Stefano Starano
00giovedì 24 aprile 2008 19:29
Breve storia - parte 1 e 2
Erano le quattro del pomeriggio quando Osvaldo, Guido ed io – passeggiando per via Pittore – incrociammo quelle della 3^ C. Erano come noi della scuola media “Guglielmo Marconi” di San Giorgio a Cremano, solo che noi tre stavamo in 3^ A e nessuna sezione era mista, per questo non eravamo mai riusciti a parlare con una ragazza. Desideravamo tanto farlo, per fare amicizia. Il nostro sogno sarebbe stato poter uscire insieme, per andare a ballare, al cinema, farsi una pizza insieme, anche solo passeggiare. Conoscere, parlare, comunicare…
Io e Osvaldo incitammo Guido – il più coraggioso dei tre – a farsi avanti. Dopo un tempo che sembrò un’eternità (come avrebbero reagito, ci chiedevamo, avrebbero frainteso le nostre intenzioni, avrebbero capito?) il nostro amico si convinse e finalmente si rivolse ad una di loro.
«Sei un prosaico!» sentenziò la ragazza. E il sogno finì.
Oggi sembra nulla il fatto che le parole di Guido furono stroncate sul nascere, ma allora fu un trauma per tutti e tre.
Decisamente noi tre non eravamo tipi da attaccar bottone con la prima che passa o prendere in giro le ragazze fuori la scuola: eravamo di animo sensibile, di idee aperte, facevamo ragionamenti profondi. Eravamo indubbiamente curiosi, aperti alla conoscenza, ma la vera conoscenza non era mai una cosa superficiale per noi.
Passeggiavamo tanto, parlavamo tanto e di tutto, passeggiavamo sempre, andavamo dappertutto. In pochi mesi avevamo battuto tutte le strade di Barra e San Giorgio a Cremano. In queste lunghe camminate, col sole o con il freddo, cercavamo di conoscere il principio delle cose, l’essenza delle persone, la verità degli avvenimenti contemporanei come di quelli storici. Ci facevamo domande sulla politica, sulle donne, sulla vita, sul futuro, su tutto. Come sulla guerra del Vietnam. Fu scioccante l’episodio, che aveva letto Guido e di cui discutemmo, di una ragazza vietnamita (violentata ed “agganciata” ad un albero, a testa in giù, dopo averle tagliato i seni) perché inaccettabile l’idea di quei soldati americani – magari poco più grandi di noi – che non erano certo quelli del motto hollivoodiano “arrivano i nostri”.
Il modo di passeggiare e conversare somigliava a quello dei filosofi greci, idealmente e realmente tra viali ombreggiati e prati del grande parco dell’Accademia, dove Aristotele e altri si riunivano intorno a Platone. Il livello di discussione era tale che arrivammo fino a Dio… ed a proposito di Dio…
Un tardo pomeriggio d’inverno, dopo una fase di “pedinamento” (senza farci notare, con tanta insicurezza e timore) ad una ragazza iniziato a via Libertà, e dopo essere giunti a ben metà del viale Leonardo Da Vinci, io riuscìi a superare il disagio dell’imbarazzo.
La fermai: «Tu credi in Dio?» le chiesi. «Perché, sei un evangelico?» rispose lei.
Evidentemente non era abituata a sentirsi rivolgere domande più profonde, per esempio, di chi fosse il cantante dei “Primitives” (Mal) oppure “vuoi un gelato?” da ragazzi di 14 anni, infatti non fummo capiti.
Un giorno sembrò affacciarsi una buona occasione. Il mercoledì della Settimana Santa del 1968, nelle ultime due ore, la scuola intera doveva recarsi alla chiesa di Padre Talento in via Gianturco. All’uscita della messa, un paio di ragazze della 3^ C s’incamminarono per via S. Giorgio Vecchia. Dopo il discorso di amore fraterno e di pace fatto dal parroco, e la prossimità della Santa Pasqua, noi tre, ancora presi dall’atmosfera di fratellanza (e dopo alcune centinaia di metri di forte indecisione) ci risolvemmo finalmente a fermare le ragazze. Riuscimmo per la prima volta ad esternare il desiderio di fare conoscenza, le ragazze sorrisero: condividevano le nostre idee, erano affascinate da quei discorsi sul valore dell’amicizia e del come sarebbe stato bello condividere… improvvisamente piombò il fratello maggiore di una di loro minacciando di menarci: se non volevamo guai non avremmo dovuto permetterci non solo di rivolgere la parola alla sorella, ma nemmeno lontanamente di avvicinarci.
