Tempi remoti, 1944 / 1945

florentia89
00sabato 5 aprile 2008 16:03
"LA VOCE DEL PADRONE" cioè "THE MASTER'S VOICE"

La voce del Padrone

Ai miei tempi la migliore marca dei fonografi a tromba, a manovella, puntine intercambiabili, era “La Voce del Padrone” (The Master Voice). C’erano dei maligni o buontemponi, fascisti e non fascisti, i quali insinuavano sarcasticamente fosse la “Voce del Duce” e non “del Padrone” il che per loro avrebbe dovuto essere la stessa cosa.
In casa nostra su un mobiletto troneggiava uno di questi fonografi ingombranti e pesanti, con l’amplificatore costituito da una enorme tromba di ottone dai bordi ondulati che era mia cura lucidare con il Sidol sino a specchiarmi dentro, ovviamente deformato e ridicolo. Non parliamo poi dei dischi a 78 giri, pesanti, fragili, con musica di durata pari a qualche minuto, di norma tre-quattro, senza dire di quelli cosiddetti giganti, con diametro tale ai long-playng degli anni 70 – 80, che pesavamo uno sproposito, erano ancora più fragili e, quanto al costo, meglio non parlarne, per comprarli necessitava un capitale.
I dischi a mia disposizione erano per lo più di canzoni tango, valzer, polke, mazurke, pezzi di varietà di Petrolini, il preferito di mio padre, più alcuni americani rimediati al mercato di Porta Maggiore.
Coi dischi che chiamavamo pomposamente “ballabili”, comprese alcune novità USA e sud-americane, organizzavamo qualche pomeriggio di “danzatine”, soprattutto in case di ragazze in cerca di fidanzati, promotrici loro e le madri future suocere, le quali preparavano qualche torta o dolce spartano per componenti, qualità e quantità; e non è detto che a volte non ci fosse proprio nulla di mangereccio, ma solo qualcosa da bere, più il nostro entusiasmo e volontà. Da bere aranciate, le prime Coca Cola, qualche bicchierino di liquori repellenti fatti in casa, e imitazioni disgustose di cognac, a volte qualche ambita bottiglia di wisky.
Non parliamo dei passi di danza. Accantonando i pochi ritmi d’oltreoceano per i quali dovevamo inventarci tutto, resta che le cadenze degli altri erano sempre basate su due, tre o quattro passi (tango, valzer, polka…) ed essendo noi tutti ex balilla, ne derivava una specie di marcia con sbattimenti di tacchi e giri a destra – sinistra che somigliavano fin troppo ai fianc-des, sinis, dietro front della GIL.
Secondo i casi c’era da sorridere o, ancor di più, sbellicarsi dalle risa.
Comunque andiamo al 1945. La guerra al nord sta concludendosi, mentre gli americani sono a Roma da un anno.
Arriva il 21 Aprile. Natale di Roma, nonché festa del lavoro e, mentre per la R.S.I. sta andando ormai tutto a rotoli, pur se il Duce c’è ancora, alcuni di noi suoi appassionati, su mia proposta, tenteranno di far ricordare quella data un tempo importante, oggi già dimenticata.
Allora io, profittando di essere solo in casa, con mio papà al lavoro, mio fratello militare con Badoglio, mia madre in Umbria, fingo che la nostra casa sia chiusa per assenza di tutti, sbarro le persiane delle finestre, che sono tutte al quinto piano e danno sulla via pubblica, piazzo il fonografo “La Voce del Padrone” sul davanzale interno, faticando anche per ben sistemarlo, poi monto la tromba di ottone, poggiandone l’ampia apertura contro la parte interna delle persiane. Il tutto non visibile dall’esterno. Fatto ciò pongo sul piatto un disco che nelle due facciate porta la “Canzone del Piave” e “Giovinezza”, entrambi senza coro, solo musica, acquistato da mio padre quando gli girava l’umore a favore del Fascio, e non come ora che è mezzo socialista. Sulla via due amici fingeranno di transitare, onde controllare l’effetto della trasmissione che fra poco inizierà.
Controllo i particolari. La puntina è nuova di zecca, il motore a orologeria l’ho caricato al massimo con l’apposita manovella. Il disco il suo lavoro dovrebbe svolgerlo egregiamente.
A scanso di equivoci al portiere ho fatto capire che sarei stato fuori per la scuola tutto il giorno e sarei rientrato il pomeriggio. Ero quindi deciso a non uscire di casa sino all’arrivo di mio padre.
Il grammofono l’avevo posto dietro l’ultima finestra, quasi adiacente al termine del palazzo, sul cui muro si era collegato un edificio della ditta Lamaro, così poteva pur sembrare, eventualmente, che l’inno infamante provenisse da loro, non da noi. Ultimi controlli e, per avviare l’atmosfera, utilizzo prima la parte B, quella con la canzone del Piave, meno usurata della prima. Il disco parte, il fracasso in casa mi sembra enorme, mi immagino tutti a bocca aperta ad ascoltare col naso all’insù. Dalle barrette oblique delle persiane non riesco però a vedere in basso e quindi mi devo immaginare la scena. I minuti di diretta passano in un attimo, ricarico il fonografo, giro il disco, non posso alzare il volume in quanto è fisso, e via! parte “Giovinezza” a tutta birra, anzi a tutto audio; soliti tre-quattro minuti di emissione fonica, ricarico, e di nuovo “Giovinezza”.
