incredibili,
nei vostri occhi profondi come il mare!
Su, dei vostri ricordi mostrateci gli scrigni,
gli splendidi gioielli fatti d'etere e d'astri!

Senza vele o vapore vogliamo navigare!
Per alleviare il tedio delle nostre prigioni,
sui nostri spiriti, tesi come tele, esponete
gli squarci d'orizzonte della vostra memoria!

Che avete visto, diteci?

IV

"Abbiamo visto astri,
onde, sabbie di rive e di deserti; e ad onta
di sorprese e disastri, molte volte
ci siamo anche annoiati, come qui.

Il sole risplendente sopra il viola del mare,
le città risplendenti nei raggi del tramonto
l'ardente cuore inquieto spingevano a tuffarsi
nel mutevole fascino del cielo.

Nelle città più ricche, nei più vasti paesaggi
non c'era mai l'incanto misterioso
di quelli che per caso nascono dalle nubi;
e mai ci dava tregua il desiderio!

- Più si gode e più ha forza il desiderio;
all'albero del desiderio il piacere è concime,
e mentre la sua scorza si fa più spessa e dura
si sforzano i suoi rami d'avvicinarsi al sole!

Crescerai senza fine, albero che hai più vita
del cipresso? - Comunque, scrupolosi,
abbiamo colto schizzi per l'album insaziabile
di chi trova che è bello tutto ciò che è lontano!

Abbiamo visto idoli dal naso d'elefante,
troni ornati di gemme luminose,
palazzi cesellati che d'un vostro banchiere
formerebbero il sogno e la rovina,

costumi che allo sguardo dan l'ebbrezza,
donne che si colorano le unghie e i denti, fachiri
avvezzi alle carezze dei serpenti..."

V

E dopo? e dopo ancora?

VI

"O cervelli infantili!

Abbiamo visto (e questo è il punto capitale)
senza bisogno di cercarlo, ovunque,
dall'alto fino al basso della scala fatale,
il tedioso spettacolo del peccato immortale:

schiava stupida e vile e superba la donna
amarsi senza schifo, senza ironia adorarsi;
l'uomo, tiranno cupido, lascivo, ingordo e duro,
farsi schiavo alla schiava, sgocciolio nella fogna;

rallegrarsi il carnefice, il martire soffrire;
il sangue ad ogni festa dar sapore e profumo;
innamorarsi il popolo della sferza brutale
e il despota ammalarsi del suo stesso potere;

più d'una religione somigliante alla nostra
dar la scalata al cielo; cercar la Santità,
come un gaudente su un letto di piume,
in mezzo ai chiodi e al crine la propria voluttà;

ebbra di genio, straparlante, pazza
adesso come un tempo, grídar l'Umanità
dentro la furia della sua agonia:
"Mio signore e mio simile, ti maledico, Dio!";

e i meno stolti, d'Insania intrepidi seguaci,
via dall'immenso gregge che il Destino rinserra
rifugiarsi nell'oppio sconfinato!
- Questa del globo intero la cronaca immutabile."

VII

Che amara conoscenza si ricava dai viaggi!
Oggi e ieri e domani e sempre il mondo
monotono e meschino ci mostra quel che siamo:
un'isola d'orrore in un mare di noia.

È il caso di partire? di restare? Rimani
se puoi, parti se devi. Chi corre, chi s'appiatta
per ingannare il Tempo, belva attenta e funesta...
C'è qualcuno che, ahimè, non ha riposo,

apostolo o Ebreo errante, e per sfuggire
all'infame reziario non gli basta
né treno né veliero, e chi lo ammazza
senza nemmeno uscire dal suo buco.

Quando infine col piede ci calcherà la schiena
noi spereremo ancora, e grideremo "Avanti!";
e così come un tempo partimmo per la Cina,
lo sguardo fisso al largo, il vento nei capelli,

sul mare delle Tenebre ci sapremo imbarcare
col cuore di chi è giovane e lieto di viaggiare.
Sentite queste voci funebri e affascinanti
cantare: "Svelti, entrate da questa parte, voi

che il Loto profumato volete assaporare!
Qui i frutti si vendemmiano che brama il vostro cuore
e sanno di miracolo; qui si coglie l'ebbrezza
di questo strano, dolce pomeriggio infinito!"

Ravvisiamo lo spettro al tono familiare;
là ciascuno ha il suo Pilade che gli tende le braccia.
"Nuota fin qui da Elettra per rinfrescarti il cuore!"
(dice quella cui un tempo baciammo le ginocchia.