Anche questo fu un vero trauma.

Durante tutto il primo anno della nostra amicizia, dall’ottobre ’67 (inizio della terza media) fino al settembre ’68 (quando conoscemmo Manuela Biasi, una felice amicizia) non avemmo alcuna amica.
misterx78
00giovedì 24 aprile 2008 21:54
Originale l'idea di attaccare bottone con una ragazza parlando di Dio... Ma forse ti scambiano o per testimone di Geova o Evangelista e non so quanto sia gradito...
ELIPIOVEX
00giovedì 24 aprile 2008 22:42
Penso che a quattordici anni non si possa pretendere più di tanto... anche se dicono che le quattordicenni di un tempo erano più mature di quelle di oggi!
Stefano Starano
00giovedì 24 aprile 2008 23:07
Dio e 14enni
In effetti l'idea di fare amicizia per strada con una raggazza chiedendole se credesse in Dio... fu mia e, sì, non era comune.
In quel tempo v'erano ragazzi e ragazze impegnati politicamente anche a 14 anni, interessati alla musica di Jimi Hendrix, The Who, Deep Purple e tanti altri.
Erano i primi tempi in cui c'era uno sfizio generale a carpire notizie sugli UFO e a fare sedute spiritiche con la tazzine o col bicchiere.
Fu anche l'inizo del femminismo.
Stefano Starano
00giovedì 24 aprile 2008 23:18
breve storia parte 2^
Era un martedì come un altro e si passeggiava lungo quella che noi chiamavamo la “zona C”. Era il tratto terminale di via Stanziale a San Giorgio a Cremano ove, in una terra a cui si poteva accedere liberamente dalla strada, c’era un albero abbattuto che adottammo come luogo di discussione e riflessione stando seduti sul tronco o sospesi sui vari rami. Era il nostro albero della meditazione. Io amavo stare seduto sulla punta dell’albero della meditazione che, data la sua curvatura e una leggera inclinazione, era il punto più alto. A volte stavamo lì in silenzio fino al tramonto, senza dire una parola, a guardare il panorama del Golfo di Napoli.
In quel periodo seguivamo una ragazza della zona, una certa Pina Bianchi, che noi avevamo adocchiato da tempo (ma con la quale, come al solito, non ci eravamo mai permessi di attaccar discorso). Quel giorno costei passò di lì con una sua amica, una certa Manuela, la quale ci vide sull’albero della meditazione. L’amica venne verso di noi e chiese incuriosita che ci facessimo piazzati su quell’albero. Noi cercammo di spiegare che era il luogo ove discutevamo di cose, o semplicemente dove contemplavamo la natura. La cosa la interessò e divertì nello stesso tempo. Si sedette con noi. Parlammo con lei come fosse stata da sempre una di noi. Da quel 24 settembre del 1968 l’albero della meditazione ospitò quattro persone.
All’epoca i gruppetti di quell’età (14 anni) erano formati solo da maschietti o femminucce. Lei invece era il tipo che si diceva sempre “ma perché non ci può essere amicizia fra uomo e donna? Perché non ci può essere un gruppo misto?”
Il pomeriggio si rimaneva a parlare e, scoprimmo, anche a camminare sull’albero; alla fine si faceva sempre tardi. Arrivata la sera rimiravamo in silenzio il cielo e ci facevamo domande guardando le stelle: esiste vita intelligente nell’universo?
Una notte sognai che noi, insieme a Manuela, partivamo a bordo di un’astronave extraterrestre atterrata sulla “zona C”, per un pianeta dove ci aspettava un’altra civiltà: un po’ come nel film "Incontri ravvicinati del terzo tipo". In realtà, invece, avemmo l’impatto con un altro personaggio: Federico Antonelli.
misterx78
00venerdì 25 aprile 2008 00:35
Mi ricordo di tante passeggiate a parlare di questioni filosofiche di ogni tipo...
