(Giorgia)
Ricordo una ragazza conosciuta in vacanza: era verso la metà degli anni ‘70.
Giorgia, si chiamava, era minuta ma graziosa, capelli lunghi, castano chiaro, occhi grigi, uno sguardo malinconico ma quando ti vedeva sorrideva, e ti scaldava come il sole.
Una volta andammo a vedere Lenny al cinema nella galleria del Museo, era con Dustin Hoffman. Una storia vera di un cabarettista che diceva “la verità” (morì giovane). Film impegnato, film grande.
Non conoscendola bene ero stato cortese e, avendola invitata io, mi porsi di offrirle il biglietto del cinema. Giorgia non volle farsi offrire il biglietto.
Rimasi favorevolmente colpito dalla determinazione nel voler pagare la sua parte (era un tipo sensibile e delicato, ma in questa circostanza si dimostrò molto decisa) e ricordo che lo fece con discrezione, senza enfasi.
Mi piaceva, era studentessa universitaria, ma trovava comunque il tempo di far scuola serale ad anziani e ai lavoratori-studenti della parrocchia, e anche corsi di chitarra classica ai bambini (strumento che sapeva suonare sul serio, teneva anche dei concerti). E questo sin da ragazza, quando faceva il liceo classico.
Al ritorno presi la Tangenziale per accompagnarla con l’auto al Vomero, dove abitava; all’epoca costava trecento lire: non ci fu niente da fare, mi diede la sua parte, 150 lire. Ricordo ancora quella sua manina porgermi decisa quelle monete da cinquanta. Dovetti accettare. Per quanto giovane (nel periodo che l’ho frequentata poteva essere sui venti-venticinque anni) era “una signora”. Ma non era solo questo suo comportamento a lasciarmi secco. Con lei potevi parlare di tutto e non s’annoiava mai, anzi, sembrava assorbita da quel che dicevo, anche le cose più banali, o le più intime, o le più bislacche (e dire che ne facevo di ragionamenti deliranti). Parlavo delle cose del mondo, della società, dei complessi rock e pop che stavano sparendo o commercializzandosi; era competente anche di quel tipo di musica, oltre che di musica classica; alcuni gruppi – quelli inglesi – li ha conosciuti di persona: era bravissima in inglese e andava a Londra da sola tutte le estati, a Natale, a Pasqua e ai morti; lavava i piatti per sostenersi. In seguito ha fatto strada nel mondo della cultura, pur lavorando onestamente come insegnante.
Non l’ho più vista, almeno dagli inizi degli anni ‘80 ormai. A volte la ricordo, non senza nostalgia. E come potrebbe essere altrimenti. Chissà, sarebbe stata un’ottima amica di Carol, o di Delia, o di Nunzia. Di Fausta lo fu perché la conobbe. Per quanto riguarda gli uomini, gli amici, si sarebbe rivelata interessante solo per quelli più sensibili e nobili d’animo – o meglio – per quelli che non s’accontentano della superficie delle cose, ma d’ogni aspetto della vita vogliono ragionando andare in fondo, e rendersi conto di se stessi, del mondo, dei rapporti che tra loro e il mondo intercorrono. Sarebbe stata bene con quelli di noi che era gente inquieta e bisognosa di certezze. Gente che cerca l'Assoluto, ossia una verità su cui fondarsi nell’universale relatività della vita e del mondo, e tale assoluto trovano (se lo trovano) in se stessi.
“Trovarsi” è l'ansia costante di questi personaggi: pervenire a quella consapevolezza di sé che permette alla personalità di realizzarsi completamente e di vivere, allora, realmente, quelle ore, quei giorni, quegli anni che vengono di solito sciupati nella banalità quotidiana di una esistenza d’ordinaria amministrazione.