Una cortesia a Sua Eccellenza

florentia89
00mercoledì 14 maggio 2008 07:35
Eventi minori
Un piacere è un dovere

Anni più recenti, lavoro in Lombardia, anche se ora sono a Venezia a impostare una sede della Società. Ho l’ufficio in un palazzo del settecento, con un canale sotto le finestre del pianoterra.
Mia moglie si affaccia e passano in gondola Fellini e la Masina che ricambiano il suo saluto.
Il proprietario di tanta magnificenza è un nobile veneziano, già del CLN (eppure va’ d’accordo con il mio “Top”, che resistenziale non è).
E’ estate, sto partendo con la famiglia per un mese di villeggiatura (dieci giorni per me) a Lignano. Abbiamo affittato un bungalow in quanto alcuni giorni prima a Varese gli zingari ci avevano rubata la roulotte (e altre quattro), che dopo un anno di garage era sotto casa onde prepararla alla vacanza. A Lignano il mio vice mi telefona ogni giorno e informa sul lavoro. Un mattino mi avverte che ha telefonato qualcuno che ha fatto il misterioso e lasciato il numero telefonico.
Ci vuole poco a capire che è di un amico romano, un po’ collega, un po’ “superiore” non di lavoro. Mi reco alla SIP per chiamarlo in quanto ove mi trovo i telefoni sono ben poco privati e le telefonate le sentono tutti (i cellulari ancora non ci sono).
….“Sono io, ciao, sapevo che eri a Milano, ma ora in Friuli è meglio, ti ho chiamato perché Sua Eccellenza gradirebbe un piacere”….
….”no, non è una missione, direi un piacere personale”….
….”hanno segnalato che un ufficiale al quale Egli era affezionato, dovrebbe essere molto grave, diciamo in fase finale, e forse in stato di bisogno. Dovresti dare uno sguardo, salutarlo per lui e dirgli …..”…
….”abbiamo pensato a te che sei in alta Italia in quanto l’ufficiale è a Pirano, in Iugoslavia, sua zona d’origine, c’è chi ha esposto il caso”…
….”bene! non c’è problema, dopodomani ci vado, ti farò sapere”….
Preparo i documenti per me, mia moglie, mio figlio. In Banca non mi cambiano lire in dinari, lo dovrò fare in loco. I miei sono estasiati dell’idea, non sarà un imbroglio? Partiamo, breve viaggio su una grande nave, coste conosciute, poi Pirano. Il cuore mi si stringe perché torno nella cittadina dopo più di trenta anni da quando era italiana
La nave, stracolma di turisti, soprattutto tedeschi, attracca e cominciano le difficoltà. Siamo a bordo in attesa di qualcosa. Infine arriva un sottufficiale portuale con uno sgabello, si siede all’uscita di una porta della nave, a livello molo, e cominciano a uscire i turisti con i passaporti in mano. Ci vorrebbe l’intera giornata per smaltire il carico. A bordo scoppia una mezza rivoluzione e per poco i tedeschi non rioccupano la Iugoslavia. Il sottufficiale allora si allontana, torna con uno scatolone, un blocco di ricevute, e consente un passaggio veloce ritirando i passaporti, che getta nella scatola, sostituendoli con un foglietto del carnet timbrato e firmato, ove scrive il nome del turista. Ci dicono che questo “permesso” durerà due-tre giorni, e comunque dal pomeriggio si possono ritirare i documenti in Capitaneria. Ma le difficoltà non sono finite.
Ci dirigiamo verso una penosa sede bancaria, con personale scialbo e sciatto, qualcuno poco cortese, e qui non ci cambiano le lire in dinari perché ci vuole il passaporto. Inutile dirgli che è negli uffici portuali, il foglietto-lasciapassare non serve.
Come abbiano risolto il problema i tedeschi non so, per noi italiani due signore milanesi, fra le prime uscite con i passaporti riconsegnati, si prestano a fare da cambiavalute.
Gli diamo un taglio fisso per tutti, mi pare centomila lire, entrano e cambiano importi ingenti poi, sul muricciolo esterno, fanno dei mucchietti di dinari, tutti uguali, e ognuno ritira il proprio senza verificare il cambio applicato. D’altronde è proibito usare moneta che non siano dinari e le carte credito sono accettate solo in qualche hotel primario di Portorose.