Mi ritengo un temerario, oltretutto il nostro palazzo è di ferrovieri rossi e anche una mezza succursale delle sezioni del Partito Comunista del quartiere. Vorrei tentare una terza volta con “Giovinezza”, ci penso e poi, ma si! comunisti al diavolo! Il Duce un’altra trasmissione se la merita, e via ancora con “Giovinezza”, che è quella alla vecchia maniera, cioè “Salve o Popolo d’Eroi” dell’ONB, la cui musica è meno scattante del successivo “Allorché dalla Trincea” della GIL. Poi rimetto il fonografo al suo posto, nascondo nel palchettone del bagno il disco incriminato, e mi accingo ad attendere l’arrivo della polizia per arrestarmi, o dei partigiani e scalmanati rossi a cercare di buttar giù l’uscio di casa e magari me dalla finestra.
Non avviene nulla, passa un’ora, due, seguita a non accadere nulla. I miei amici mi riferiranno solo in serata in quanto per tutti, portiere e loro, io sono fuori per studio, mentre per il mio lavoro di pastaio gli impegni saranno notturni. Arrivano le diciotto, giunge mio padre, faccio vedere di essere rientrato da poco. Ceno qualcosa con lui e poi fuori, a sentire i collaboratori-amici, finti passeggiatori ignari.
Il risultato è plurimo, anzitutto il fonografo a tromba non era un mostro di decibel come gli altoparlanti odierni, e quello che a me all’interno di casa era sembrato un fracasso infernale, al di fuori, cinque piani sotto, non risultava niente di speciale, poi alcuni passanti si erano fermati, avevano scosso la testa, come per dire, ma chi è il matto? Ma che stanno suonando? e se n’erano andati.
Altri non avevano nemmeno capito che inno fosse. Il portiere era stato avvicinato da alcune mogli di comunisti le quali avevano ventilata l’ipotesi che, localizzata approssimativamente l’area di emissione e conoscendomi, l’idea di quella pagliacciata fosse mia e la musica provenisse dalla nostra casa ma Gildo, il portiere umbro del fabbricato, giurò che in casa nostra non c’era nessuno, con mio padre al lavoro, madre e fratello assenti, e io fuori a studiare come ogni giorno, anzi, mi aveva visto uscire con i libri sotto il braccio e non rientrare.
Allora convennero che il suono potesse provenire dal piano di sotto, o dai terrazzi stendipanni o, ipotesi plausibile, dalle adiacenti finestre del palazzo della Lamaro, ove alloggiavano ricchi fascisti, visto che avevano ascensore, riscaldamento, bidet nei bagni. Comunque, mi ripeto, non accadde nulla, il tutto alla fin fine passò inosservato se non ci fossero state le poche donne che se ne lamentarono col portiere e i mariti.
Anche mio padre mi dirà che qualcuno, da prendere solo a sberle, aveva fatto sentire in giro “Giovinezza” (avessero notato l’ “Inno del Piave”) e sembrava fossero stati i signori dell’edificio incollato al nostro, di certo fascisti o di stampo fascista. Io mi limitai a dirgli che in fondo non era avvenuto alcun atto criminale e, azzardando, aggiunsi che mi sarebbe piaciuto farlo io, solo che queste erano azioni da incoscienti e non da veri fascisti, che avrebbero saputo fare qualcosa di più serio, e poi … anche volendo, non avrei potuto, in quanto in casa non c’era più quel disco con “Giovinezza” vecchio stile, comperato proprio da lui intorno il 1930, che si era rotto da tempo.
Insomma il 21 Aprile 1945 ci fu chi sentì gracchiare un macinino che trasmetteva l’inno fascista ad una potenza che oggi non sarebbe nemmeno percepita dall’organo uditivo dei ragazzi, rovinato dai volumi delle loro discoteche.
Resterà pur sempre la buona volontà di aver tentato di fare qualcosa.
L’episodio di cui sopra, lungi l’idea dal vederci più di una ragazzata, mi è tornato in mente nel rivedere in TV il film “Amarcord” di Federico Fellini, ove un’azione del genere dovette avvenire nel paese emiliano da lui preso come base della pellicola. Mi ha fatto constatare con soddisfazione che non sia stato l’unico. Se ne siano avvenuti altri non so, ma il mio tentativo di certo ci fu, senza però il trambusto inscenato nel film, addirittura con spari di moschetti verso il malcapitato fonografo posto nella cella di un campanile, e olio di ricino ai sospettati.
La reazione inscenata mi è sembrata eccessiva, sia per la durata lampo di un disco da 78 giri, che in pochi minuti esaurisce il repertorio (in quel caso Bandiera Rossa non Giovinezza), senza che nessuno abbia materialmente il tempo di intervenire, sia per la potenza fonica che, se già scarsa da un quinto piano, dovette risultare ancor più ridotta dall’alto di un campanile. Comunque l’episodio emiliano si sarà pur verificato, altrettanto il mio, svoltosi però a guerra finita, persa, e quindi più rischioso, con il Duce vivo ancora per una settimana e con i resistenzialisti che a Roma, prima assenti, cominciano a imperversare.
Ah! il disco consunto di “Giovinezza”, che poi si ruppe veramente!
Ah! la mia e nostra giovinezza - giovinezza che s’en fugge tuttavia!
Ah! ricordi, sensazioni, emozioni, di tempi remoti!
ELIPIOVEX
00sabato 5 aprile 2008 23:01
Anche Fellini deve aver fatto i suoi errori!
Mi ricordo quella scena del film, infatti il tuo racconto aveva un certo che di dejà vu.
Eri un po' pestifero da giovane [SM=x142834]
auroraageno
00lunedì 7 aprile 2008 09:08

