Un breve episodio

Anemonephobia
00sabato 26 aprile 2014 19:59
Accesi la prima sigaretta della serata proprio mentre mi avviavo verso De Wallen. Sulla Damrak c'era il solito viavai di turisti, tutti con i loro ombrelli appena acquistati per ripararsi dalla solita pioggerellina martellante. Camminando afferravo brandelli di conversazione in inglese, tedesco, spagnolo, persino giapponese. Nascosi la sigaretta in modo da non farla spegnere e feci qualche tiro. Non mi ero ancora abituato al gusto pungente delle Djarum Black. Oltrepassato il Grasshopper svoltai l'angolo a destra, il Baba era brulicante, al solito. L'odore pungente dell'erba mi investì come una porta sbattuta in faccia. Continuai. Mi chiesi perchè lo facessi, cosa sperassi di trarne, ma non riuscii a darmi una risposta convincente. Ormai non era neppure un vizio: era un'abitudine. Entrai nel quartiere a luci rosse e gettai via la sigaretta. Oltre le vetrine c'erano i soliti corpi ben in vista, sguardi annoiati, sorrisi, alcune ragazze parlavano al cellulare o fumavano. Le strade erano strette e riuscivo a malapena a spostarmi, ma decisi comunque di farmi un giro. Sapevo dove fosse. Evitai di incrociarla per calmarmi i nervi, ma non servì a nulla. Molti dei passanti si fermavano, bussavano alle vetrine, negoziavano prezzi e prestazioni. Non l'avevo mai fatto. Era già fin troppo arduo farmi vedere e scambiare due parole con le labbra tremolanti e le mani ghiacciate. Girai a vuoto per circa mezz'ora, finchè raggiunsi il Cafè Rosso, poi rifeci il percorso a ritroso. Ed ecco che la vidi. Indossava la solita catsuit in latex. Il suo sorriso intelligente era lo stesso. Sembrava che mi stesse aspettando. Entrai. Successe quello che volevo succedesse. Notai i suoi tatuaggi: una geisha sulla schiena, un serpente su una gamba. Ero ancora disteso sul letto quando attaccammo a parlare di astrologia, del tempo, dei suoi clienti e dei miei mal di testa. Era lì, davanti a me, eppure non c'era. Era irraggiungibile e lo sarebbe stata per sempre. Notai un pacchetto di Djarum Black sul comodino a fianco al letto e fui tentato di prenderlo per un buon segno. Continuammo a parlare. Le sue parole traboccavano di intelligenza e di ironia. Le dissi che, in un universo parallelo, sarei stato felicissimo di invitarla a cena. Sorrise. Peccato, disse, purtroppo esiste solo questo universo. Era ora di andare. Ci salutammo. La abbracciai. Il mio volo sarebbe partito l'indomani, a mezzogiorno. Le chiesi una sigaretta, nonostante il mio pacchetto fosse quasi pieno. Le augurai pace e felicità. Lei mi ringraziò, aprì la porta di vetro e mi fece uscire, guardandosi intorno. Infilai le mani in tasca e nascosi la sua sigaretta fra le mie. La pioggia si stava accanendo sulle strade, ma non feci alcuno sforzo per muovermi più in fretta. La pioggia non sarebbe bastata a spazzare via il suo profumo. Mi voltai. Un tizio sulla quarantina era fermo davanti alla sua vetrina. Un'altra ombra, un altro soffio di polvere. Giunto nei pressi del Baba proseguii dritto, finchè raggiunsi il mio albergo.
debona
00domenica 27 aprile 2014 16:22
Ottime descrizioni di luoghi, persone e stati d'animo. Mi e' piaciuto questo breve racconto! [SM=x142922]
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