00 13/06/2012 16:05
INTRODUZIONE AL RACCONTO:
Ci tenevo a fare una piccola premessa. È la prima volta che mi cimento in un racconto di questo tipo, in cui vengo coinvolta in prima persona in una storia; in genere cerco sempre di estraniarmi dalla vicenda in modo da poter far parlare i personaggi senza timidezza.
In questo scritto presento dei personaggi che ciascuno di noi ha già incontrato nella propria vita: la persona particolare e sicura di sé, la persona invidiosa ma che non fa nulla per migliorare se stessa nonostante possa, l’uomo d’ufficio, la ragazza apparentemente perfetta ma in realtà sofferente, e infine se stessa/o e la persona amata (quest’ultima in effetti devo ancora incontrarla).
Descrivere i personaggi credo che sia un mio punto di forza, mentre con la narrativa romantica ho corso il rischio di cadere nella banalità sperando tuttavia di essere riuscita in qualcosa di originale.
Il tutto è nato dalla fusione di un sogno unito alla mia vita e rappresenta un po’ il mio pensiero e le mie esperienze fino ad ora vissute.
Per favore ditemi consigli e critiche, però non traumatizzatemi troppo perché sono sensibile. Grazie del vostro tempo!

INCONTRI DI VITA
Arrivai in stazione e presi il primo treno che vidi: quel giorno non avevo orologio né cellulare con me, ma solo un taccuino, una penna ed uno zainetto con un ricambio.
Ho sempre amato viaggiare senza pormi un obiettivo, mi ricorda tanto la vita.
Viaggiamo ogni giorno seguendo un tragitto preciso: ci alziamo alla solita ora, prendiamo il solito pullman e ci rechiamo al solito posto per lavorare; eppure ogni tanto ci concediamo qualche piccola trasgressione: compriamo una brioche che vediamo in una pasticceria, torniamo a casa a piedi oppure guardiamo la TV invece di andare in palestra.
E così, stanca di una vita meccanica e monotona come le lancette di un orologio, ho deciso di partire, di farlo e basta, senza pormi domande su dove sarei andata e su quando sarei tornata.
Il treno partì. Trascorsi il viaggio ad osservare le persone che occupavano i posti vicini al mio.
Di fronte a me c’era un ragazzo mio coetaneo che di tanto in tanto mi guardava con i suoi occhi verde smeraldo e mi sorrideva dolcemente. Era uno di quei ragazzi che si possono definire alternativi: aveva lunghi dreadlocks, un lobo dilatato e un abbigliamento da vagabondo, ma nonostante ciò aveva un’eleganza tutta sua. Era molto posato e straordinariamente bello nella sua individualità e nel modo in cui si sentiva pienamente a suo agio con se stesso e un po’ meno con il mondo circostante.
Affianco a lui vi era una donna sulla cinquantina in sovrappeso, che divorava un panino di dimensioni sproporzionate facendo delle sorta di grugniti e che guardava le mie gambe con odio.
Accanto a me sedeva un uomo di mezza età che rappresentava esattamente il modello di uomo che la società è solita porci davanti agli occhi come uomo ideale: capelli brizzolati perfettamente in ordine, profumo di dopobarba, scarpe nere lucidissime e smoking rigorosamente griffato. In verità non mi stava affatto antipatico, anzi provavo compassione per lui, così rinchiuso nella prigione in cui finiscono quelli che vogliono seguire la massa nella speranza di essere in tal modo amati; ma ero anche contenta del fatto che riuscisse ad essere felice così, non rendendosi conto di quale grande menzogna fosse la sua esistenza.
Tra una riflessione e l’altra, finalmente scorsi il mare in lontananza: era meraviglioso e luccicava per i primi riflessi del sole del mattino.
Era lì che volevo scendere.
Inizialmente mi dispiacque molto che il ragazzo alternativo non si fermasse alla mia stessa stazione, ma in seguito avrei capito che il destino mi stava serbando qualcosa di diverso.
Una volta scesa iniziai a guardarmi attorno facendo attenzione a non leggere il nome del posto in cui mi trovavo: non faceva parte del piano saperlo.
Inspirai profondamente. L’aria di mare, così salubre, mi riempiva anima e corpo con il suo inconfondibile profumo che mi ricordava tanto la mia infanzia.
Presi il mio pacchetto di sigarette quasi nuovo e lo gettai nel primo bidone della spazzatura che trovai, senza alcun rimpianto: non ne avrei assolutamente avuto bisogno oggi e avrebbero solamente rovinato tutto.
Non mi fermai alla prima spiaggia, ma passeggiai sul lungomare fino a quando trovai una scogliera molto nascosta con affianco una spiaggetta probabilmente privata, in quanto si trovava di fronte ad un’enorme villa moderna.