Eh, sì... giovinezza se n'è andata, anche per me.

Il tuo racconto mi fa ricordare un piccolo episodio: un giono mia madre (io ero piccola) all'improvviso cominciò a canticchiare l'incriminato "Giovinezza", a me piacque e incuriosì (non l'avevo mai sentito e mai lo sentii dopo) e le chiesi di proseguire, di cantare ancora. Lei si accinegeva a farlo, sorridendo, quando mio padre entrò come una folata di vento nella stanza dove ci trovavamo e le intimò di tacere subito.
Lei, naturalmente, ubbidì. E io, che nulla capivo, cercai di ottenere qualche spiegazione; non ricordo le esatte parole ma la risposta mi pare sia stata che era qualcosa che non si doveva cantare mai, che la cantavano tanti anni prima, ma era uno sbaglio. Qualcosa insomma da nascondere, di cui pareva si vergognassero, mi parve.

Sai, Francesco... ho sempre pensato, in cuor mio, che tutti quei giovani cresciuti in quegli anni del fascismo erano stati educati a credere e a far proprie quelle idee, e che poi, quando tutto andò in frantumi, per grazia di Dio, andarono in frantumi i loro ideali, le loro convinzioni e devono essersi sentiti tanto smarriti... delusi... probabilmente (e sarebbe meglio) traditi! Traditi da chi aveva loro additato la strada sbagliata.

Pensando a mio padre, ai miei, a quello che devono aver provato... mi si riempie sempre il cuore di compassione. E di comprensione, anche se ne so poco pure oggi.

Ma mi basta ricordare lo smarrimento penoso di mio padre quando io, anni dopo, parlavo degli orrori compiuti dai nazisti. E lui che, come ho già detto, era stato militare e in guerra e fino quasi alla fine gli avevano, credo, insegnato a considerare i tedeschi (non so se anche i nazisti, ma immagino di sì) come amici, mi rispondeva: "Noi... non ne sapevamo niente..."

Mi fa ancora male al cuore, ripensarci. Come vorrei abbracciare mio padre e i miei, ancora, con il senso di solidarietà del tutto umana che provo...

Cosa mi smuovi dentro, con i tuoi racconti, Francesco!
Eppure io non ho vissuto quegli anni...