L’uomo di Pirano - parte 2
Ci dedichiamo a una breve visita della cittadina, che riconosco in tanti particolari. La piazza, la bella fontana, la cattedrale sulla collina, mare stupendo, viuzze silenziose, persone schive, italiani quasi assenti, eppure in molti architravi sono incisi i nomi dei proprietari d’un tempo; mercato ortofrutticolo povero, negozi con scarpe di plastica e vestiti monacali, qualche vigile con divise bianche eccezionalmente ampie, che ricordano un po’ i Pulcinella napoletani. Lungomare senza sabbia, asfaltato, con blocchi di cemento sulla riva e all’opposto il muro dello sperone su cui poggia il paesino.
Questo contrafforte, privo di negozi o altro, porta alla base gli evidenti segni di una miriade di emissioni minzionali secche e meno secche, che si prolungano sul piancito. Ci sono centinaia di turisti, mi dicono locali e cecoslovacchi, che hanno steso asciugamani in terra anche al di sopra delle tracce di eiezioni. Li riprendo con la cinepresa (il filmino l’ho ancora) con i miei che hanno timore sia arrestato.
Pranzo caro e scadente in un ristorante ove mi avevano indirizzato, con frittura di pesce che in Italia sarebbe rifiutata. Sulla parete incombe una mastodontica foto di Tito sulla tolda d’una nave, che guarda severo il contenuto dei piatti. A mio figlio portano una bottiglietta di surrogato di Coca Cola (Dobro-Kola o similare), nonché un semifreddo di una panna strana. L’assaggiamo, scopriamo è chiara d’uovo montata, con odore e sapore caratteristici di uova più o meno fresche. Poi dico ai miei di riposarsi un po’ in un bar appartato e ombroso, vicino il mare, prendendosi magari un vero gelato, che io mi sarei assentato per un’oretta onde vedere una persona (moglie e figlio feroci: … “ecco, abbiamo capito perché siamo qui, possibile che il tuo Capo ci rompa le scatole anche al mare?“). Telefono:“Hallo… Da?…”
….“signora, sono italiano, mi capisce? vorrei incontrare il maggiore, vengo da parte di Sua Eccellenza, sono al bar X, mi dica che devo fare. Ah! attendo? avrò una copia del giornale “LA STAMPA” in mano”….
Poco dopo arriva la signora, di mezza età, slava, parla discretamente l’italiano, è forse una donna di servizio, moglie, compagna, non so.
Entriamo nelle viuzze e raggiungiamo una villetta di tono un po’ demodé, tipo anteguerra. Entro in soggiorno, il maggiore mi attende in poltrona. Vuole alzarsi, lo prego di non muoversi, accenno un attenti e mi presento. Avrà poco più di cinquanta anni ma è ridotto male da un tumore ai polmoni che presto lo porterà via (comunque per ora non mi pare in situazione terminale). Mi fa sedere, la signora chiede se gradisco un caffè all’italiana, e fuma di continuo. Il maggiore da tempo non lo fa ma i segni devastanti se li porta addosso. Parliamo un po’ sul generico, tempo, caldo, medicine, difficoltà economiche, poi entro nell’argomento. Gli dico che Sua Eccellenza lo saluta, desidera notizie più dettagliate, che qualcuno lo ha interessato (si! il camerata di Rovigno). Accetta un assegno mio di duecentomila lire, che la signora cambierà in loco o in Italia. Poi il Comandante d’un tempo provvederà da Roma come sa fare Lui, ma io devo chiedergli una cosa:
….“da parte di Sua Eccellenza? mi dica, anzi dimmi pure, potresti essere uno dei miei giovani ufficiali d’un tempo”….
….“Maggiore, prenda bene le mie parole, poco fa ha detto che non ha timori del passaggio inevitabile. Allora Sua Eccellenza mi incarica, per quando sarà, il più tardi possibile, di offrirle un posto adeguato in una struttura che stanno terminando in Italia, ove si ritroveranno tanti suoi e nostri commilitoni, però lei deve esprimere l’approvazione, meglio con due righe, considerando che vive in terra non più italiana”..
…“tenente, sono commosso per le attenzioni mostratemi (e lacrime appaiono sui suoi occhi), però sono nato a Pirano, mia moglie, i genitori, nonni, altri, sono nei nostri cimiteri. Sono tornato quì con mille difficoltà, oltretutto tollerato in quanto rimasto italiano. Dica a S.E. che lo ringrazio di cuore, ma non posso lasciare la mia terra, devo restare a testimoniare la presenza italiana e della mia famiglia. Che mi ricordino, se vogliono, indicando il mio nome”….
….“La capisco, riferirò ogni cosa, sia sicuro e tranquillo”….
Parliamo ancora per un po’ della guerra passata, del Duce, di Graziani, di Sua Eccellenza, delle traversie da Lui passate con nemici ed amici, delle persecuzioni slave, d’altro. Poi gli dico:
….“maggiore, la devo lasciare, mia moglie e mio figlio mi aspettano,

