la strada nascosta

mosquito4
00mercoledì 8 settembre 2004 13:48
Chissà quante volte sono tornata qui. Quante notti passate in questo posto lurido, sotto lo sguardo di una luna severa e indifferente, una luna tentatrice, quasi complice del mio istinto: una pulsione pericolosa e acciecante in grado di mascherare i pensieri e far sembrare tutto giusto, purchè mi dia qualche soldo da infilare nella borsetta insieme al rossetto e a bustine di plastica contenenti lattice di gomma. La coscienza è sparita dall’antro buio e vuoto della mia scatola cranica, è stata disintegrata dalla violenza di chi vuole da me la sua parte di denaro. Ho un passato che si è allontanato troppo per poterlo riprendere, non ricordo di essere stata una bambina che giocava insieme alle sue amiche. Può darsi che per me quei giorni devono ancora arrivare. Sono sicura che prima o poi arriveranno ad animare questi giorni afosi e a farmi dormire dopo notti d’insonne attesa. Ma adesso la mia presenza viene illuminata a momenti dal passaggio lento di fari d’automobili, dopodichè torno a far parte della desolazione di questa strada nascosta portando con me le mie botte e il mio dolore. Scrutano a fondo la mia sagoma che dal buio si modella in forme molto lontane dall’essere perfette, ma allo stesso tempo attraenti e ipnotiche. La mia postura, seduta, rannicchiata sull’alzata di quello che sembra essere il marciapiede di un’isola di traffico nel mezzo di un incrocio caduto in disuso. Tendo ad incantarmi nella mia lunga attesa guardando il fumo uscire dai finestrini di passaggio o facendomi rapire da alcune note di un autoradio a tutto volume, come se questi segni potessero svelarmi dov’è la casa da cui sono fuggita a sedici anni, o come se mi potessero dire se le lacrime di mia madre sono diventate sonno eterno.
Davanti a me, oltre il ciglio della strada, dopo un fosso melmoso, un campo di granturco già secco. Gli alberi che fanno da confine tra il fosso e il campo sono già quasi spogli, sono come gatti malati. Mostrano le ossa sotto la loro pelle, alcune sono tese verso il cielo come per catturare una stella. Un punto perfetto di luce. È tutto fermo, anche l’aria, tranne i fari che passano e mi rendono esistente. Uno rallenta e si ferma, io mi alzo nonostante il dolore che affligge i miei piedi. Muovo i miei tacchi verso quella cavità quadrangolare di vuoto. Più in là un gruppetto di quattro ragazze come me fanno commenti, ridono. Ho sempre voluto rimanere sola, l’amicizia fa solo male. Il vetro scende elettricamente lungo la sua traiettoria e mi mostra un punto di luce arancione che aumenta di intensità illuminando un volto. Anch’esso è reso esistente solo da deboli raggi di passaggio. Un vecchio, sembra avere un viso attanagliato da cicatrici di delusioni, occhi che sono stati capaci di piangere. Occhi attratti dall’immaginario che nasconde la mia minigonna e il mio top rosso sotto un orrendo cappottino di pelle. Un metro cubo di fumo esce dal finestrino, stranamente poi la portiera si apre e la luce dell’abitacolo si accende automanticamente. È un vecchio, la luce illumina un corpo esile, capelli grigi ancora bagnati degli ultimi sprazzi di nero e ancora folti. Mano destra sul volante, l’altra sulla maniglia interna della portiera, pronta a spingere per aprire. Non guarda me, gli occhi bassi sono concentrati sui pensieri, su ragionamenti difficili. Non si è fermato per me. Non si è fermato per pagare qualche attimo di piacere. Sembra esitare, può darsi che richiuda l aportiera da un momento all’altro e rimetta in moto la macchina. E invece no, mette un piede fuori, poi esce. Adesso vedo il suo corpo per intero. Mi guarda immobile con la sua sigaretta in bocca, anche le ragazze adesso mi guardano senza dire niente o chiedendosi cosa faccio qui impalata con davanti un tipo che possiede una audi TT.
Infilo la mano nella borsetta.
- No, non ti servirà il gas paralizzante. Mi dice. – Forza, sali.
Sono sorpresa, sembra aver ritrovato qualcosa.
Mi sento in colpa davanti a quella figura dagli occhi lucidi. Salgo sulla macchina, un senso di fiducia assale nil mio corpo. Una sensazione di benessere, sebbene lui non m’abbia ancora guardata negli occhi, nonostante la sua espressione è cruda e disturbata. Di colpo si volta verso di me, l’automobile prende la corsia e velocità. Due universi di iride mi fissano il viso. Mi scoprono interamente vulnerabile a quella presa che agisce sui miei battiti cardiaci e sulle mie sensazioni che adesso si scontrano come molecole di un corpo che si surriscalda. Abbozza un leggero sorriso protettivo e divino, soprannaturale. E poi una voce profonda come il vuoto dei miei ricordi, una vibrazione che apre quella serratura chiusa da troppi anni e messa in un angolo della mia mente.
- Sei uguale a tua madre, Elena.



PS: spero di riuscire a continuarlo...




ariadipoesia
00mercoledì 8 settembre 2004 14:37
certo che lo continuerai ...

e mica vorrei lasciarmi così a mezza strada, voglio sapere di elena e di tutto quello che gli appartiene.

grazie per eserci.[SM=x142887]

[Modificato da ariadipoesia 08/09/2004 14.39]

fiordineve
00venerdì 10 settembre 2004 23:39


Speravo proprio fosse suo padre, eddai vai avanti, hai la stoffa per divenire sempre + bravo.


C'è un passaggio talmente poetico

Tendo ad incantarmi nella mia lunga attesa guardando il fumo uscire dai finestrini di passaggio o facendomi rapire da alcune note di un autoradio a tutto volume, come se questi segni potessero svelarmi dov’è la casa da cui sono fuggita a sedici anni, o come se mi potessero dire se le lacrime di mia madre sono diventate sonno eterno.






che solo quello merita un abbraccio[SM=x142944] [SM=x142892]
Cobite
00lunedì 13 settembre 2004 15:57

[SM=x142874]
Maria Antonietta ha perfettamente ragione ..
e allora avanti tutta.
[SM=g27811]

Un abbraccio

Giancarlo cobite
debona
00giovedì 16 settembre 2004 13:35
Mosquito: bellissimo.. avvincente... belle descrizioni, non puo' essere abbandonato![SM=x142922]
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