Mi sedetti sullo scoglio più inoltrato nel mare e chiusi gli occhi, godendomi la brezza marina, l’odore delle alghe e il suono delle onde che si infrangevano sulle rocce.
Improvvisamente vidi la coda di un enorme pesce, il quale stava nuotando verso di me. Poco dopo sbucò davanti ai miei occhi un essere metà donna e metà pesce, che doveva per forza essere una sirena. Era la creatura più straordinaria in bellezza che avessi mai visto; aveva la pelle candida e il suo viso minuto e dai tratti fini era perfettamente incorniciato da lunghissimi capelli intrecciati in modo complesso; mi osservava con i suoi occhi blu e profondi come l’oceano e aveva le labbra carnose dischiuse.
Mi si avvicinò di più e mi sfiorò le guance con le sue mani perfette alla vista, ma viscide e fredde al tatto; poi disse: “Sei perfetta sai? Vorrei essere come te.”
Io rimasi alquanto stupita da tale affermazione, mi sentivo quasi presa in giro e così le domandai: “Come puoi volere ciò? Guardati attorno. C’è qualcosa di più affascinante dell’oceano? No. E tu hai la fortuna di viverci! Sei bella e libera, tutti ti invidiano.”
“Libera?” ribatté “Tu lo sei! Puoi camminare e nuotare, io invece sono intrappolata in questo corpo di mostro e non posso stare sulla terraferma. Spesso nuoto a riva e inizio a relazionarmi con i ragazzi che vengono in vacanza qui, a volte mi succede persino che qualcuno inizi a piacermi, ma poi quando escono dall’acqua e mi invitano a prendere un gelato sai cosa succede? Sono costretta a scappare. E non ci sono altre sirene in questo mare con cui poter parlare. Purtroppo ho imparato bene cosa significa la parola solitudine e ti assicuro che è una cosa terribile”.
Non avevo pensato che potesse davvero nascondersi tanta sofferenza dietro a quel viso angelico, ma in ogni caso io non ero di certo più fortunata di lei, così le dissi di rimando: “Mi dispiace, ma nonostante io viva sulla terraferma sono sola quanto te”.
“Non per molto” disse sorridendo lievemente. Mi sfiorò i piedi con uno sguardo affascinato, proprio di quelle persone che hanno vicino a sé un qualcosa che desiderano più di ogni altra cosa, ma non possono averlo. Pianse una lacrima colma di tristezza e si dileguò.
Una voce dolce e profonda alle mie spalle mi chiese: “Hai fame? È tutto il giorno che ti osservo dalla terrazza di casa mia e non ti sei ancora mossa di lì.” Mi voltai e vidi un bronzo di Riace: un ragazzo dalla carnagione scura e dagli occhi dorati che riflettevano il riverbero delle onde. Mi aveva svegliato da un sogno, pronto a catapultarmi in uno nuovo, tanto che io non riuscivo più a scindere la realtà dalla fantasia.
“Allora?” mi domandò, ma non con insistenza, più che altro con premura.
“No grazie” risposi.
Lui non sembrava intenzionato ad andarsene e anzi volle sapere che cosa stessi facendo lì. Gli spiegai con sincerità che stavo parlando con una sirena, realizzando poco dopo che forse era proprio a causa di queste mie stravaganze che molte persone mi evitavano, ma lui sembrava credermi, infatti, quando cercai di riparare al danno dicendogli che avevo un’immaginazione molto fervida e che probabilmente era tutto frutto di essa, ribatté con disappunto: “E con questo? In fondo chi te lo dice che è davvero questa la vita reale? Potrebbe essere anche questo tutto un sogno.”
Capii che anche lui era un po’ come me e io speravo davvero che questo non fosse solo un sogno.
Parlammo per ore di noi, volevamo davvero conoscerci. Ad un certo punto ci fu il bacio, quello del vero amore di cui fino ad ora avevo solo letto nelle fiabe.
“Sai, è la prima volta che mi sento davvero qualcuno, sono sempre stata una ragazza abbastanza uguale agli altri da non farmi notare e troppo diversa da loro per essere accettata.”
Rimase molto colpito dalla mia frase e mi disse, da ragazzo innamorato, che lui mi aveva notata subito.
Passammo il resto del tempo così, tra discorsi e baci, tra silenzi e abbracci, fino a quando ci addormentammo proprio su quello scoglio.
La mattina mi svegliai e lui non c’era più, aveva solo lasciato un biglietto con scritto “Addio, parto per la guerra. Ti amo.”
Scoppiai in lacrime.
Ero sola. Di nuovo.
[Modificato da marty_marty96 13/06/2012 16:08]