Anche io perdevo le mie giornate in una zona boschiva che noi ragazzi chiamavamo 'il posto'. Eravamo un gruppetto anche se i più affiatati eravamo tre e di quei tre, due in particolare: io e il miglior amico dell'epoca. Anche se la vera forza trainante ero sempre stato io. Nel posto avevamo fatto delle modifiche del terreno che era una radura di forma rettangolare. A memoria un 14 metri per 4 o 5 metri. Avevamo portato degli attrezzi e spianato il tutto, togliendo l'erba e rendendolo perfettamente piano e livellando i solchi e i dossi. Piantammo paletti per esercizi di arte marziale, corde, etc e spesso facevamo meditazione come imparata in palestra. Ci sembrava un mondo apparte. Noi che ci chiedevamo cose che altri, soprattutto alla nostra età, non si chiedevano. E come mai gli altri non capissero cose che per noi sembravano ovvie...
Stefano Starano
00venerdì 25 aprile 2008 16:51
Setta
E' come essere nella setta dei filosofi perduti.
Bello.
Non sanno cosa hanno perso (gli altri, gli stupidi, i superficiali).
Stefano Starano
00venerdì 25 aprile 2008 16:55
Federico Antonelli
Avvenne così. Stavamo cercando di parlare con una ragazza, Luisa, sorella di Piero che abitava al piano rialzato e che avevamo conosciuto. Questi aveva anche altre due sorelle. Luisa era romana ed era la più grande. Sarebbe stato interessante conoscerla.
In tutto ciò c’era la presenza fastidiosa di un ragazzino, di quelli antipatici, che si metteva fra i piedi con bicicletta sul marciapiede dove noi stavamo a parlare con quella, andando avanti e indietro sempre più veloce fino a sfiorarci. Al ché Guido, il più coraggioso di tre, lo redarguì in napoletano. Ci si parò subito davanti un figuro più alto e robusto di noi, ed anche un po’ più grande d’età, che con un accento napoletano storpiato, diciamo fra il ciociaro e l’abruzzese, iniziò a difendere il ragazzetto asserendo che abitava lì e poteva procedere su quel marciapiede. Anzi, eravamo noi gli estranei e ci chiese che ci facessimo lì invitandoci ad andarcene alzando la voce. Guido gli disse di non intromettersi in affari non suoi, stavamo parlando con amici nostri affacciati al balcone. Io pensavo a come colpire l’individuo alle spalle data la sua superiorità fisica.
Bene, è da quell’autunno del 1968 che il suo carattere burbero non è cambiato.
Lo posso ben dire perché siamo rimasti amici. Federico ha segnato il corso delle nostre vite (almeno quella mia e di Osvaldo) parlandoci della indescrivibile luce degli occhi di alcune ragazze che cantavano in un gruppo, conosciute in una gita a Loppiano (fa parte del comune di Incisa Val d’Arno, vicino Firenze).
La storia di quelle ragazze è lunga e non raccontabile in due parole: dire che è in relazione col movimento Gen non renderebbe l’idea anzi, non direbbe proprio niente.
Per le esperienze vissute occorrerebbe un libro, per ognuno di noi tre.
misterx78
00venerdì 25 aprile 2008 18:47
Per fortuna riuscì ad uscirne da certe cose...
misterx78
00venerdì 25 aprile 2008 18:50
Movimento Gen?
Stefano Starano
00venerdì 25 aprile 2008 20:11
Difficile spiegare
Difficile esprimere a parole il vissuto.
L'amare concretamente e l'unità (che tutti siano uno) è il messaggio del movimento gen.
In realtà è la nuova generazione di un altro movimento.
Ma credo di aver ingenerato altra curiosità.
ELIPIOVEX
00domenica 27 aprile 2008 21:45
Da come conosco la storia io il movimento è quello dei focolarini che si rifà al pensiero e alle riflessioni di Chiara Lubich recentemente scomparsa un mese fa.
Tra i focolarini c'è un ulteriore movimento che si chiama Generazione Nuova (GEN) qui il link da Wikipedia.
Il messaggio che portano è un messaggio di pace e di fratellanza tra le religioni. Ho molti colleghi che fanno parte di questo movimento. Uno di loro si è licenziato e ha deciso di dedicare interamente la sua vita alla crescita della comunità di Loppiano.
Secondo la mia esperienza sono delle brave persone, molto accoglienti (ogni anno mi invitano al pic nic di Pasquetta anche se non faccio parte del loro movimento) nel senso che non predicano la pace solo a parole ma la realizzano mediante gesti concreti di solidarietà, aiuti verso le popolazioni svantaggiate e contributi al dialogo.
Quando è morta anche se aveva 88 anni mi sono realmente commossa. Lei è una grande persona nel ventesimo secolo che ha lasciato il segno.