Ciao...

aurora


ELIPIOVEX
00lunedì 7 aprile 2008 15:14
A me invece Aurora hai fatto venire in mente i racconti di mia madre su mio nonno. Mi diceva sempre che era un volta bandiera.
Nel senso che teneva in soggiorno vessilli e foto a seconda del vento che tirava, fascista con i fascisti e poi com'era conveniente fare.
Da come lo ricordo io era una persona che se poteva non si immischiava nella politica cercando di fare il minimo per essere lasciato in pace e sopravvivere (se gli dicevano che conveniva appendere la foto del duce in soggiorno lui lo faceva, se il giorno dopo gli dicevano di toglierla pronti faceva altrettanto).
Alla fine la povera gente che non voleva patire le conseguenze per le proprie idee si limitava apaticamente a seguire la corrente e sperare che il giorno dopo non arrivasse la resa dei conti.
auroraageno
00lunedì 7 aprile 2008 20:16

Sì, immagino che per moltissimi sia stato come dici.

Ti ringrazio, Michela cara, per aver risposto anche al mio intervento

Ti abbraccio [SM=x142887]

aurora

florentia89
00lunedì 7 aprile 2008 23:02
i nonni
Beh! una precisazione consentitemela. Michela, non tutti i nonni erano come tuo nonno. Giusto o errato molti sono stati e rimasti legati alle idee e dottrine di gioventù.
Ho detto giusto o errato, oppure bene o male, è la stessa cosa; io ad esempio sono rimasto con coloro che ritengono fondamentalmente corrette le idee ed i valori acquisiti in giovinezza, pur con le dovute critiche e il riconoscimento di errori e ingiustizie.
Questo, in guerra e dopoguerra, mi ha fatto rischiare più volte di andare a conoscere l'altro mondo. Ciò però non costituì problema per allora e in seguito. Una volta accade a tutti. Quello che si deve evitare, se pox, è di vivere una vita piatta, di svicolamenti di responsabilità, di timori fuori luogo, di cambiare bandiera ad ogni soffio di vento, di non guadagnarsi la stima di figli, consorte, nipoti. Socrate accettò di morire, sia pure ingiustamente, per non contravvenire alle leggi di Atene, e pur gli offrirono tutte le possibilità di evitarlo.
Comunque ognuno agisce come crede e fa le sue scelte di vita. Non è detto che il mio indirizzo sia quello giusto per i più. potrebbe essere il contrario.
Ciao
ELIPIOVEX
00martedì 8 aprile 2008 22:14
No, hai ragione. Il comportamento di mio nonno era biasimato da tutti in famiglia, bisnonno compreso. Tra l'altro mio nonno è vissuto penso come te in un periodo un po' particolare. Ha dovuto ubbidire ai genitori per molti anni e quando, venuto a mancare il bisnonno è venuto il suo momento è arrivata l'epoca in cui i "vecchi" devono sottostare ai figli.
Nonostante le sue debolezze ho un bellissimo ricordo di mio nonno, il suo sorriso l'ho ancora tuttora nella mente e credo di averlo pure ereditato.
Ecco la sua ricetta era il mondo filtrato attraverso il suo sorriso.
auroraageno
00mercoledì 9 aprile 2008 09:47

Com'è bello quello che hai detto, Michela..!!

Ti abbraccio forte [SM=x142887]


aurora

Stefano Starano
00mercoledì 16 aprile 2008 22:40
Da sinistrorso anarchico creativo eclettico schizoide e molto altro che sono, credo che bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare.
Se si potevano lasciare le porte aperte, se la criminalità era più controllata o repressa, se lo sport era un'attività collettiva e benvoluta, se la fede nella patria e nelle istituzioni era autentica, se la cultura del tardo fascismo era colta (scusate il gioco di parole), se la prontezza, la convinzione, la determinatezza erano apprezzate, se esistevano valori che oggi non esistono più o sono caplestati... io lo riconosco.
Non vedo perché negare cose che continuamente sento dire da mia madre di cui mi posso fidare.
Naturalmente anche da un destrorso mi aspetto di apprezzare quei (forse pochi) valori di cui parlava il socialismo di Marx ed Engels.
Loro parlavano anche dei suicidi per amore (sulle cause - sui genitori che, beccata la figlia la notte prima delle nozze col suo fidanzato, essendo stata scoperta poi si suicidò). Anche gli operai che mangiavano pane mischiato a polvere di marmo.
Il comunismo della Russia e della Cina non è affatto comunismo: Marx si rivolterebbe nella tomba.
Anche la prima Democrazia Cristiana era fatta da veri uomini come De Gasperi e de Nicola.
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