VIII

Su, andiamo, Morte, vecchio capitano!
Salpiamo, è tempo, via da questa noia!
Son neri come inchiostro terra e mare,
ma i nostri cuori, vedi, sono colmi di luce.

Versaci per conforto il tuo veleno!
Quel fuoco arde il cervello: giù nel gorgo profondo,
giù nell'Ignoto, sia l'Inferno o il Cielo,
scendiamo alla ricerca di qualcosa di nuovo!

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I

Pour l’enfant, amoureux de cartes et d’estampes,
L’univers est égal à son vaste appétit.
Ah ! que le monde est grand à la clarté des lampes !
Aux yeux du souvenir que le monde est petit !

Un matin nous partons, le cerveau plein de flamme,
Le cœur gros de rancune et de désirs amers,
Et nous allons, suivant le rhythme de la lame,
Berçant notre infini sur le fini des mers :

Les uns, joyeux de fuir une patrie infâme ;
D’autres, l’horreur de leurs berceaux, et quelques-uns,
Astrologues noyés dans les yeux d’une femme,
La Circé tyrannique aux dangereux parfums.

Pour n’être pas changés en bêtes, ils s’enivrent
D’espace et de lumière et de cieux embrasés ;
La glace qui les mord, les soleils qui les cuivrent,
Effacent lentement la marque des baisers.

Mais les vrais voyageurs sont ceux-là seuls qui partent
Pour partir ; cœurs légers, semblables aux ballons,
De leur fatalité jamais ils ne s’écartent,
Et, sans savoir pourquoi, disent toujours : Allons !

Ceux-là dont les désirs ont la forme des nues,
Et qui rêvent, ainsi qu’un conscrit le canon,
De vastes voluptés, changeantes, inconnues,
Et dont l’esprit humain n’a jamais su le nom!

II

Nous imitons, horreur ! la toupie et la boule
Dans leur valse et leurs bonds ; même dans nos sommeils
La Curiosité nous tourmente et nous roule,
Comme un Ange cruel qui fouette des soleils.

Singulière fortune où le but se déplace,
Et, n’étant nulle part, peut être n’importe où !
Où l’Homme, dont jamais l’espérance n’est lasse,
Pour trouver le repos court toujours comme un fou !

Notre âme est un trois-mâts cherchant son Icarie ;
Une voix retentit sur le pont : « Ouvre l’œil ! »
Une voix de la hune, ardente et folle, crie :
« Amour… gloire… bonheur ! » Enfer ! c’est un écueil

Chaque îlot signalé par l’homme de vigie
Est un Eldorado promis par le Destin ;
L’Imagination qui dresse son orgie
Ne trouve qu’un récif aux clartés du matin.

Ô le pauvre amoureux des pays chimériques !
Faut-il le mettre aux fers, le jeter à la mer,
Ce matelot ivrogne, inventeur d’Amériques
Dont le mirage rend le gouffre plus amer ?

Tel le vieux vagabond, piétinant dans la boue,
Rêve, le nez en l’air, de brillants paradis ;
Son œil ensorcelé découvre une Capoue
Partout où la chandelle illumine un taudis.

III

Étonnants voyageurs ! quelles nobles histoires
Nous lisons dans vos yeux profonds comme les mers !
Montrez-nous les écrins de vos riches mémoires,
Ces bijoux merveilleux, faits d’astres et d’éthers.

Nous voulons voyager sans vapeur et sans voile !
Faites, pour égayer l’ennui de nos prisons,
Passer sur nos esprits, tendus comme une toile,
Vos souvenirs avec leurs cadres d’horizons.

Dites, qu’avez-vous vu ?

IV

« Nous avons vu des astres
Et des flots ; nous avons vu des sables aussi ;
Et, malgré bien des chocs et d’imprévus désastres,
Nous nous sommes souvent ennuyés, comme ici.

La gloire du soleil sur la mer violette,
La gloire des cités dans le soleil couchant,
Allumaient dans nos cœurs une ardeur inquiète
De plonger dans un ciel au reflet alléchant.

Les plus riches cités, les plus grands paysages,
Jamais ne contenaient l’attrait mystérieux
De ceux que le hasard fait avec les nuages.
Et toujours le désir nous rendait soucieux !