Stefano Starano
00domenica 27 aprile 2008 23:37
Chiara e i "popi"
Credo che l'ideale fondamentale di Chiara Lubich sia stato l' "Ut Omnes" cioè "che tutti siano uno" (diceva sempre che l'avrebbe fatto scrivere sulla sua tomba, e così è stato) . E anche l' "amare concretamente" l'altro, anche il prossimo più vicino (il collega, la madre, il giornalaio) come amare quello di un'altra religione o ateo.
Amare concretamente è anche portare la busta della spesa, rifare un letto a chi non ti appartiene (uno sconosciuto in un congresso con il quale dividi la camera) oppure dare la vita per l'altro. In genere però consiste nell' usare "olio di gomito". Anche stare in silenzio ad ascoltare veramente l'altro, perdendo le proprie idee, perdendo la propria religione, opinione politica, astenendosi dal dare consigli se non richiesti ma alla fine poter dire quello che sgorga dal cuore. Questo "perdere" per l'altro è amare. Non è rinnegare perché è solo una perdita temporanea e, se del caso, si esprime ciò che si sente, ciò che è vero.
Il "patto di esere disposti a dare la vita per l'altro" è quello che si scambiano i focolarini veri e propri ("popi" - derivante da bambini).
Oltre ai focolarini che fanno voto di castità e vivono in comunità svolgendo le normali attività di lavoro o studio fuori casa, ci sono gli aderenti, i volontari, i preti focolarini, i monaci, i focolarini sposati, i giovani gen... ci sono tante espressioni del movimento.
Non c'è il proselitismo (il voler convertire gli altri) nè il parlare di religione o di Dio. L'essere concreti esempi d'amore è valido. L'amarsi l'un l'altro o amare gli altri al di fuori del movimento, vale più di ogni altra cosa.
Non esistono tessere o distintivi.
Chiara è stata insignita del premio Templeton della religione, c'è una cittadina (Ottmaring) dove convivono aderenti al movimento di altre religioni, vi sono i buddhisti del Richo Ko Se Kai (giapponesi), ortodossi (il Patriarca Atenagora era intimo amico di Chiara e più di una volta hanno partecipato a messe insieme) e anche atei.
Il movimento è diffuso in 180 nazioni.
Sono state costruite cittadelle nel cuore dell'Africa nera, in Brasile e altre parti del mondo senza colonizzazione alcuna di cultura o di religione, dove è stata portata l'acqua, creati ospedali, scuole...
Ma farne l'esperienza diretta è diverso.
Inutili le parole.
ELIPIOVEX
00mercoledì 30 aprile 2008 21:00
ho unito le due parti dato che erano correlate tra di loro per non mescolarle alle altre storie.
Stefano Starano
00mercoledì 30 aprile 2008 22:36
MA SONO TRE !
Le storie collegate sono tre, non due!
Ciao
con affetto.
Stefano
ELIPIOVEX
00giovedì 1 maggio 2008 14:49
Se mi dici qual è la terza parte la unisco pure quella.
Purtroppo ieri sera c'erano tre diverse storie in tre parti che si incrociavano tra loro e non si capiva niente. Ho dovuto fare un po' d'ordine per chi veniva...
Stefano Starano
00giovedì 1 maggio 2008 18:22
«ERRORE DI BATTITURA» e 3^ parte storia
Queste risposte sono state errore di combinazioni di tasti.
Scusate.
Il post "A QUESTIONE" (Federico Antonelli) era il terzo racconto collegato al post "TRE AMICI".
Nota: il titolo doveva essere "LA QUESTIONE" ma sbagliai a scrivere.
Stefano Starano
00giovedì 1 maggio 2008 18:25
Re:
ELIPIOVEX, 01/05/2008 14.49:

Se mi dici qual è la terza parte la unisco pure quella.
Purtroppo ieri sera c'erano tre diverse storie in tre parti che si incrociavano tra loro e non si capiva niente. Ho dovuto fare un po' d'ordine per chi veniva...



Il terzo racconto collegato a questo (TRE AMICI) era "A QUESTIONE".
Il vero titolo sarebbe dovuto essere "LA QUESTIONE" ma saltai la "L".


misterx78
00giovedì 1 maggio 2008 22:48
Ah ah ah pensavo fosse un titolo in napoletano... [SM=x142904]
ELIPIOVEX
00venerdì 2 maggio 2008 15:25
ok ora è tutto a posto. [SM=x142891]
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