mi permetta d’abbracciarla per conto mio e di chi sa”... Poi:
….“tutto fatto, ci ho messo poco, che vogliamo fare?”….
….“guarda, abbiamo girato un po’, volevamo fare un bagno ma non c’è un metro di spiaggia libera, hanno ticket complicati per mattino e pomeriggio. Ci abbiamo capito poco e preferito rinunciare. Per il gelato li avrei portati a vedere le coppe di Lignano. Che ne dici, e facciamo ancora in tempo, di tornare in Italia con la nave di stasera?”..
Vado in Capitaneria, ritiro i documenti, vedo l’orario del ritorno. Mi chiedono perché parta così presto, adduco che mio figlio non si è sentito bene. Ah Italia! Lignano, Monfalcone, Trieste, Udine, terre che hanno rischiato di essere slave! Riferisco al Capo, mi rimborsano l’anticipo, al maggiore giungerà un consistente pensiero, presto morirà. Dovrebbe riposare vicino Pirano. Non sono più tornato nella Iugoslavia già italiana (oggi Slovenia e Croazia), almeno sino ad oggi, per il futuro vedrò, penso dovrò fare un sforzo veramente grande.
ELIPIOVEX
00mercoledì 14 maggio 2008 22:02
Sono stata a Pirano circa quindici anni fa a mangiare il pesce e poi a fare un giretto a Portorose ma non mi sembrava malaccio.
Abbiamo comunque mangiato molto bene (e tanto). Quel giorno era un 25 aprile ricordo c'erano un sacco di veneziani che facevano la fila per passare il confine e andare a mangiare in Jugoslavia (15 anni fa era ancora Jugoslavia...).
Mi ricordo l'ambiente stretto ma accogliente, il pesce abbondante, il mare stupendo che faceva da cornice al porticciolo pieno di barche colorate.
Mi è piaciuta ed è molto lontana dai tuoi ricordi...
florentia89
00giovedì 15 maggio 2008 10:19
Ciao Michela
Vedi Michela, io anzitutto tornai a Pirano con un magone nel cuore. La conobbi, e bene, nell'anteguerra, quando era un fiore delle cittadine italiane, istriane e, ti posso assicurare, la Pirano di decenni dopo era un'ombra di quella precedente.

Poi c'è che io bazzicai la Iugoslavia (non solo Pirano ..) in tempi in cui i rapporti fra Italia e Iugoslavia non erano affatto idilliaci, anche direi che erano molto tesi e duri.

L'aria dimessa e poco amica che trovammo, la quale poteva influenzare me, già influenzato negativamente, la riscontrai invece in mia moglie e mio figlio che non avevano certo i miei problemi, e nei loro consigli di tornare in Italia, a Lignano.

Tutt'oggi mio figlio, oggi più che quarantenne, ricorda con un sorriso il suo gelato alla chiara d'uovo montata, la penosa DobraKola, il pranzo modesto sotto la gigantografia di Tito che ci guardava nel piatto (e ... sembrava, guarda, guarda, una di quelle propagandistiche del Duce).

Chiaro che poi le cose sono cambiate, la Iugoslavia ha migliorato notevolmente il suo trend di vita, nell'insieme alquanto velocemente, ma nel mio cuore le terre dalmato-istriane sono rimaste italiane, strappate con la forza dei trattati bellici, non so' quanto per la storia.

Ciao di nuovo
fiordineve
00giovedì 29 maggio 2008 18:41


Ho passato vacanze incantevoli in Istria, in campeggio: mare cristallino davanti e monti con cerbiatti liberi alle spalle.

Con pochi dinari cena a base di aragoste, amici sloveni che già parlavano di secessione.
Tutti e dico tutti gli abitanti con una nostalgia incredibile dell'Italia e della sorte che era toccata loro.

Poi sono stata in Croazia, in un'isola che aveva un ponte che la univa alla terraferma (e da noi ancora non si è costruito il ponte sullo stretto); lì erano un po' ostili verso gli italiani.
Ho litigato con la gente del posto dicendo loro che noi turisi italiani portavamo dollari e non piselli.

Negozi, meglio spacci, dove non vi era nulla, chi ti vendeva il pane ti dava pure le patate, altrchè guanti o igiene.

Abbiamo abbandonato la Jugoslavia e la sua boria e le nostre vacanze le abbiamo trascorse, da allora, in villaggi nel sud dell'Italia.

E nulla è più bello del nostro paese.

p.s. andate ad Albarella (Rovigo alla foce del Po), un luogo che nulla ha da invidiare a Santo Domingo (di proprietà della mantovana Emma Marcegaglia).
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