— La jouissance ajoute au désir de la force.
Désir, vieil arbre à qui le plaisir sert d’engrais,
Cependant que grossit et durcit ton écorce,
Tes branches veulent voir le soleil de plus près !

Grandiras-tu toujours, grand arbre plus vivace
Que le cyprès ? — Pourtant nous avons, avec soin,
Cueilli quelques croquis pour votre album vorace,
Frères qui trouvez beau tout ce qui vient de loin !

Nous avons salué des idoles à trompe ;
Des trônes constellés de joyaux lumineux ;
Des palais ouvragés dont la féerique pompe
Serait pour vos banquiers un rêve ruineux ;

Des costumes qui sont pour les yeux une ivresse ;
Des femmes dont les dents et les ongles sont teints,
Et des jongleurs savants que le serpent caresse. »

V

Et puis, et puis encore ?

VI

« Ô cerveaux enfantins!

Pour ne pas oublier la chose capitale,
Nous avons vu partout, et sans l’avoir cherché,
Du haut jusques en bas de l’échelle fatale,
Le spectacle ennuyeux de l’immortel péché :

La femme, esclave vile, orgueilleuse et stupide,
Sans rire s’adorant et s’aimant sans dégoût ;
L’homme, tyran goulu, paillard, dur et cupide,
Esclave de l’esclave et ruisseau dans l’égoût ;

Le bourreau qui jouit, le martyr qui sanglote ;
La fête qu’assaisonne et parfume le sang ;
Le poison du pouvoir énervant le despote,
Et le peuple amoureux du fouet abrutissant ;

Plusieurs religions semblables à la nôtre,
Toutes escaladant le ciel ; la Sainteté,
Comme en un lit de plume un délicat se vautre,
Dans les clous et le crin cherchant la volupté ;

L’Humanité bavarde, ivre de son génie,
Et, folle maintenant comme elle était jadis,
Criant à Dieu, dans sa furibonde agonie :
« Ô mon semblable, ô mon maître, je te maudis ! »

Et les moins sots, hardis amants de la Démence,
Fuyant le grand troupeau parqué par le Destin,
Et se réfugiant dans l’opium immense !
— Tel est du globe entier l’éternel bulletin. »

VII

Amer savoir, celui qu’on tire du voyage!
Le monde, monotone et petit, aujourd’hui,
Hier, demain, toujours, nous fait voir notre image:
Une oasis d’horreur dans un désert d’ennui!

Faut-il partir ? rester ? Si tu peux rester, reste;
Pars, s’il le faut. L’un court, et l’autre se tapit
Pour tromper l’ennemi vigilant et funeste,
Le Temps ! Il est, hélas ! des coureurs sans répit,

Comme le Juif errant et comme les apôtres,
À qui rien ne suffit, ni wagon ni vaisseau,
Pour fuir ce rétiaire infâme ; il en est d’autres
Qui savent le tuer sans quitter leur berceau.

Lorsque enfin il mettra le pied sur notre échine,
Nous pourrons espérer et crier : En avant !
De même qu’autrefois nous partions pour la Chine,
Les yeux fixés au large et les cheveux au vent,

Nous nous embarquerons sur la mer des Ténèbres
Avec le cœur joyeux d’un jeune passager.
Entendez-vous ces voix, charmantes et funèbres,
Qui chantent : « Par ici ! vous qui voulez manger

Le Lotus parfumé ! c’est ici qu’on vendange
Les fruits miraculeux dont votre cœur a faim;
Venez vous enivrer de la douceur étrange
De cette après-midi qui n’a jamais de fin? »

À l’accent familier nous devinons le spectre;
Nos Pylades là-bas tendent leurs bras vers nous.
« Pour rafraîchir ton cœur nage vers ton Électre! »
Dit celle dont jadis nous baisions les genoux.

VIII

Ô Mort, vieux capitaine, il est temps ! levons l’ancre!
Ce pays nous ennuie, ô Mort ! Appareillons!
Si le ciel et la mer sont noirs comme de l’encre,
Nos cœurs que tu connais sont remplis de rayons!

Verse-nous ton poison pour qu’il nous réconforte!
Nous voulons, tant ce feu nous brûle le cerveau,
Plonger au fond du gouffre, Enfer ou Ciel, qu’importe?
Au fond de l’Inconnu pour trouver du nouveau!
[Modificato da Vinum Divinum 18/10/2012 12:29]


...

"Pandite nunc Helicona, deae, cantusque movete..."